Alfred Brendel: in memoriam
In un periodo storico nel quale la specializzazione è ricercata con sempre più convinta necessità, la figura di Alfred Brendel risulta quindi spiazzante proprio per la curiosità a vasto raggio che ha caratterizzato il suo percorso artistico e tutta la sua lunga e acuta esistenza.
Non solo pianista, quindi, ma lettore, scrittore, poeta, pittore, appassionato d’arte in tutte le sue forme, con predilezioni architettoniche per antiche chiese e, al contempo, verso scultori e artisti contemporanei.
È interessante scorrere il suo ricco volume, in dialogo con Martin Meyer, Il velo dell’ordine, edito da Adelphi: oltre a seguire le tracce di una biografia solitaria e ai margini, quasi una premonizione anche per i luoghi dove ha trascorso i primi anni, in quella fascia mitteleuropea slava di confine, si riconoscono quelle che saranno le sue caratteristiche di interprete musicale, sia per i giudizi, meditati e mai definitivi, sui compositori e interpreti, sia sull’ottica nella quale l’approccio al testo musicale va poi riportato sulla tastiera.
Vissuto artisticamente in un periodo di debordanti personalità, funamboliche non solo per esibito virtuosismo, ma anche per la concezione timbrica e di lettura dello spartito, tale da rendere estreme le interpretazioni proposte, ha saputo invece resistere alla tentazione di mettersi in scia a tali correnti e di entrare in competizione pianistica con i propri colleghi, mantenendo invece un rispetto totale di analisi e lettura di quanto il compositore ha tentato di tradurre in note, rendendosi tramite non solo dell’arte musicale, ma dello spirito culturale che ha circondato le figure a lui più affini.
Il pianista al servizio del testo scritto, quindi, tralascia di porre il proprio ego in primo piano e fa si che le note diano vita a quello che è stato il tormento del compositore.
Emerge in varie pagine l’indicazione, rivolta agli studenti, di dedicare qualche anno alla composizione, non per apprenderne le tecniche meramente formali, ma per tentare di capire i motivi che hanno condotto un artista a indicare un legato, un pianissimo, uno staccato, una dissonanza piuttosto che un accento al fine di ricreare nella propria mente prima che nelle dita il disegno di un percorso.
L’essere analitico, col quale è stato talvolta etichettato, non contempla, purtroppo, la ricchezza di fraseggio, il respiro, la raffinatezza di quegli impercettibili istanti di silenzio che lascia prima di condurre con impareggiabile eleganza un cambio di atmosfera, piuttosto che una frase musicale cantando sempre le note e non rincorrendole, lasciando il loro valore intatto anche nei passi più complessi e affannosi, riuscendo a rendere tutto chiaro ed intelleggibile all’ascolto.
Esempio ne sono non solo gli amati Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert e Schumann, ma anche Berg e Schonberg eseguiti con una pulizia di fondo e una logica di impianto dalle quali non manca però la ricerca di fraseggio e di canto.
La fortuna di Brendel è stata anche il saper accostare ad una intelligenza critica così capillare un notevole senso di ironia, riversata anche su quanto ha amato.
Gustosa, in tal senso, la lettura dell’Abbecedario di un pianista, edito sempre da Adelphi: scorrendo i vari aforismi, si ha un compendio dell’estrosa sua personalità. I soggetti proposti vengono visitati sotto varie angolazioni, instillando nel lettore la curiosità di verificare poi quale ne sia la propria visione. Un didatta, quindi, attività nella quale ha profuso molte energie e si è dedicato dagli anni del ritiro sino praticamente agli ultimi giorni. Sapendo instillare, in tutti i musicisti che a lui si sono rivolti, l’entusiasmo di curiosare in questo immenso mare che è il mondo artistico e culturale cui apparteniamo.
Emanuele Amoroso
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