Antonio Agostini e la voce di Nanof: dalla memoria al teatro
In occasione della prima assoluta di Nanof al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto 2025 (qui la recensione), abbiamo incontrato il compositore viareggino Antonio Agostini.
L’opera, ispirata alla vicenda di Oreste Fernando Nannetti e nata da un primo studio per voce ed elettronica del 2019, approda ora al teatro dopo un lungo percorso di ricerca timbrica e drammaturgica. Nell’intervista Agostini racconta le fonti, il lavoro sul libretto e il dialogo con i collaboratori, dal regista Alessio Pizzech alla direttrice Mimma Campanale.
- Come nasce Nanof?
Nel 2019, in occasione della richiesta di un lavoro per voce femminile ed elettronica da parte del soprano Felicita Brusoni da inserire in un progetto con altri compositori (Ecolalìe) dedicato alle malattie della mente, nacque una prima forma (embrionale) di idea progettuale, per una composizione dedicata a Nanof e al teatro.
Il caso, quindi, anche nella convergenza di tematica richiesta da Felicita, mi fornì la doppia opportunità di iniziare a pensare come strutturare-ideare un lavoro più ampio e articolato dedicato a Oreste Fernando Nannetti e allo stesso tempo indagare sulla voce femminile (nella mente avevo già chiaro il ruolo del doppio femminile che poi si ritrova nell’opera) sfruttando la possibilità dell’elettronica fissa come “orchestra di pietra, di voci e di onde radio” per questo primo vero e proprio studio per l’opera (“…dopo la seconda apparizione prende sembianze umane” -2019, prima esecuzione Cagliari Festival SpazioMusica 2021, Felicita Brusoni voce).
A questo primo studio ne seguirono altri dedicati a musicisti straordinari, eseguiti in vari Festival italiani: “Le ombre imprimono e si trasmettono sono / vive sotto cosmo (Secondo Studio)” per chitarra elettrica ed elettronica per Silvia Cignoli, “Fusione 1950 – Stella Uranio (Terzo Studio)” per sassofono baritono e percussioni per Emanuele Dalmaso, “…voci e parole sono delle linee…(Quarto studio)” per sassofono tenore ed elettronica per Michele Bianchini, “Stazione Magnetica – Prospettiva Approssimativa (Quinto Studio)” per pianoforte ed elettronica per Ilaria Baldaccini, “Le nuvole si trasformano e diventano materia…(Settimo Studio)” per fisarmonica sola ed ensemble per Francesco Gesualdi e il GAMO ensemble e “Ferro – Fusione (Ottavo Studio)” per orchestra per Giacomo Manzoni.
- Quali sono state le fonti di documentazione su Oreste Nannetti
La rete, fondamentalmente, dalle prime foto del graffito trovate per puro caso molti anni prima (e che pur non conoscendo la vicenda umana di Nannetti, attirarono in maniera potentissima la mia attenzione), alle prime trascrizioni (grazie a Trafeli) che si potevano trovare su Internet fino al
bellissimo libro (ormai storico) “N.O.F. 4 – Il libro della vita” a cura di Mino Trafeli, Giuliano Scabia,
Aldo Trafeli con le fondamentali immagini di Pier Nello Manoni.
Il progetto, che proposi all’amico e critico musicale Davide Toschi (profondo conoscitore di teatro musicale e di voci), ci portò anche fisicamente al Ferri, a Volterra per poter vivere direttamente la possibilità (ormai preclusa…) di vedere e sfiorare ciò che era (molto poco, ahimè…) sopravvissuto del muro e del diario di Nannetti.
Fabrizio Longarini ci fece da guida con grande attenzione, con racconti e particolari assolutamente preziosi, su Nannetti, sulla struttura manicomiale di Volterra e la sua storia. Ancora lo ringrazio molto.
- Perché scegliere lui che venne ricoverato nel manicomio di Volterra fino alla morte?
Per la forza della sua vita, che diventa arte, diventa antenna oltre il muro del manicomio, verso il mondo dei “normali”, verso milioni di facce che non ha mai visto, di voci che non ha mai udito ma ha “sentito”.
- Tutto questo avveniva prima dell’avvento Basaglia.
Sì, all’indomani della legge Basaglia, Nannetti rimane a Volterra all’Istituto Bianchi, grazie al sostegno del Comune di Roma, fino alla sua morte, nel 1994.
- Il lavoro sul libretto che ha condotto con Chiara Serani e Davide Toschi che linea ha seguito?
Avevo chiara (nel 2023) la struttura, che proposi a Davide Toschi (a cui devo una parte molto importante di testo affidato a Nanof nel secondo quadro, per esempio) e poi alla scrittrice e poetessa pisana Chiara Serani. L’amicizia e la profonda stima verso le sue opere letterarie precedenti, mi portarono a chiederle di mettersi al lavoro.
Il caso volle che conoscesse la storia di Nannetti, e con entusiasmo si mise all’opera, producendo il corpo fondamentale del libretto.
- Come ha pensato di impostare il lavoro sia orchestrale che sulle voci?
Il lungo lavoro degli Studi preparatori a cui accennavo, su voce, strumenti ed elettronica sono stati centrali per organizzare i piani e l’architettura sonora dell’opera.
Le altezze sono spesso (con le varie eccezioni di trasposizioni e trattamenti dello spettro acustico nella necessità di un determinato quadro ecc.) legate alla “Gamma Nanof” che prende le mosse proprio dal primo studio per soprano ed elettronica, che mutano verso, nel Terzo Quadro per esempio, le prime note cantate dal Capitano del Wozzeck di Berg (che volevo assolutamente presente nel mio primo lavoro per il teatro) affidate al Primario del Manicomio, così come, disseminate in vari momenti dell’opera, elementi da Il Prigioniero di Dallapiccola o due accordi per pianoforte suonati in scena dal personaggio di Adrian Leverkuhn dal Doktor Faustus di Giacomo Manzoni.
Centrale è stata l’attenzione sul parametro timbrico, che mi ha posto l’esigenza del rapporto di equilibrio tra i gruppi strumentali e l’elettronica, spesso riorganizzata dagli Studi, in, trasmutazione (per esempio le onde radio trattate nella parte elettronica che nel Quinto quadro si fondono con le due radio AM affidate alle pelli dei due percussionisti) con le parti strumentali.
Per le voci avevo un’esigenza primaria, che era quella di creare campi precisi tra la chiarezza di determinati passi del testo e la possibilità di un’indagine più libera di espressione, tra il parlato sul fiato e lo sprechgesang, per esempio.
- Come si è interfacciato con il regista Alessio Pizzech e con la direttrice Mimma Campanale?
Nel miglior modo possibile. La fortuna di un compositore, nella “costruzione” di un edificio complesso come l’opera o comunque il lavoro per il teatro, oltre a trovare intelligenza e stimoli per il progetto(come è successo con Chiara Serani e Davide Toschi per il libretto), è quello di avere l’opportunità di idee e forza congiunte, come è accaduto a me con l’incontro con il pensiero e la visione di Alessio Pizzech, che ha creduto profondamente nel progetto fin dall’inizio.
Con Mimma Campanale c’è stata intesa fin dall’inizio; l’attenzione alla partitura e la cura nell’entrare nelle trame dell’opera, coadiuvate dalla profondità del pensiero verso il soggetto (Campanale è laureata in psicologia) hanno portato l’orchestra e le voci al compimento più vero, per l’intero lavoro.
Sono onorato di aver lavorato con loro e con tutti i collaboratori.
- Quali sono i suoi prossimi impegni
“Ossidiana”, un piccolo ciclo di pezzi (per adesso sono tre) per voci femminili e vari organici strumentali, basati su “cut-up” da una selezione di poesie di Jules Laforgue e testi scritti da me, “Raggio.Kosmos” per clarinetto basso ed elettronica basato su cinque estratti dal Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, dedicata all’amico Emanuele Dalmaso, un nuovo progetto che mi riporterà al lavoro con il grande Daniel Kientzy a Parigi (a tredici anni dalla nostra prima collaborazione) più altre scadenze fino alla fine del prossimo anno.Spero anche, finalmente, di poter concludere il libro dedicato alla musica sinfonica di Giacomo
Manzoni, un caro e vecchio “nodo da sciogliere”.
Marco Ranaldi






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