Bergamo: l’Ange de Nisida vola nel cantiere del Donizetti

La menzogna si veste di carta, così come il teatro Donizetti – o meglio il suo cantiere – si spoglia degli spazi tradizionali rivelando la sua più intima nudità in un gioco delle parti che vede il pubblico in scena e nei palchi, testimone attivo dell’azione che si sposta nella platea – quasi un’arena –  svuotata dalle poltrone.

Si rappresenta per la prima volta in forma scenica l’Ange de Nisida, il primo Donizetti francese, perduto e ritrovato, con parte dei numeri musicali confluiti nella successiva Favorite con cui divide le linee fondamentali della trama, ricostruito nell’edizione critica di Candida Mantica, che lo rende integro e vivissimo all’ascolto.

È legittimo senza rischiare di cadere nella retorica parlare di capolavoro ritrovato, perché l’Ange appartiene a questa categoria.

Se nella Favorite la vicenda assume caratteri che volgono tutti alla tragedia di un amore colpevole che trova espiazione solo nella morte e in una religione oppressiva, nell’Ange è presente più di un elemento ironico sia nei confronti del potere politico che – in forma più velata – di quello religioso.

Il primo aspetto di genialità sta nell’aver concepito un Grand-Opéra con soli cinque personaggi che però sono, ciascuno a suo modo, protagonisti.

Catalizzatori degli eventi sono Don Gaspar – che nella Favorite diviene ruolo di contorno – qui in veste di manipolatore un po’ cialtrone che resta siatematicamente invischiato nei suoi maneggi, e le Moine, il frate senza nome che sarà poi il Balthazar della Favorite, inflessibile ma caritatevole nonché orrificato dal potere temporale.

Leone e Sylvia, la coppia di amanti, sono due fuscelli in balia della tempesta, pieni di amore e di onore, vittime di giochi più grandi di loro e da cui non c’è salvezza.

Il secondo coupe de théàtre sta nel rappresentare la vittoria del Male, inteso come annientamento dei sentimenti, senza dare giudizi morali e senza cercare soluzione.

Francesco Micheli, che oltre all’opera rappresenta la rinascita del teatro attraverso il restauro esaltando il non ancora finito, coglie con meraviglioso acume l’essenza dell’Ange ritrovato.

Nella platea-arena, che negli atti primo e secondo ha il pavimento ricoperto di fogli di musica gettati alla rinfusa – richiamo alla ricerca e alla ricostruzione della partitura – spadroneggiano quattro scherani armati di coltello che intimidiscono Leone e obbediscono a Don Gaspar e al re Don Fernand, tornando sistematicamente a sottolineare l’azione fino a concluderla uccidendo l’Ange; Sylvia appare come una bambola indifesa, un po’ Ofelia e un po’ Giulietta, vestita di carta – la carta che copre la verità – che una volta strappata rivelerà un abito di virginale purezza.

Il Coro interagisce dalla galleria, spettatore e attore.

Il perfetto impianto scenico immaginato da Angelo Sala funziona a meraviglia, trasformandosi nel terzo atto in una sala abbagliante dominata dal lampadario di Boemia che cala dall’alto a mo’ di sole, per diventare monastero nel quarto con un tappeto candido sul quale spirerà Sylvia, al centro della proiezione della copertina della partitura.

Se nei primi due atti Micheli immagina un mondo assolutamente contemporaneo, con i protagonisti e il coro vestiti con abiti assolutamente odierni – di Margherita Baldoni –  e tesi a sottolineare la grettezza dei vilain in contrapposizione a Sylvia e Leone, il terzo si infiamma degli abiti di carta –che ricordano quelli dei Tarocchi proiettati sul pavimento e che dovrebbero stare in un museo del costume – meravigliosamente belli nella loro voluta labilità, indossati dei cortigiani e dei protagonisti, a rappresentare la vacuità della menzogna. Efficaci anche le altre proiezioni – carte geografiche e stampe di Nisida – che si susseguono.

L’effetto è straordinario e si spegne nell’ultimo atto, al convento, ove i brandelli di carta colorata fanno da corona al bianco del pentimento e della redenzione.

Uno spettacolo di grande chiarezza, immediatamente intellegibile nei contenuti e nelle intenzioni, reso con vissuta partecipazione da tutte le parti in scena, dai protagonisti – incantevoli cantanti-attori –, dal coro e dallo stesso pubblico, anch’esso coinvolto, in un gioco teatrale in cui la tensione non viene mai meno.

La compagnia di canto è di assoluta eccellenza.

La ventitreenne Lidia Fridman – bella come una fanciulla preraffaellita – si conferma, dopo l’Ecuba della scorsa estate al Festival della Valle d’Itria, interprete matura disegnando una Sylvia-Ange che attinge ad una tavolozza di colori dalla grande varietà. La linea di canto è adamantina e il controllo dei fiati impeccabile.

Konu Kim è Leone de Casaldi – amante e vittima inconsapevole – dal timbro brillante, sicuro nello squillo, drammaticamente partecipe, il tutto a dar voce e corpo ai tormenti e agli ardori del personaggio.

Il Don Gaspar mefistofelico e irridente disegnato da Roberto Lorenzi vive di una caratterizzazione sempre efficace grazie ad una vocalità rigogliosa che si accompagna a doti attoriali non comuni.

Davvero bravo Florian Sempey nel tratteggiare un Don Fernand che la regia vuole più guappo che sovrano, convincente nel gesto scenico e coinvolgente nel fraseggiare.

Ieratico e al contempo deciso il Moine di Federico Benetti, che canta benissimo e si giova di una recitazione di coerente e contenuta intensità.

Jean-Luc Tingaud guida con mano sicura l’Orchestra Donizetti Opera scegliendo tempi che consentono aperture a slanci lirici fascinosi, poggiando la narrazione su solidi cardini ritmici e agogiche mai fini a se stesse.

Il Coro, preparato da Fabio Tartari, offre una prova maiuscola.

Il pubblico dell’anteprima, riservata soprattutto ai mecenati privati che hanno contributo al restauro del Donizetti, si scioglie alla fine in un lungo e quasi commosso applauso, con ovazioni per Kim e la Fridman.

Alessandro Cammarano

(13 novembre 2019)

La locandina

Direttore Jean-Luc Tingaud
Regia Francesco Micheli
Scene Angelo Sala
Costumi Margherita Baldoni
Lighting design Alessandro Andreoli
Assistenti alla regia Davide Gasparro e Erika Natati
Assistenti ai costumi Silvia Pasta e Valentina Volpi
Personaggi e interpreti:
Don Fernand d’Aragon Florian Sempey
Don Gaspar Roberto Lorenzi
Leone de Casaldi Konu Kim
La comtesse Sylvia de Linarès Lidia Fridman
Le Moine Federico Benetti
Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera
Maestro del Coro Fabio Tartari

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