Berlino: Il kolossal biblico di Camille Saint- Saëns
Saint-Saëns non avrebbe potuto immaginare che la sua più celebre opera sarebbe potuta un giorno diventare un rifermento per il cinema hollywoodiano. Eppure, a vedere il Samson et Dalila in scena alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino dal 5 dicembre 2021, ci si rende conto delle inquietanti tangenzialità con i classici polpettoni storici, ancor meglio se di derivazione biblica. Lungi dal me fare di questo una critica: lo spettacolo firmato da Damián Szifron sicuramente non esalta gli aspetti più raffinati, non scava nella psicologia dei personaggi e si astiene cautamente dal tirare in ballo qualsivoglia critica alla società, ma rimane meravigliosamente efficace e si guarda che è un piacere. Ci troviamo qui in un mondo ben diverso da quello del Lohengrin ‘sociale’ di Bieito visto 24 ore prima sul medesimo palco. Eppure, due figure erano le stesse: sostituendo Barenboim (ancora segnato su sito e vecchi programmi, ma già corretto sulle locandine), dirigeva in buca di nuovo Thomas Guggeis. Nel ruolo del protagonista maschile, abbiamo di nuovo incontrato Andreas Schager. Una cancellazione dell’ultimo minuto di Elina Garanča per motivi di salute ha visto il debutto nel ruolo di Anna Lapkovskaja. Completavano il cast il Sommo sacerdote di Michael Volle, l’Abimelech di Jongmin Park, il vecchio ebreo di Paul Gay, i due filistei di Magnus Dietrich e Benjamin Chamandy, l’ambasciatore dei filistei Javier Bernardo.
Le premesse musicali parevano molto buone, ma il risultato è stato, invero, piuttosto modesto. D’altronde risulta complesso credere ai ritmi della Staatsoper, con cantanti e orchestra sottoposti a repertori diversissimi e recite giornaliere. Se si può suppore che Lohengrin sia ormai ben più che repertorio per l’opera di stato berlinese, rimane comunque un bel malloppone di quattro ore, tanto più se incastrata tra la terza recita di un’opera contemporanea da due ore e mezza e altre due ore e mezza di opera romantica francese. Ma anche qui Guggeis e la Staatskapelle Berlin hanno resistito, nonostante non abbiamo raggiunto l’infallibilità del Lohengrin. Molti infatti sono stati gli scollamenti tra orchestra e palco e soprattutto il primo atto è apparso depotenziato da diverse incertezze. Meglio con il proseguire della vicenda, con particolare riferimento al fantastico crescendo del secondo atto, che culmina nel celebre taglio di capelli dell’eroe ebraico. Splendido anche il terzo atto, veramente efficace tanto nello splendido Baccanale (qui condotto senza eccessi, rinunciando al brivido da Orchestra Simón Bolivár ma beneficiandone in coerenza con il resto dell’opera).
Discorso affine lo possiamo fare per i cantanti. Il primo atto non vede nessuno brillare particolarmente. Schager canta Samson meglio di come aveva cantato Lohengrin (la parte ha anche ben altre richieste), mantiene la sua voce stentorea, ma continua a rimanere instabile sull’intonazione. Ridotte le contestazioni, ma non sono mancate. Sicuramente la recitazione gli era qui assai più congeniale, ma d’altronde la regia di Szifron, con questa patina da kolossal, villaggi di cartapesta, grotte sui monti, scene orgiastiche alla corte dei filistei, non richiedeva particolare penetrazione del personaggio. Si scalda bene Anna Lapkovskaja che parte non troppo convincente, ma migliora via via fino al secondo atto ed esplode sul “Lâche!” (“codardo”) che segna l’addio di Dalila a Sansone, il suo inconsulto gesto di cedere alla sua seduzione e il tradimento. Splendido anche il terzo atto, anche se ogni tanto mi veniva il dubbio fino a quanto si volesse fare una Dalila effettivamente combattuta nei sentimenti per Sansone e quanto invece una manipolatrice che non esita a utilizzare il sesso per raggiungere i suoi scopi, anche con colui che (almeno a parole) disprezza con tutta la sua anima. Non eccellente ma efficace l’Alto Prete di Dagon interpretato da Michael Volle, vocalmente non superlativo, ma rigido e teso al punto giusto. Gli avrei forse preferito Jongmin Park, qui comparso come Abimelech, ma che nella sua unica scena è riuscito a convincere, almeno vocalmente. Bene tutti gli altri, ma alla fine a vincere qui è la regia. Senza grande impegno ma spettacolare, porta a riflettere a quanto Hollywood non abbia poi inventato quasi nulla con i suoi filmoni nell’antica Roma, i suoi gladiatori con l’orologio e i suoi Mosè rigorosamente bianchi e con gli occhi azzurri, dietro alle imponenti barbe bianche (perché niente fa Bibbia quanto una bella barba bianca). Insomma, non una recita stratosferica, ma tutto sommato una serata godibile. Applausi per tutti, soprattutto per la maestra suggeritrice Anne-Lisa Nathan, che abbiamo sentito per tutto lo spettacolo correre in aiuto ai cantanti e cui sia Schager che Lapkovskaja hanno rivolto i loro evidenti ringraziamenti.
Alessandro Tommasi
(5 dicembre 2021)
La locandina
Direttore | Thomas Guggeis |
Regia | Damián Szifron |
Scene | Étienne Pluss |
Costumi | Gesine Völlm |
Luci | Olaf Freese |
Video | Judith Selenko |
Coreografia | Tomasz Kajdański |
Personaggi e interpreti: | |
Dalila | Anna Lapkovskaja |
Samson | Andreas Schager |
Gran sacerdote di Dagon | Michael Volle |
Abimélech | Jongmin Park |
Un vecchio Ebreo | Paul Gay |
Primo Filisteo | Magnus Dietrich |
Secondo Filisteo | Benjamin Chamandy |
Ambaciatore dei Filistei | Javier Bernardo |
Staatskapelle Berlin | |
Staatsopernchor | |
Maestro del coro | Martin Wright |
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