Bologna: nella Fille du régiment brillano Torosyan e Mironov

Alla prima, martedì undici febbraio 1840, La fille du régiment ebbe alla première un’accoglienza tiepida, per non dire che si sfiorò il fiasco; Berlioz all’indomani ne scrisse assai male e il pubblico non perdonò le défaillances di Mécène Marié de l’Isle, il primo Tonio.

In realtà la prima opera francese, non semplicemente in francese, di Donizetti, che contava di debuttare a Parigi con Les Martyrs, che l’Opéra continuava a rinviare, guadagnò rapidamente il favore del pubblico e si raggiunsero le cinquantacinque repliche.
Viene da pensare che dietro l’iniziale diffidenza ci potesse essere lo spirito di Nicolas Chauvin, restio ad accettare il fatto che un forestiero potesse eguagliare, quando non superare, i compositori francesi in un genere autoctono come l’Opéra-comique, cosa che a Donizetti riuscì facilissima, calandosi perfettamente negli stilemi del genere, senza comunque mai tradire se stesso. I couplet sono frizzanti, cosi come gli insiemi e i cori, animati da una verve tutta francese, però quando emergono i sentimenti veri, l’amore, la malinconia, la nostalgia le luci di Parigi lasciano il posto al sole velato e alle foschie autunnali della Bergamasca.

La Fille richiede un compagnia di canto sopraffina e quella ascoltata al Comunale di Bologna lo è senz’altro, a cominciare dalla  formidabile coppia di protagonisti, Hasmik Torosyan e Maxim Mironov entrambi al debutto nei rispettivi personaggi.
La Torosyan disegna una Marie perfetta dal punto di vista vocale, appassionata nel fraseggio, capace di un canto ricco di colori e sfumature tutto poggiato sui fiati, sicura nell’ascesa agli estremi acuti oltre che credibilissima dal punto di vista della recitazione. Da manuale il suo “Il faut partir”.

Maxim Mironov dà voce e corpo ad un Tonio splendido; la voce si plasma su una linea di canto di meravigliosa levigatezza, la varietà di accenti è rigogliosa, costante è la ricerca della giusta sfumatura per ogni frase. Se l’ “Ah! Mes amis” è folgorante con i nove Do cantati con incredibile facilità, la gloria di Mironov si consacra con “Pour me rapprocher de Marie”, cantato con intima sincerità.
Federico Longhi coglie perfettamente lo spirito di Sulpice e le sua sfaccettature di mezzo carattere, che vengono rese con vocalità generosa ma sempre controllata, accompagnata da una recitazione scevra da qualsiasi eccesso, così come la Marquise de Berkenfield di Claudia Marchi, corposo mezzosoprano, si giova di un fraseggiare autorevole e di una presenza scenica impeccabile.
Quando si ha a disposizione una Duchesse di Crackentorp come Daniela Mazzuccato e la si relega a recitare quattro battute senza farle cantare una nota si fa un servizio – secondo noi in questo caso pessimo – alla filologia ma un torto allo spirito stesso dell’opera e ad una tradizione che alla stizzosa nobildonna riserva da sempre un cameo cantato – Caballé e Te Kanawa, per citarne solo due fra le tante, docunt – e soprattutto si compie uno sgarbo madornale ad una gran signora del palcoscenico, che comunque è stata egualmente splendida giocando sull’ironia.
Bravo Nicolò Ceriani, Hortensius divertente senza cadere nella caricatura, come del tutto convincenti sono Tommaso Caramia – un caporale –, Cosimo Gregucci – un paesano – e Cristina Giardini nei panni di uno svagatissimo Maestro di musica.
Yves Abel, complice un Orchestra disciplinata, offre una lettura nella quale lo spirito boulevardier delle parti brillanti si fonde con l’elegia dei momenti più meditativi, il tutto a costruire una narrazione musicale incentrata su tempi staccati con brio meditato in ben ponderata alternanza con slanci lirici più sostenuti e di ammaliante poesia.

Bene il Coro preparato da Andrea Faidutti.

L’allestimento di Emilio Sagi, con le scene e i costumi (qui parzialmente riveduti) di Julio Galan e le luci di Daniele Naldi, datato 2004, ripreso con diligenza un po’ svogliata da Valentina Brunetti è grazioso ma non brilla per invenzioni.
La trasposizione dell’azione durante la Seconda Guerra  Mondiale non porta nulla di significativo, se non che i fanti napoleonici diventano soldati americani; per il resto tutto si svolge nell’alveo di una routine elegante ma nulla di più. In ogni caso le danzette, valzerini e saltarelli vari, andrebbero aboliti e sanzionati per legge, sempre.
Successo pieno, con calorosi applausi a scena aperta dopo le grandi romanze.

Alessandro Cammarano
(9 novembre 2018)

La locandina

Direttore Yves Abel
Regia Emilio Sagi
Regia ripresa da Valentina Brunetti
Progetto originale Julio Galan
Scene e costumi Teatro Comunale di Bologna
Luci Daniele Naldi
Marquise de Berkenfield Claudia Marchi
Sulpice Federico Longhi
Tonio Maxim Mironov
Marie Hasmik Torosyan
Duchesse de Crackentorp Daniela Mazzuccato
Hortensius Nicolò Ceriani
Un caporale Tommaso Caramia
Un paesano Cosimo Gregucci
Il maestro di musica Cristina Giardini
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del Coro Andrea Faidutti

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