Bologna: Œdipus Rex la natura morta di Stravinskij

Non si poteva trovare modo migliore per celebrare il centenario dell’Oedipus Rex, che Igor Stravinskij iniziò a concepire proprio nel settembre 1925, di ritorno dall’Italia, dove aveva partecipato al Festival internazionale di musica contemporanea a Venezia.

Il Teatro Comunale di Bologna ha affidato la regia dell’opera oratorio del compositore russo a Gabriele Lavia, e ha prodotto un bellissimo spettacolo diretto con grande intensità da Oksana Lyniv. In più, l’ha fatto precedere dall’esecuzione di un’opera coeva, altrettanto preziosa, i Tre preludi sinfonici per l’Edipo re di Sofocle, prima partitura orchestrale di Ildebrando Pizzetti, composta dal musicista di Parma a soli ventitré anni con l’ouverture del 1901 per l’Edipo a Colono, molta apprezzata da Gustavo Salvini; con gli intermezzi scritti tre anni dopo per l’Edipo re su sollecitazione sempre di Salvini che lo mise in scena al Teatro Olimpia di Milano, e da un terzo preludio presentato con gli altri due in forma di concerto nel dicembre 1919 all’Augusteo di Roma.

Era l’epoca in cui in tutta Europa, da Berlino a Pietroburgo, da Parigi a Roma, il moderno e l’avanguardia dialogavano coi classici, attingendo dal patrimonio del teatro antico spunti e temi per sviluppare la massima innovazione. Tornando da Venezia, Stravinskij aveva trovato in una libreria di Genova la vita di San Francesco del danese Johannes Jørgensen, tradotta in francese dal grande studioso di Mozart, Théodore de Wyzeza, fondatore della Revue wagnérienne. Leggendola tutta d’un fiato la notte stessa, gli era venuta l’idea di dotare di carattere monumentale un nuovo testo classico da mettere in musica, usando una lingua sacra, come quella che il Poverello di Assisi usava nei momenti solenni, ricorrendo al provenzale, la lingua dei trovatori, la lingua poesia, della religione, dei suoi ricordi più.

Anche Stravinskij, come san Francesco, si mise in testa di adottare una lingua speciale, “un linguaggio puro senza officio” e si risolse a far tradurre in latino ciceroniano da Jean Daniélou il libretto della tragedia di Sofocle e riadattata dall’amico Jean Cocteau, che pochi anni prima, nel 1922 aveva riscosso un grande successo con la contrazione di Sofocle, messa in scena al Théatre de l’Atelier di Parigi con le scene di Pablo Picasso, i costumi di Coco Chanel, le musiche di Arthur Honegger, e la partecipazione di Antonin Artaud, poeta ventiseienne pressoché sconosciuto ma già neurolabile, nel ruolo di Tiresia.

Anche Stravinskij come Cocteau voleva sorvolare Sofocle, e riprendere il mito classico in chiave moderna. Per il suo Oedipus Rex, come per l’Antigone, Cocteau previde un narratore che riassumeva i fatti e gli antefatti a volo di uccello per il pubblico contemporaneo, presentandoli all’inizio dei cinque quadri, lasciando ai cinque personaggi il racconto del dramma dell’uomo che cerca l’origine del male che contagia il mondo, e alla fine di essere proprio lui, l’origine di quel male, la causa della peste, lui, il figlio condannato dagli dei a uccidere il padre e giacere con la madre, lui, lo straniero che dopo aver risolto l’enigma della Sfinge, viene eletto re di Tebe a furor di popolo e, ignaro di compiere la profezia di Apollo, ottiene in sposa Giocasta, sua madre, vedova di Laio, suo padre, morto per mano sua in un agguato sulla strada di Delfi.

Più che un dramma d’azione, Stravinskij aveva in mente “una natura morta” dove i personaggi in balia del fato dovevano somigliare a statue viventi. Con Cocteau, che lo seguiva alla lettera, esaltato dall’impresa e dal misticismo, ideò uno spettacolo ieratico, coi cantanti rivesti di cartapesta, come se fossero statue, immobili sul palco, circondati dal potente coro dei cittadini tebani, funestati dalla peste.

L’opera oratorio, prima del debutto al Teatro Sarah Bernhard, dove ebbe accoglienza glaciale, venne presentata in anteprima il 19 maggio 1927 nel teatrino privato dell’Hôtel de Polignac, per la prodigalità di Winnaretta Singer, principessa e musa americana di Stravinskij, il quale accompagnava attori e coro al pianoforte, mentre Sergej Prokof’ev, da lui arruolato ad hoc, doppiava le parti vocali dei cantanti suonando un secondo pianoforte, come racconto nel mio nuovo libro, Un cuore greco. Il ritorno ai classici nel Novecento, in uscita da Neri Pozza.

Gabriele Lavia non ha voluto tener conto né dei precedenti, né tanto meno delle indicazioni sceniche di Stravinskij. Ma è riuscito a costruito uno spettacolo agile, intenso, altamente drammatico, tagliato su misura per gli spazi e i volumi del Comunale Nouveau, alla Fiera di Bologno, dove il boccascena è così basso rendere impossibile la visione. Dunque ha risolto il problema abbassando ancora di più il boccascena, facendolo premere sulle teste dei protagonisti, sino a schiacciarli col peso della peste che funesta la città di Tebe.

Imponente e ieratico il coro bolognese diretto da Gea Garatti Ansini entra in scena prendendo posto su varie file di sedie. A sinistra, il volto riverso di un’enorme statua accoglie il narratore in frak, alias lo stesso Lavia, istrionico e ammaliante nel suo racconto in italiano, si accomoda su una guancia della statua e mantiene la posizione. A destra un’altra impalcatura concepita da Alessandro Camera scandisce l’ingresso dei vari personaggi, a cominciare da Edipo, un Gianluca Terranova stentoreo e calibrato, Creonte, Anton Keremedcthiev, che interpreta anche il Messaggero, e poi l’enigmatico Tiresia di Sorin Coliban, la Giocasta disperata di Atala Schöck, che conscia del dramma scompare lentamente dietro il coro, il pastore di Laio, Sven Hjörleifsson, che confessa il salvataggio del figlio di Laio, altrimenti condannato, e l’adozione del trovatello da parte di Polibo re di Corinto.

Ipnotica il canto e la recitazione sul latino ciceroniano di Jean Daniélou, che sarebbe stato bello seguire sui sovratitoli, magari al posto dell’italiano, coi suoi errori marchiani e gli svarioni d’autore, come il genitivo e l’accusativo greco Oedipodis e Oedipoda, o la confusione tra cecidi di cado e l’altro di caedo.

Ottima la direzione di Oksana Lyniv, incisiva nei momenti drammatici, ferma nelle pause più solenni. Applausi convinti del pubblico dell’ultima replica a conferma dell’intento sacralizzante, e non parodistico, di un capolavoro del dramma antico ripreso da un genio musicale del Novecento.

Marina Valensise
(7 ottobre 2025)

La locandina

Direttrice Oksana Lyniv
Regia Gabriele Lavia
Scene Alessandro Camera
Costumi Andrea Viotti
Luci Daniele Naldi
Personaggi e interpreti:
Narratore Gabriele Lavia
Edipo Gianluca Terranova
Giocasta Atala Schöck
Creonte / Il Messaggero Anton Keremidtchiev
Tiresia Sorin Coliban
Il Pastore Sven Hjörleifsson
Orchestra, Coro e Tecnici del TCBO
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini

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