Bolzano: al “Busoni” la sorpresa è d’obbligo
Il “Busoni” è sempre una sorpresa. Così accogliamo, nella notte del 6 settembre, la proclamazione dei vincitori della 62° edizione del Concorso Pianistico Internazionale “Ferruccio Busoni” di Bolzano. Sono passate ormai le 23, e ancora quasi tutto il pubblico della finalissima è rimasto all’interno del Teatro Comunale per assistere alla premiazione ufficiale e scoprire se ci sarà un prescelto per il podio più alto (cosa non scontata da queste parti) e se sarà il proprio favorito.
Perché il legame di questa competizione, nata nel 1949 da un’idea di Cesare Nordio e Arturo Benedetti Michelangeli, con la città è molto forte, sia nel senso di come Bolzano vive il concorso – lungo le strade, ai tavolini dei caffè, sui giornali, tutti ne parlano – sia di come le istituzioni la sostengono – «questa gioventù, questo entusiasmo deve essere di esempio a tutti noi, perché è la cultura il futuro di questa città» ha dichiarato il sindaco Caramaschi dal palco.
Veniamo ai vincitori, i cui nomi circolavano in rete già pochi minuti dopo con la velocità dei social: il 1° premio se l’è aggiudicato il ventenne bulgaro Emanuil Ivanov, allievo di Pascal Nemirovski e Anthony Hewitt al Royal Conservatory di Birmingham; il 2° premio è andato alla ventitreenne giapponese Shiori Kuwahara, allieva di Klaus Hellwig all’Universität der Künste di Berlino; 3° premio al diciottenne georgiano Giorgi Gigashvili, allievo di Revaz Tavadze presso il Conservatorio Statale di Tbilisi.
Cronaca non sono dunque i nomi, già noti ai più, quanto il rumoreggiare del teatro all’assegnazione del terzo premio a Giorgi Gigashvili, che si è anche aggiudicato il Premio del pubblico. Indiscutibilmente è stato il candidato più apprezzato nella finalissima con l’orchestra. Il suo Terzo di Prokofiev, scatenato ed audace, ha ricevuto un’ovazione con tre uscite per gli applausi. Vediamo le tre esibizioni della serata: una finalissima stuzzicante, senza ripetizioni di opere (come spesso può capitare in un concorso) e con tre autori assai diversi tra le mani di tre pianisti ugualmente eterogenei.
Apriva la serata la giapponese Kuwahara, tecnicamente perfetta e dai fraseggi ineccepibili, ma il suo Terzo di Rachmaninov non decolla. Soffre dal lato del coinvolgimento emotivo e, soprattutto, sbaglia l’equilibro sonoro con l’orchestra, ritrovandosi spesso in secondo piano, anche in quella manciata di note che aprono il famosissimo tema iniziale e che si percepiscono a fatica nella galleria del Teatro di Bolzano.
Seguiva Gigashvili con Prokofiev cambiando totalmente registro: il suo pianismo è graffiante, timbrico, gioioso, scatenato e carica il pubblico. La partitura ringrazia, l’orchestra un po’ meno, trovandosi a dover letteralmente rincorrere, in alcuni momenti, l’abile pianista. Chiudeva Ivanov con il Secondo di Saint-Saëns, eleganza e grazia a tutto tondo che trova finalmente l’equilibrio: con la cantabilità della tastiera, con il suono dell’orchestra, con il disegno della forma.
Se il pianista che si vuole premiare ad un concorso è quello che ti stuzzica e che vorresti riascoltare domani – come sosteneva anche il giurato Dang Thai Son – dopo la prova con l’orchestra la medaglia d’oro doveva andare, a furor di popolo, al georgiano. Non perfetto, a tratti ingenuo, ma con una grande personalità che arrivava direttamente alle corde del pianoforte.
Dobbiamo però ricordare che il Concorso “Busoni” consiste in un lungo e faticoso percorso fatto di cinque prove – solistiche e cameristiche – lungo due anni di tempo, e che il risultato finale dipende anche da questo percorso. E allora proviamo a mettere a confronto i tre finalisti in un’altra fase, da solisti, e con lo stesso autore (e grazie all’archivio dello streaming lo possono fare tutti anche ora).
Prendiamo la semifinale solistica e consideriamo Liszt: Ivanov e Kuwahara con la Dante, Gigashvili con Mazzeppa. O anche le finali solistiche confrontando Beethoven: la 109 per il georgiano, l’op. 31 n. 3 per il bulgaro, la 111 per la giapponese. A ben vedere, la giuria si è dimostrata competente come deve essere, arrivando a premiare e dunque riconoscere la completezza di un pianista come Ivanov, dove la facilità tecnica si lega ad una eleganza naturale e una chiarezza sugli stili, quella cultura di ciò che si legge che un pianista deve possedere, a detta giustamente della giurata russa Tatiana Zelikman. Dai confronti appare lampante anche la forza della personalità di Gigashvili, un giovane da tenere d’occhio, e il pianismo più preciso, anche se un po’ più tiepido, della Kuwahara, che per questo lo ha superato conquistando la medaglia d’argento.
Benvenuto, dunque, al nuovo Premio Busoni Emanuil Ivanov, sicuramente più interessante del precedente, Ivan Krpan, che ancora non raggiunge quella maturità interpretativa su cui si era scommesso. Viso che non nasconde i suoi vent’anni, pelle diafana, struttura della mano morbida – almeno nella stretta dei saluti! – e negli occhi lo stupore di una vittoria inaspettata, la prima in una competizione internazionale di alto livello, che accoglie con tanta soddisfazione ed entusiasmo.
Gli altri premi sono stati così distribuiti: 4° premio a Giovanni Bertolazzi, 5° premio e Premio della giuria dei giovani ed anche Premio speciale per l’interpretazione di musica pianistica contemporanea a Valentin Malinin, 6° premio a Nicolò Ferdinando Cafaro, Premio speciale per la migliore esecuzione di una composizione di Busoni ancora a Shiori Kuwahara, Premio del pubblico, come già anticipato, a Giorgi Gigashvili, Premio Alice Tartarotti ancora a Emanuil Ivanov.
Si archivia, dunque, anche questa edizione del “Busoni”, la 62°, che in realtà festeggia i 70 anni dalla sua costituzione. Un concorso di quelli storici che dimostra ancora oggi la sua fama ed importanza a livello internazionale, ma che, grazie all’intelligenza e lungimiranza del suo direttore artistico, Peter Paul Kainrath, ha saputo rinnovarsi adattandosi ai tempi, ossia all’orizzonte pianistico di oggi, risultando più che mai interessante per i candidati (420 all’inizio di questa edizione) ed affacciandosi ad un futuro luminoso.
Monique Ciola
(6 settembre 2019)
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