Bolzano: l’Asia conquista il Concorso Busoni

Dopo lo sdoganamento del 2015, quando per la prima volta nella storia di questo prestigioso concorso pianistico Chloe Mun si portò a casa l’ambito premio, è ancora la Corea del Sud a salire sul podio per il 63° Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni, e lo fa con ben due medaglie. Al termine della finalissima con l’orchestra, tenutasi venerdì 3 settembre presso il Teatro Verdi di Bolzano e mostrata in diretta televisiva in Italia, Cina e Corea del Sud (via radio e in streaming mondiale su internet), è stato proclamato vincitore il ventiduenne Jae Hong Park e a seguire, al secondo posto, il ventiseienne Do-Hyun Kim; terzo classificato il ventenne austriaco Lukas Sternath.

Si perpetua così il mantra tutto busoniano del Terzo di Rachmaninov, che vede, appunto, vincitore il candidato che lo presenta alla finalissima. Leggende a parte, il risultato non è quello che la platea si aspettava al termine del tre concerti per pianoforte e orchestra, accompagnati da un’Orchestra Haydn in gran forma sotto la bacchetta di Arvo Volmer. Il consenso maggiore, sottolineato da lunghi applausi ed espressioni di entusiasmo – sia durante il concerto sia al momento della premiazione – andava all’altro coreano Kim per la sua interpretazione del Secondo Concerto di Prokofiev, dove le capacità tecniche si univano ad una grintosa energia, in un dialogo serrato e alla pari con l’orchestra, mostrando ricchezza timbrica e valorizzando i momenti di lirismo, senza mai perdere la tensione fino all’ultima nota. Raccoglieva apprezzamenti anche il Quinto di Beethoven portato dall’austriaco Sternath che, sebbene non dalle prime note, ha mostrato il carattere necessario per questa partitura e le sue qualità timbriche e musicali. Il Rachmaninov di Park sarà stato potente, in equilibrio con l’orchestra, con tutte le note al posto giusto, ma è mancata la pelle d’oca, quel brivido che, soprattutto nel lungo finale del terzo movimento, ti travolge senza mezze misure.

Quindi la giuria ha sbagliato? Assolutamente no. Diversamente dal pubblico, in gran sera per l’occasione, la giuria qualificata presieduta dal pianista canadese Louis Lortie (già Premio Busoni “all’unanimità” nel 1984) ha potuto ascoltare i candidati in un percorso di quattro prove (solismo dai grandi classici alla contemporanea, cameristica e concerto con l’orchestra) entrando nella tecnica, nelle scelte interpretative, nella musicalità e, soprattutto, nelle potenzialità di ciascun pianista. Già nel foyer del Teatro, durante l’intervallo, si vociferava su una Sonata op. 106 di Beethoven di Jae Hong Park da ricordare. Chi volesse controllare di persona lo può fare, tutte le prove sono caricate sul sito del Concorso Busoni (https://www.busoni-mahler.eu/competition/it/prove/). È l’invito che ha mosso lo stesso Lortie nel suo commento al termine della proclamazione: «Ringrazio la RAI, che ha proposto in diretta la finalissima del Premio Busoni. Spero sia solo la prima volta della presenza della RAI per questa grande musica. I miei grandi complimenti vanno poi a tutti i concorrenti che si sono presentati quest’anno con le sue enormi difficoltà causate dalla pandemia: hanno affrontato un concerto con l’orchestra quando da un anno non si trovano orchestre per suonare, hanno presentato un pezzo cameristico quando è difficile trovare qualcuno con cui suonare e le occasioni di esibirsi, e magari senza aver fatto lezione col proprio maestro per lungo tempo, se non qualche incontro online. Le loro performance sono disponibili sul sito del concorso, ascoltateli tutti! Grazie, infine, alla passione di tutta la giuria e di Peter Paul Kainrath, direttore artistico di questo concorso». Per tutti gli altri premi è possibile visitare questa pagina del concorso https://www.busoni-mahler.eu/competition/en/pagina-busoni-en/

Cala il sipario sulla 63° edizione del Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni, un appuntamento irrinunciabile per la città di Bolzano, che si rivela un ambiente particolare in cui il concorso è radicato fortemente, e che senza di esso perderebbe la sua identità. Il Busoni è un rito, sacro e venerato: il pubblico locale che segue tutte le prove facendo il tifo per i prediletti, le discussioni appassionate ai tavoli dei caffè, gli affezionati che ritornano in città anche da molto lontano per l’appuntamento annuale, l’ambito libretto con tutte le informazioni sulla giuria e sui concorrenti dove segnare i risultati (il “must have” che va a ruba), l’interrogatorio serrato agli orchestrali incrociati per le vie del centro per indovinare il nome del vincitore, l’indignazione se i concorrenti italiani vengono fermati nella scalata al primo premio (grandi apprezzamenti quest’anno per Elia Cecino, Francesco Granata – 6° premio, e Serena Valluzzi – 4° premio). E ancora, il silenzio assoluto in sala che non può essere interrotto nemmeno nei momenti di attesa e neppure dalla suadente voce di Guido Barbieri (che per la diretta su Radio3 Suite ha fatto girare molte teste in platea con sguardi poco rassicuranti). Un rito che si è svolto anche in questa epoca pandemica («Un miracolo!» ha sottolineato il direttore Kainrath) e che già aspettiamo di rivivere con la prossima edizione. E se nel frattempo il Busoni venisse boicottato? Se sparissero improvvisamente, a pochi giorni dall’inizio, i pianoforti Steinway&Sons portati da Passadori? Tranquilli, pura fantasia, quella di Giancarlo Riccio, giornalista del Corriere della Sera e socio dell’Associazione Nazionale Critici Musicali, che dopo anni di concorso ci regala questo breve racconto giallo tutto da gustare per rivivere l’atmosfera del Busoni (“L’accordatore”, La Vela edizioni, 2021).

Monique Cìola

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