Firenze: Dallapiccola, Perocco. La musica contro le guerre per una nuova ecologia

Il direttore Lorenzo Donati, sul palco per i saluti finali davanti ad un pubblico estremamente coinvolto, in modo irrituale (sono sue parole) prende la parola e traccia brevemente, dopo l’esecuzione dei Canti di prigionia di Luigi Dallapiccola, un ideale filo rosso tra l’opera e le drammatiche tensioni internazionali dei nostri tempi. Una irritualità che ci è piaciuta.  Nel 1938 l’Italia fascista, in appoggio alla Germania hitleriana, scatena la campagna razziale antisemita. La famiglia Dallapiccola non solo è coinvolta direttamente, la moglie del maestro ebrea è costretta a lasciare il proprio incarico alla Biblioteca Centrale di Firenze, ma il compositore si interroga su come reagire, protestare, esporre la propria indignazione. Cosa può fare un musicista? Usare la creazione musicale.

In quel momento buio della nostra storia Dallapiccola sente l’impellente bisogno di esprimere nella partitura la propria protesta civile, l’impegno morale e politico. Sceglie tre celebri prigionieri del passato, condannati a morte – Maria Stuarda, Severino Boezio e Girolamo Savonarola – usa le loro parole in funzione di denuncia di quel momento. Ma non solo, musicalmente elabora delle scelte sul fronte tecnico e linguistico che potremo definire avanzate e innovative. Sviluppa un costante processo dialettico tra metodo dodecafonico, che lo ha sempre affascinato, e linee melodiche, brillante espressività, con una particolare predilezione per la scrittura corale. Un mix tra razionalismo e umanesimo dove rigore etico e disciplina seriale si macchiano, superando freddezza e astrattismi, di valori esistenziali in un lirismo che potremo leggere come messaggio di speranza.

Canti di prigionia è il risultato plastico di questo processo sviluppato su due binari. Tre preghiere di uomini che avevano lottato e creduto. Un trittico altamente comunicativo, dove la limpidezza del materiale acustico tra timbri scuri, densi, e leggeri trova nella scrittura corale, dove al metodo schönberghiano vengono accostate memorie antiche, il lampo gregoriano del Dies irae, il momento più alto anche a livello emozionale. L’opera come un diario intimo ci racconta l’angoscia di un intellettuale, che di fronte agli orrori della guerra, le limitazioni delle libertà imposte dal regime, usa lo spartito come testimonianza, atto di indignazione, resistenza ma anche luce di speranza.

Sul palco della Sala Zubin Mehta del Teatro del Maggio il coro, i due pianoforti, le due arpe, le percussioni si immergono, ci immergono in un ambiente che possiede anche una forte componente religiosa e meditativa. L’intro delle due tastiere, quasi un frammento melodico marcato che vaga, le note iniziali del Dies irae di arpe e timpani, ci introducono all’ingresso del coro che alternando il parlato e l’intonato a bocca chiusa ci rende l’emozione delle parole della regina cattolica di Scozia Preghiera di Maria Stuarda, che poi esplode in tutta la sua potenza comunicativa con le percussioni tutte. Le sole voci femminili, costantemente verso sonorità fortissime, caratterizzano Invocazione di Boezio, due frasi del De consolatione philosophiae, per disegnare un taglio contemplativo, raffinato, dopo l’affascinante apertura strumentale ricca di invenzioni contrappuntistiche e arpeggi delle tastiere nell’indicazione prestissimo. Il brano conclusivo del trittico richiama gli orrori profetizzati da Savonarola nel Te Domine speravi, probabilmente il più drammatico e coinvolgente, apre con il coro che canta all’unisono con i pianoforti e fa emergere con forza i contrasti tra coro e orchestra. Magicamente le tensioni si stemperano in uno spazio poetico e sospeso dove affiorano come pietre preziose episodi fugati di grande impatto. Congedo di Girolamo Savonarola chiude un’opera che nel suo procedere nello stile seriale, salvaguarda memorie antiche e suggestioni melodiche, non come residui nostalgici, ma valori culturali ancora attuali e dove l’aspetto drammaturgico/apocalittico di una partitura di grande intensità, sottintende sempre una luce, un valore etico verso un’umanità nuova.

Ha preceduto l’opera di Dallapiccola l’ultimo lavoro di Filippo Perocco, una commissione Accademia Chigiana in prima assoluta, Disegnare Rami per soprano, doppio coro, due pianoforti ed elettronica. Un accostamento che, se sganciato dal profondo legame con il momento storico dei Canti, potremo definire funzionale. Al di là dell’organico, dove l’aspetto corale e il soprano dominano i quattro movimenti (Veglia, Carillon, Sogno-Metamorfosi-Seme, Congedo), i due pianoforti, e l’elettronica che sostituisce le due arpe rispetto alla formazione concepita da Dallapiccola, le tematiche esistenziali sviluppate dal compositore trevigiano completano in qualche modo il messaggio etico dei Canti.

Non nuovo ad un approccio compositivo stimolato dal rapporto con la natura il compositore in Disegnare rami espone una fragilità poetica, che non ne limita le potenzialità narrative, anzi, nella trama onirica e sognante dei quadri, nello spazio vivo e pulsante del bosco, dove radici, rami, foglie, trasfigurano da forme in messaggi di memorie, suoni di vita, fa emergere l’interrelazione profonda della natura con attività e pensiero umano. Queste relazioni naturalistiche, ecologiche, Perocco indaga, usando soprattutto le voci e testi che nella trama corale, come nel ruolo della soprano, si frantumano in schegge vaganti, fantasmi, diventano suoni che l’elettronica riprende, espande, ripete. In questa scenografia sonora di trasparenze, dettagli, sottrazioni e frammenti, il ruolo dei due pianoforti preparati evoca timbri sognanti, in una visione fiabesca dove il rapporto dialogico con il bosco può essere letto come autoriflessione…chissà cosa dicono gli alberi prima di morire?…

Prima di chiudere è doveroso sottolineare l’alto livello esecutivo di tutti i musicisti coinvolti (che potete consultare nella locandina) rispetto alle complessità delle partiture affrontate, con un particolare accenno al Direttore Lorenzo Donati per l’equilibrio, il gesto, la capacità di gestione creativa di tutti gli aspetti tecnici ed emotivi delle opere in programma. In fine, se le voci sono state le protagoniste delle serata, un plauso speciale va al Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini” sempre dentro il contesto delle opere, come al limpido talento di Livia Rado.

Paolo Carradori
(7 giugno 2025)

La locandina

Direttore Lorenzo Donati
Soprano Livia Rado
Pianoforti Aldo Orvieto, Anna D’Errico
Arpe Emanuela Battigelli, Stefania Scapin
Percussioni Antonio Caggiano
Chigiana Percussion Ensemble Giulio Ancarani, Francesco Conforti, Carol Di Vito, Davide Fabrizio, Roberto Iemma, Matteo Lelli, Davide Soro
Chigiana Live Etectronics Ensemble Alvise Vidolin, Nicola Bernardini, Julian ScordatoCoro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi. Saracini”
Programma:
Filippo Perocco
Disegnare Rami per soprano, doppio coro, due pianoforti ed elettronica (2025)
Veglia / Carillon / Sogno. Metamorfosi. Seme / Congedo
 Commissione Accademia Chigiana – Prima esecuzione assoluta
Luigi Dallapiccola
Canti di prigionia per coro misto e piccolo ensemble strumentale (1938-1941)
 Preghiera di Maria Stuarda/Invocazione di Boezio / Congedo di Gerolamo Savonarola 

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