Göttingen: un Tamerlano gotico-noir

Un dramma dell’anima cupo e claustrofobico, tra specchi e oscurità, per l’opera d’apertura del Festival Händel di Göttingen 2025, allestita all’insegna del motto “Allori”. Il Tamerlano di Händel – opera festivaliera per eccellenza – si trasforma in una camera oscura dell’animo umano, grazie alla regia visionaria di Rosetta Cucchi e alla scena chiusa, quasi soffocante, concepita da Tiziano Santi.

Polveri bianche danzano nella luce impolverata che filtra sull’orchestra. Foglie d’alloro verde scendono lentamente nella scatola nera laccata, le cui porte a specchio sembrano trattenere e riflettere le emozioni più profonde: odio, desiderio, giuramenti. Il piccolo mondo racchiuso in questo peep-show scenico, ideato per la prima assoluta del Festival, si incrina progressivamente nel corso della serata, fino a culminare nella tragica morte di Bajazet, sovrano ottomano fatto prigioniero dal crudele Tamerlano.

La partitura del Tamerlano, su libretto di Nicola Francesco Haym, rielabora Il Tamerlano (Venezia, 1711) e Il Bajazet del conte Agostino Piovene, a loro volta ispirati al dramma francese Tamerlan ou La Mort de Bajazet (Parigi, 1675) di Jacques Pradon. La novità rivoluzionaria di Händel fu l’introduzione, per la prima volta in un’opera seria, di un ruolo da protagonista affidato a un tenore e di un suicidio rappresentato a scena aperta. L’intreccio si sviluppa attorno alla tensione tra due potenze maschili, Tamerlano e Bajazet, entrambi spietati e vendicativi. Il rifiuto di Bajazet di concedere sua figlia Asteria in sposa al nemico dà inizio a un domino di manipolazioni sentimentali e politiche. Asteria è infatti innamorata di Andronico, confidente di Tamerlano, che a sua volta dovrebbe sposare Irene, promessa del sovrano tartaro: un labirinto di relazioni che intrappola ogni personaggio in una rete inestricabile.

I costumi di Claudia Pernigotti evocano archetipi storici: Tamerlano, con cipria, codino e redingote, richiama alla mente Danton, ma anche Karl Lagerfeld. Icone del potere. Cucchi plasma i personaggi con taglio psicologico, proiettandoli in un presente indefinito dove si scontrano le forze del desiderio, della gelosia, del bisogno di riconoscimento. Ogni figura appare prigioniera del proprio universo, come pedina in un gioco più grande – quello del potere, della guerra, dell’impossibilità di scegliere. L’individualità è bandita; l’autonomia resta utopia. Una riflessione tutt’altro che datata.

La regia si sviluppa con intelligenza musicale: la direzione scenica respira con la partitura, trasmettendo un senso di urgenza emotiva e al tempo stesso un profondo rispetto per lo stile. L’orchestra barocca del Festival, diretta da George Petrou, si rivela potente e flessibile. Petrou, autentico mago del suono, guida l’ensemble attraverso le fragilità emotive della partitura: si alternano accensioni furiose, increspature cristalline, struggenti duetti come quello tra Asteria e Andronico.

Louise Kemény (Asteria) sfoggia una voce dolce e timbricamente affascinante, con una leggera ruvidità che ben restituisce la fierezza dolente del personaggio. Yuriy Mynenko (Andronico), in costume tra il Raumpatrouille Orion e Star Wars, incanta per musicalità e presenza scenica. Dara Savinova, nei panni della trascurata Irene, offre un mezzosoprano di grande fascino, teatrale e sensuale. Leone è interpretato con autorevolezza e timbro avvolgente da Sreten Manojlović.

Ma è Lawrence Zazzo, nel ruolo eponimo, a firmare una delle prove più intense della serata. Le sue arie di furia e follia, ricche di colorature effervescenti, dipingono un despota fragile, spezzato dall’umanità che lo minaccia. Zazzo costruisce un ritratto complesso e sfaccettato, dove la vocalità virtuosistica si intreccia con un’acuta introspezione scenica.

Juan Sancho (Bajazet) offre una lettura profonda e disperata: il suo personaggio è divorato dal tormento, ostinato nella sua rabbia, incapace di distinguere se stesso dal nemico. La regia lo trasforma in una figura marginale, quasi sciamanica, vestito di stracci e incatenato. La sua scena di morte è un culmine di pathos, interpretata con un’intensità travolgente.

Il finale è toccante: Tamerlano, ormai svuotato, si accascia sotto il corpo esanime di Bajazet. Tutti i personaggi, dapprima all’unisono e poi a voci divise, intonano a cappella le ultime note dolenti. Il lieto fine è negato. Nella morte di Bajazet, ciascuno si specchia nella propria vulnerabilità. Resta il silenzio. Resta il respiro sospeso. Un’uscita di scena memorabile per uno dei dramma per musica più oscuri e radicali di Händel. Applausi prolungati, standing ovation. Un trionfo.
Epilogo:
Oppure… era tutto un’allucinazione? Se invece Tamerlano fosse stato inscenato da sei pazienti in un ospedale psichiatrico, osservati da altrettanti infermieri le cui giacche bianche pendono fuori dalle celle? La scatola nera che accoglie lo spettacolo potrebbe allora diventare uno spazio mentale soffocante, popolato dai deliri di Andronico, ossessionato da Asteria, qui trasformata in una creatura erotomane che si abbandona languidamente sul divano con Tamerlano e gli infermieri, in una luce psichedelica. Realtà o sogno? Tamerlano sedato con una siringa, Andronico in una veste bianca che ricorda una camicia di forza, Asteria-isterica come una Ofelia annegata o una Lucia sonnambula. Bajazet – un Lear in catene – pronuncia il suo congedo con straziante potenza.

Visione, sogno, follia si fondono. Ed è la musica di Händel a dare loro forma, voce, respiro.

Barbara Röder
(17 maggio 2025)

La locandina

Direttore George Petrou
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Ernst Schießl
Peronaggi e interpreti:
Tamerlano Lawrence Zazzo
Asteria Louise Kemény
Bajazet uan Sancho
Andronico Yuriy Mynenko
Irene Dara Savinova
Leone Sreten Manojlović
FestspielOrchester Göttingen

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.