Il Mitridate coraggioso di Vicenza in Lirica

“L’Opera è giovane”. Il proclama del festival Vicenza In Lirica non è solo uno slogan per manifesti e locandine, ma un programma perseguito con lodevole attenzione, sia sul piano formativo che su quello esecutivo. Giovane, fra tanti altri protagonisti della rassegna, è ad esempio il cast del mozartiano Mitridate re di Ponto, che ha debuttato ieri sera al teatro Olimpico e verrà replicato domenica, a conclusione della manifestazione, giunta alla nona edizione. La maggior parte degli interpreti vocali, fra l’altro, è stata scelta grazie al concorso di canto intitolato a Tullio Serafin e bandito nella scorsa primavera proprio per assegnare i ruoli della prima opera seria del Salisburghese, andata in scena il 26 dicembre 1770 al Teatro Regio Ducale di Milano.

In quel momento, Mozart era ancor più che giovane: era un ragazzino che avrebbe compiuto 15 anni di lì a un mese e che si trovava in Italia da circa un anno, durante il primo e più lungo dei suoi tre viaggi nella Penisola. Si trattava del suo debutto assoluto nell’opera seria e si può quindi immaginare quanto fosse preoccupato il padre Leopold, che aveva la tendenza a vedere “cabale” dappertutto e nei mesi prima del debutto si era soverchiamente preoccupato perché gli sembrava che l’aristocrazia milanese fosse perplessa sulla scelta di affidare a un compositore ritenuto alle prime armi la composizione del Mitridate. Come andò a finire è raccontato dallo stesso Leopold in una lettera famosa alla moglie: «Si sono verificate due cose che non erano mai accadute a Milano: ossia che un’Aria della prima donna (contrariamente ad ogni abitudine della prima sera) è stata replicata […] e in secondo luogo, che dopo quasi tutte le Arie è seguito un applauso clamoroso, con grida di “Viva il Maestro”, “Viva il Maestrino”».

All’Olimpico le grida per Mozart non ci sono state, e nemmeno è stata replicata un’Aria di Aspasia, ma il risultato è stato più che brillante ugualmente: applausi durante la rappresentazione dopo ciascuna delle Arie, una decina di minuti di applausi e chiamate alla fine, con franco successo per tutti i protagonisti della serata. Qualcosa di molto simile a quanto era avvenuto nello stesso luogo 37 anni fa, all’inizio di luglio del 1984, alla chiusura della seconda edizione del festival “Mozart in Italia”, quando il Mitridate era approdato sulla scena palladiana (regia Jean-Pierre Ponnelle, direzione Roderick Brydon) come una vera e propria rarità che fino a quel momento, dopo la riesumazione salisburghese degli anni Settanta, aveva avuto ben poco corso.

Anche da questo punto di vista, le cose non sono cambiate. La prima opera seria di Mozart resta una rarità sui palcoscenici italiani, se è vero che la sua ultima apparizione – firmata da Graham Vick – risale a una ventina d’anni fa in quel di Torino. E a questo punto si può dunque affermare che l’Olimpico, con questa nuova proposta, si candida in certo modo a costituire un po’ la casa italiana del Mitridate. Il quale, sembra superfluo specificarlo, meriterebbe ben diversa attenzione. Si ha un bel dire che si tratta di un melodramma non facilitato dal soggetto, e dunque dal libretto, nel quale il compositore quindicenne dà mostra del suo talento “mimetico” per un genere come l’opera seria, che nel momento in cui ci si dedicava lui si stava avviando a profonde trasformazioni. In realtà è vero che spesso qui Mozart fa diligentemente i suoi compiti da “scolaro” sicuramente brillante, che si è preparato sugli esempi correnti di autori tutt’altro che secondari come Hasse. Ma è anche vero che ci mette molto del suo. E basti pensare alla straordinaria “gran scena” che occupa di fatto tutta la seconda parte del secondo atto, nel corso della quale il “figlio buono” di Mitridate, Sifare, rinuncia all’amore della sua vita, Aspasia, per il semplice fatto che essa è destinata a nozze appunto con il furibondo genitore, che di ritorno dalla guerra già sta minacciando sfracelli. Recitativi accompagnati, di forte impatto drammatico, un’Aria per ciascuno dei due personaggi e infine uno struggente Duetto. Colori strumentali straordinari, in logica già concertante (e basti pensare al corno obbligato che dialoga con Sifare in “Lungi da te mio bene”), scelte armoniche fortemente espressive, utilizzo “allargato” della forma tradizionale dell’Aria con “da capo”. Quello che verrà, nel teatro musicale mozartiano, ha qui un incunabolo, un precedente illuminante.

Le difficoltà della scrittura vocale mozartiana – segnatamente (ma non solo) per la parte del titolo, risolta con amplissima tessitura e “sprofondi” sul grave che richiedono un vero e proprio “baritenore” – sono un’altra spiegazione della cautela con cui Mitridate arriva alla scena. A maggior ragione, dunque, l’occasione offerta da Vicenza in Lirica ha le caratteristiche di una scelta rischiosa e coraggiosa, come dovrebbe essere proprio dei festival, che invece altrove non di rado si arroccano su posizioni fin troppo conservative.

All’Olimpico, l’impervio ruolo di Mitridate, non assegnato tramite il concorso, è stato sostenuto da Shanul Sharma, tenore di origine indiane e studi australiani. La sua è stata un’esecuzione volenterosa ma non del tutto convincente, irrisolta sul piano della caratterizzazione vocale del personaggio, spinta nella zona acuta ma senza grande smalto, poco sostenuta sul grave, non particolarmente efficace nella conduzione dei recitativi, in alcuni casi di forte tensione drammatica. Intorno a lui, il “figlio traditore” Farnace, che solo alla fine si ravvede, ha avuto la linea di canto pulita e il colore interessante del controtenore croato Franko Lisović, stilisticamente generico e scenicamente impalpabile. Assai interessante il soprano pure croato Darija Auguštan, che nel ruolo centrale di Sifare, “figlio buono” di Mitridate, ha fatto sentire consapevolezza stilistica, buona condotta del fraseggio, colori interessanti e duttilità espressiva specie nell’ambito patetico. La sua amata Aspasia era interpretata dal soprano russo Nina Solodovnikova, che ha voce svettante e tagliente ma spesso poco controllata sull’acuto, che tende così a stimbrarsi e appiattirsi e si è proposta con linea di canto dall’efficacia intermittente, più drammatica che sentimentale. Positiva Martina Licari, soprano siciliano che ha risolto la parte di Ismene con eleganza e impeccabile controllo dei fiati e delle dinamiche. E bene anche Alfonso Zambuto, buon colore a delineare il ruolo minore di Marzio, e Gloria Giurgiola nei panni di Arbate.

L’orchestra del festival, in organico essenziale, di stampo barocco, è stata diretta da Luca Oberti in un’esecuzione adeguatamente frastagliata nelle dinamiche e ricca di colore, tale da far cogliere come il linguaggio mozartiano stia in quest’opera cominciando a sviluppare le premesse dello stile galante nella direzione del Classicismo. Coraggiosa la scelta di utilizzare i corni naturali, fascinosi e rischiosi. Dal punto di vista dei forse inevitabili interventi sulla vasta partitura, notato salvo errore il taglio di due Arie (una di Sifare al primo atto e una di Ismene all’inizio del terzo) e una decisa riduzione dei recitativi, della quale non saremo noi a lamentarci.

Lo spettacolo firmato dal reputato basso-baritono Natale De Carolis è apparso in sostanza una “mise en éspace” attenta alla partitura mozartiana e di assoluto rispetto per la scena palladiana, lasciata sempre vuota con l’eccezione di una grande maschera teatrale spezzata appoggiata da un lato. Il lavoro sui cantanti è risultato essenziale, a volte efficace per gesti, movimenti e sguardi, a volte meno (come nel Finale, con un Mitridate ridotto quasi a icona cristologica, prima del perdono e della morte). Fra i segni registici più evidenti in un allestimento parso in vari momenti uno “studio preparatorio”, la scelta di sottolineare i complicati percorsi sentimentali e psicologici di Aspasia con la presenza (durante le Arie) di una sorta di “doppio”, mimico-danzante, ruolo efficacemente risolto da Giorgia De Luca. Luci e proiezioni sulla “frons scenae” sono parse talvolta anche suggestive, ma non del tutto a punto e un po’ schematiche. I costumi erano del genere moderno/senza tempo: fantasiosi ma discreti.

Cesare Galla
(9 settembre 2021)

La locandina

Direttore Luca Oberti
Regia Natale De Carolis
Light designer Andrea Grusu
Accademia delle Belle Arti di Verona
Assistente di regia Anna Perrotta
Video mapping Enzo Gentile, Sara Blanca, Irene Bonomi, Karen Giusto, Andrea Zanchetta
Responsabile creativo sartoria Giorgio Bagnoli
Scenografia Caterina Pinelli, Irene Bonomi, Matteo Corsi, Anna Covazzi, Karen Giusto, Marco Martini, Sara Pistore, Emily Scorzato, Cecilia Tacconi
Personaggi e interpreti:
Mitridate Shanul Sharma
Aspasia Nina Solodovnikova
Sifare Darija Auguštan
Farnace Franko Klisović
Ismene Martina Licari
Marzio Alfonso Zambuto
Arbate Gloria Giurgola
Danzatrice Giorgia De Luca
Attori Luca Rossi, Francesco Motta
Orchestra barocca del Festival Vicenza in Lirica

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