Il trionfo della semplicità: intervista a Mao Fujita

Dalla sedicesima edizione del Concorso Tchaikovsky diversi nomi sono emersi con grande forza: uno di questi è quello di Mao Fujita, ventenne giapponese che è stato l’unico concorrente a portare l’intera Sala Grande del Conservatorio Tchaikovsky verso la standing ovation, e per ben due volte. Il fanciullo giapponese non è in realtà uno sconosciuto: vincitore del Clara Haskil in Svizzera nel 2017, aveva già vinto il terzo premio al Gina Bachauer l’anno precedente. La medaglia d’argento al Tchaikovsky è quindi un definitivo trampolino di lancio per la fama di Mao Fujita, che incontro in hotel il giorno dopo la sua ultima prova.

  • Partiamo dall’inizio, come hai iniziato a suonare il pianoforte?

Avevo tre anni! Mio fratello maggiore, che ha due anni in più di me, aveva già cominciato a suonare, dunque per me è stato molto naturale, mi è bastato imitarlo. All’inizio lui era molto più bravo, anche durante le elementari e le medie, ma a differenza mia non amava studiare ed esercitarsi! Io al contrario ho sempre amato tantissimo suonare e studiare ed esercitarmi e quindi eccomi ancora qui!

  • Come hai capito che fosse la cosa giusta?

Durante il mio percorso scolastico ho fatto molte cose. Ho giocato a calcio (e amavo giocare a calcio!), a baseball, ho fatto atletica, ho fatto anche nuoto! Il tutto insieme al pianoforte. Ma poi ho capito che suonare era ciò che facevo meglio, quindi ho interrotto il resto e mi son concentrato su quello.

  • In tutto il Concorso sei stato l’unico concorrente ad avere non una ma due standing ovation da un pubblico entusiasta. Ma cosa significa suonare il pianoforte per te?

È una domanda difficile! [ride] È semplicemente la mia vita. Suonare il pianoforte, per sempre, questa è stata la mia promessa a me stesso. Ma sono rimasto così sorpreso di vedere tutto quell’entusiasmo dopo le mie esibizioni! Non so nemmeno perché sia successo, forse è stato il mio approccio onesto, non so! Però mi è davvero piaciuto suonare su quel palco, soprattutto Mozart!

  • Il che è particolare: molti pianisti hanno paura a portare Mozart ai concorsi.

Quella di Mozart è stata una scelta difficile, ma aver vinto il Clara Haskil mi ha dato fiducia nel fatto che avrei potuto suonarlo molto bene. Al Clara Haskil si suona soprattutto Bach e musica dal Classicismo, ma alle Finali dei tre finalisti uno ha portato il Secondo Concerto di Chopin, l’altro il Concerto di Schumann: io ho portato il Do minore [K 491 NdA] di Mozart. E anche quella decisione fu rischiosa, perché Chopin e Schumann offrono molte più occasioni di sfoggio tecnico, mentre Mozart in genere non è adatto ai concorsi. Eppure alla giuria piacque e il primo premio lo vinsi io! Così ho iniziato ad essere piuttosto sicuro del mio Mozart e così ho scelto di portarlo anche al Tchaikovsky!

  • Questa volta, però, in Finale non hai portato Mozart, ma il Primo Concerto di Tchaikovsky e il Terzo di Rachmaninov. Il primo è praticamente d’obbligo, ma perché Rachmaninov?

Anche Rachmaninov è un autore molto importante per me. Quando ho partecipato all’Hamamatsu Piano Academy, la professoressa Hiroku Nakamura c’era ancora e uno dei suoi cavalli di battaglia era proprio il Rac3. Con lei ho fatto così tante lezioni su quel Concerto e continuava a ripetermi che i russi conoscono benissimo il Rac3 e che bisogna fare tantissima attenzione al ritmo! Suonare questo concerto mi ricorda quelle lezioni. Ma devo ammettere che è stato veramente difficile affrontare le Finali. Ero nervosissimo, mi tremavano le mani, la giuria mi sembrava ancora più vicina e potevo vederli mentre mi osservavano: è stato il momento più brutto della mia vita intera! [ride] Intera! [ride ancora]

  • E tutto prima di cominciare!

Esatto! Ma una volta cominciato le cose sono andate meglio, ho iniziato a sentirmi più a mio agio e alla fine sono riuscito a godermi anche quell’esecuzione.

  • Tu però non sei un pianistone russo, piazzato, con mani enormi e forza infinita: come sei riuscito ad affrontare due Concerti così impegnativi uno dopo l’altro, senza morire?

[ride] Come dirlo? Non sono brani difficili, per me! Molti sostengono che il Rac3 sia uno dei concerti più difficili in assoluto, ma devo ammettere di riuscire a gestirlo senza grandi problemi. Il Rac2 invece, ecco, quello è stancante per me, più del Terzo! Sarà che il Rac2 è più faticoso per le mie mani, è più verticale, più accordi, mentre nel Rac3 trovo una tecnica a me più consona.

  • Anche il Primo di Tchaikovsky ha una tecnica piuttosto imponente, però tra cui le vertiginose ottave!

Sì, mi piacciono un sacco le ottave! [ride]

  • E le suoni anche discretamente bene!

Fantastiche, vero? [ride]

  • Nel terzo movimento, soprattutto, sei riuscito ad eseguirle ad una velocità e con una definizione ed un controllo davvero impressionanti. Come hai fatto?

Beh, quando le studio le penso sempre molto, molto più lente, anche se sul palco ovviamente non posso rallentare. Applicare diverse varianti ritmiche mi è utile, ma poi durante l’esecuzione mi concentro per pensarle tutte nota per nota. Penso alla nota successiva, quale sta arrivando, che colore deve avere, come deve risuonare nell’acustica e mentre suono penso, velocissimamente, “prossima”, “prossima”, “prossima”… Così mi aiuto a separarle e a controllarle meglio!

  • Hai parlato di studio, come hai affrontato lo studio per questo concorso, con un repertorio così vasto?

Quando prepari un concorso come questo il repertorio è davvero vasto, vai da Bach e Mozart fino a Rachmaninov e Prokofiev: ma questo mi ha aiutato! Avere così tanti compositori da studiare significa che posso decidere di cambiare costantemente e concentrarmi sul trovare un colore e un carattere diversi per ogni autore che devo suonare. Questo è quello che mi interessa quando suono e mi aiuta moltissimo: posso continuare a studiare ancora e ancora, mi basta cambiare autore!

  • Parlando di Prokofiev, in Semifinale hai suonato la Settima Sonata, un brano piuttosto diverso dagli altri del tuo repertorio, perché lo hai scelto?

Prima di decidere di portarla qui al Tchaikovsky avevo già studiato e suonato diverse volte la Settima, ancora due anni fa, e devo ammettere che mi piace tantissimo questo stile e questa musica! Perché, wah!, mi sembra di percepire con esattezza tutte le vivide impressioni di Prokofiev, ogni nota è precisa, è al posto giusto, è pensata. Suonando questa musica mi sembra di riuscire a ricostruire tutto il quadro del pensiero di Prokofiev ed essendo le intenzioni così chiare, la Sonata mi diventa molto facile da suonare. Ma non tecnicamente, affatto!

  • E ora hai vinto il Secondo Premio, congratulazioni!

Grazie!

  • Cosa ti aspetta adesso?

Beh, appena torno in Giappone devo suonare l’Imperatore di Beethoven, il 5 luglio, per un concerto già fissato. Ma non ho portato l’Imperatore al Concorso, quindi appena torno devo mettermi di nuovo sotto a studiare! Niente vacanze per me, nemmeno ad agosto!

  • E non ti pesa?

No! Per me è importantissimo suonare, fare musica e soprattutto produrre un suono: è il suono la cosa più importante, mi piace moltissimo concentrarmi sul suono, sulla bellezza di quel suono, sul come si propaga nell’acustica. Quanto veloce suoni non ha alcun valore, ma la bellezza del suono, quello è tutto  per me.

  • E di cosa pensi di aver bisogno per crescere, ora?

Sto pensando di andare a studiare all’estero per approfondire l’interpretazione di alcuni autori, ad esempio i compositori russi. E voglio concentrami sui classici, soprattutto Mozart, ma anche Haydn e Beethoven, quello è il mio repertorio preferito! Non per questo però desidero abbandonare il Romanticismo, che amo molto, il Novecento e la musica contemporanea. Penso di aver bisogno di espandere ed espandere il mio repertorio e mettermi alla prova su quanti più stili riesco!

Alessandro Tommasi

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