Il tripudio romano dei Berliner Philharmoniker

Potenza, precisione, compattezza, elasticità. Il concerto all’Auditorium di Santa Cecilia dei Berliner Philharmoniker,   ospiti del Roma Europa Festival, dell’Ambasciata di Germania in Italia, ha  permesso anche al pubblico romano  di apprezzare dal vivo le straordinarie qualità della celebre orchestra tedesca, guidata dall’austro siberiano Kirill Petrenko,  che esprime a pelle le suddette doti, ritracciabili a occhio nudo sin dal suo modo di entrare in scena, marciando con falcate ritmiche, misurate e sicure fino podio, prima ancora che dal rigore empatico della sua bacchetta.

Il concerto romano si è rivelato un tripudio: venti minuti di ovazioni, pubblico in delirio l’Auditorium pieno come un uovo, e un’emozione radente per tutto il concerto. Kirill Petrenko, da due anni direttore artistico dei Berliner, ha scelto due opere sideralmente distanti l’una dall’altra. Il concerto dei Berliner è iniziato con una meravigliosa pagina della musica romantica, la Sinfonia Scozzese, di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847), per finire con uno dei capitoli più foschi e al tempo stesso luminosi del Novecento, la Decima sinfonia di Dmitrij Šostakovič (1906-1975), composta all’indomani della morte di Stalin nel 1953. Mai contrasto tra epoche diverse, opposti stili e tragiche temperie esistenziali, poteva rivelare meglio la gamma infinita di virtuosismi e la potenza dell’orchestra berlinese.

Terza di numero, ma ultima di fatto delle cinque sinfonie di Mendelssohn, la  Scozzese in la minore op. 56  nacque durante il  primo viaggio che il musicista berlinese fece a Londra nel  1829, a soli vent’anni quando,  spingendosi fino alle Highlands,   scoprì a Holyrood  la malinconia  delle rovine di quello che un tempo era stato castello di  Maria Stuarda:   “Oggi siamo andati a visitare il palazzo dove la Regina Maria visse e amò…la cappella accanto e senza tette e vi crescono l’erba e l’edera. Anche l’altare dove Maria fu incoronata regina di Scozia è spaccato, e ogni cosa tutto intorno, sotto il cielo azzurro, è in completa rovina”, scrisse alla sorella Fanny, confidandole di aver sentito scoccare la scintilla della Scozzese proprio lì in quel luogo della memoria, teatro della tragedia romantica consacrata da Schiller, dai romanzi di Walter Scott e presto dall’opera di Gaetano Donizetti. Se immediata fu l’ispirazione, molto più lunga doveva essere la gestazione. La   terza sinfonia ebbe una composizione lunghissima, che durò più di dieci anni e attraversò varo altri viaggim in Scozia, nelle Ebridi, in Galles, tant’è che la prima esecuzione avvenne a Lipsia solo nel marzo 1842.  Di quell’atmosfera nordica brumosa e malinconica conosciuta trasfigurata da Mendelssohn, i Berliner  nel loro concerto romano hanno restituire alla perfezione il colore,   le sue infinite sfumature, il timbro, ora lirico, ora tragico, ora gioioso ora funebre, col tema dell’annuncio della morte nell’introduzione,  la distrazione del turista, affidata nel secondo movimento al clarinetto, davanti all’eco delle melodie popolari locali, e poi le cornamuse e la danza funebre dei fiati, che segnano l’Adagio in la maggiore, sino all’esaltazione finale dell’apoteosi corale nell’Allegro maestoso assai dell’ultimo movimento, dove  Mendelssoh, risolve  i due temi paralleli e opposti del lirismo e della battaglia.

Altrettanto epica, addirittura travolgente, se pensiamo alla tragedia storica alla quale rinvia e  al tutt’altro contesto politico rispetto a quello della regina di Scozia,  sovrana cattolica condannata a morte, e cioè al potere totalitario dello stalinismo, la Decima sinfonia di Dmitri Šostakovič ha trovato grazie ai Berliner l’esecuzione perfetta e magistrale, che esalta l’intensità violenta della partitura, la tempesta di timbri e percussioni, il silenzio assordante e la  miseria tetra del Novecento, che il compositore vissuto sotto lo stalinismo volle trasporre in musica, per farsi gioco del tiranno e liberarsene.  Pensiamo alla frenesia demoniaca dell’Allegro al secondo movimento. E’noto che Šostakovič cercò di tradurre nella sua musica la figura luciferina del dittatore georgiano, e finì  per farne un “ritratto spietato, inesorabile, come un maligno turbine di vento”, come si legge nelle memorie raccolte da Solomon Volkov e pubblicate  nel 1979, cinque anni dopo la sua morte, (uno dei libri chiave del XX secolo, lettura obbligatoria, esiste pure in  edizione tascabile Bompiani). “Non potevo scrivere un’apoteosi di Stalin, proprio non potevo”, confessò Šostakovič a proposito della Nona sinfonia. Ma morto il dittatore, iniziato il disgelo, lo jurodivyj timido e complessato,  che fino a allora in cuor suo era vissuto come ibernato tra il disgusto interiore e l’obbligo di apparire in pubblico come il musico di regime, riuscì finalmente a liberarsi dei suoi demoni, affermando la sua stessa identità, come si evince dalle quattro note, Re, Mi bemolle, Do e Si, che costituiscono l’elemento  strutturale del terzo movimento  e in fondo s la chiave dell’intera Sinfonia  e  che non sono altro che la trasposizione tedesca del monogramma  D (mitri) SCH (ostakovic) e dunque la firma di un compositore tormentato,  perseguitato dal potere, e finalmente libero, grazie alla morte del tiranno,  di affermare la propria dignità di artista e di patriota.

Marina Valensise
(21 novembre 2021)

La locandina

Direttore Kirill Petrenko
Berliner Philharmoniker
Programma:
Felix Mendelssohn Bartholdy
Sinfonia n. 3 “Scozzese”
Dmitri Šostakovič
Sinfonia n. 10 “Scozzese”

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