Lawrence Zazzo: «Voglio che il pubblico percepisca verità»
Lawrence Zazzo, talentuoso controtenore, filosofo, esploratore musicologico e filologo, torna sulle scene dell’Oper Frankfurt am Main. Dopo il clamoroso successo di Giulio Cesare in primavera, ritroviamo questo raffinato e straordinario interprete, nonché attore di profonda sensibilità umana, nel ruolo enigmaticamente tragico di Bertarido nell’opera Rodelinda di Georg Friedrich Händel. La produzione, firmata dal regista Claus Guth per l’Opéra de Lyon nel 2018, rappresenta un’acuta e psicologica indagine drammaturgica sulla natura umana ed è stata in seguito portata in tournée in Europa. Zazzo sarà poi protagonista nel ruolo eponimo di Rinaldo, opera seria di Händel, per l’inaugurazione del Festival Händel 2025 di Karlsruhe.
Dopo una breve tappa a Milano con L’Opera Seria di Florian Leopold Gassmann, sotto la direzione del celebre specialista del barocco Christophe Rousset, seguirà, nel maggio 2025, il Festival Internazionale Händel di Göttingen. Qui, Zazzo offrirà un’intensa introspezione barocca sul tormentato stato emotivo del violento e instabile sovrano nell’opera Tamerlano di Händel, ruolo in cui aveva già incantato il pubblico di Francoforte nel 2023. L’ispiratissima produzione di R. B. Schlather aveva allora esercitato un vero e proprio incantesimo sugli spettatori.
A Francoforte Barbara Röder ha incontrato Lawrence Zazzo per una conversazione approfondita e filosoficamente ispirata sui suoi ruoli prediletti, sul suo album Weeping Philosophers e sul futuro dei controtenori.
- Lei ha interpretato Giulio Cesare a Francoforte conferendogli un carattere emotivo ma al contempo sottile. È un ruolo emblematico per lei, un personaggio a cui si sente particolarmente legato?
Lo amo. Amo profondamente il ruolo di Cesare. Continuo a riscoprirlo, a offrirgli sfumature diverse, colori vocali sempre nuovi, affinché la sua essenza possa emergere attraverso la voce. Mi identifico molto con lui. Se la prima volta che ho cantato il ruolo sul palcoscenico avevo trent’anni, oggi ho all’incirca l’età che aveva lo storico Cesare quando incontrò Cleopatra, ossia poco più di cinquant’anni. Egli prova sentimenti, vive intrecci emotivi e le difficoltà che ne derivano. Per la prima volta nella sua vita, si concede il lusso di riflettere.
- La riflessione e l’introspezione sulla propria esistenza lo rendono più umano, ne fanno un personaggio il cui destino il pubblico può seguire ed esperire.
Esattamente. Cesare si evolve e scopre nuovi tratti del proprio carattere. È un uomo di successo e si interroga, in questo momento ‘storico’ d’oro della sua vita: “Ho ottenuto tutto ciò che desideravo. Posso davvero fidarmi del mio successo?” È un uomo di potere che ha sempre raggiunto i propri obiettivi. È ‘felice’ perché è convinto di avere il pieno controllo su ciò che lo circonda, sul proprio destino. Ma proprio al culmine della sua gloria, incontra l’amore per la prima volta.
L’amore lo sorprende. È un sentimento nuovo, forse perfino esotico per lui. Si rende conto di avere davanti a sé una versione femminile e più giovane di sé stesso: Cleopatra. Ella è bellissima, intelligente e straordinariamente affermata. In questo incontro risuona in lui la nostalgia di ciò che era in gioventù. Nella celebre Aria del Velo (quando Cesare danza cantando attorno al velo bianco smarrito da Cleopatra), egli si abbandona a un amore euforico: è sopraffatto da una gioia infantile. Ma proprio in quel momento di abbandono, nel quale sente l’amore e l’ebbrezza della passione, si espone al pericolo. Ed è infatti in quel frangente che viene attaccato da Tolomeo, il fratello di Cleopatra. L’innamoramento rende vulnerabili!
- È innamorato davvero, o piuttosto innamorato dell’idea di essere innamorato?
È una domanda difficile. Credo entrambe le cose.
- Händel, con il suo librettista Haym e il violoncellista solista, trasforma Giulio Cesare, il grande condottiero, in un uomo. Pensa che questa storia sia ancora attuale?
Oggi il pubblico è costantemente esposto a esempi tutt’altro che ideali di politici e leader mondiali, sia in Oriente che in Occidente, in Europa come in America. Non prova simpatia per Cesare. Non si fida di lui. La sua vulnerabilità nell’incontro con l’amore lo rende più umano agli occhi dello spettatore? Io cerco di accompagnare il pubblico nel viaggio interiore di un uomo che ha tutto, e che tuttavia si trova sorpreso dall’amore.
- Forse è persino sopraffatto e poi intraprende il viaggio. Non credo che il pubblico percepisca Cesare in quel modo. L’attenzione di Händel non è inizialmente rivolta proprio a Cesare? Solo in seguito Cleopatra prende il centro della scena. È un’idea astuta.
Esatto, ma nella nostra produzione il focus è su Sesto, il figlio del defunto Pompeo. È il suo percorso e il suo destino che devono essere seguiti, perché potrebbe diventare un buon sovrano e quindi una figura di riferimento. Tuttavia, porta dentro di sé un trauma irrisolto. Cornelia, la madre di Sesto, è interiormente devastata. Il futuro risiede in Sesto. Sì, Sesto potrebbe diventare un nuovo Cesare!
- Il pubblico di Francoforte ha appena avuto modo di rivederla nei panni di Bertarido. Guth ha tratteggiato per noi un personaggio complesso, trasformando tutti gli interpreti dell’opera Rodelinda in figure tormentate. La sua è una visione cupa: il figlio di Bertarido, Flavio (un ruolo muto nell’opera di Händel), assiste al padre che uccide. Questo evento genera in lui un trauma. Quando Bertarido ritorna dopo la sua fuga precipitosa, con un’emotività travolgente e arricchito musicalmente da ogni sfumatura di rimorso, vendetta e amore, lotta per il proprio figlio traumatizzato. Cosa trasforma Bertarido? Cosa lo turba, lo ferisce e, infine, gli dona sollievo?
Ho interpretato sia Unulfo che Bertarido in altre riprese di questa produzione, a Madrid, Lione e Amsterdam. Il contrasto tra questi due personaggi è molto interessante. Unulfo è un individuo moralmente integro, la bussola etica dell’opera: leale, ingegnoso, coraggioso. Bertarido, invece, è un personaggio ben più ambiguo dal punto di vista morale. Claus Guth mette in scena l’ouverture mostrando Bertarido che uccide il proprio fratello, il quale tentava di usurpare il trono: un omicidio a cui Flavio assiste impotente. Bertarido poi ritorna dall’esilio sotto mentite spoglie, ma si scaglia contro Rodelinda per la sua presunta infedeltà, nonostante ella agisca unicamente nell’interesse di Flavio e creda Bertarido morto. Rodelinda arriva persino a sfidare Grimoaldo a uccidere suo figlio—un gesto estremo!
La produzione di Guth riesce (quasi) a sciogliere questa “nebulosa morale” attraverso un elemento fondamentale: il loro amore per Flavio. È proprio per il figlio che Bertarido decide di offrirsi in sacrificio, nel tentativo di essere, almeno una volta, un buon esempio per lui. Tuttavia, Claus Guth ci mostra chiaramente che al trauma non esiste un vero lieto fine, nessuna guarigione definitiva: Flavio continua a essere perseguitato dai suoi demoni, mentre la coppia apparentemente felice riprende la propria relazione. Anche Bertarido e Rodelinda sono feriti, consapevoli di vivere in un mondo segnato dalla violenza e dalla corruzione, ma sembrano ignorare il dramma interiore del figlio. È un messaggio decisamente moderno, ma credo necessario: la natura imperfetta di quasi tutti questi personaggi consente al pubblico di immedesimarsi in loro in modo più autentico rispetto a quanto avrebbero potuto fare gli spettatori del XVIII secolo.
- Ho notato che, quando Bertarido entra in scena sotto un cielo stellato, osservando la sua dimora perduta, gioca con delle pietre bianche tra le mani. Hanno un significato per lui? Alla fine di Rodelinda, Bertarido uccide di nuovo. È nella sua natura? Trovo macabro il modo in cui si lava le mani nello stile di Macbeth, prima del banchetto nella scena finale, mentre nemici e alleati celebrano la pace. Lentamente, con estrema consapevolezza. Mi ha colpito molto.
Non avevo mai considerato l’associazione con Macbeth, ma è interessante. Proprio come Lady Macbeth, non riesce a liberarsi del sangue versato. Naturalmente, uccide Garibaldo per salvare Grimoaldo, ma è evidente che è stanco della violenza—eppure, nella Lombardia del VII secolo, una sorta di Game of Thrones, non esiste alternativa alla lotta sanguinosa per il potere. Per me, le pietre hanno un duplice significato: da un lato, rappresentano la morte e la caducità della vita (evocate dalla lapide che leggo prima di Dove sei); dall’altro, simboleggiano la natura, con la sua costanza e capacità di rinnovamento (richiamata nell’aria dell’Atto II Con rauco mormorio).
- Quando ha contratto la febbre del teatro?
Sono stato sul palcoscenico da quando ho memoria. Mi sento ancora radicato alla scena. Da adolescente ho vissuto momenti davvero magici: ero un piccolo prestigiatore, Il Grande Zazzini, e mi esibivo alle feste di compleanno per bambini. Ricordo con affetto la mia bacchetta magica e il mantello da mago, che alimentavano la mia fantasia nel New Jersey della mia infanzia. Mia madre era una stage mother nel miglior senso del termine: mi incoraggiava e mi accompagnava alle prove del coro e del teatro giovanile, che erano il nutrimento della mia adolescenza. Al liceo, però, il teatro non mi piaceva affatto e non ero particolarmente attratto dall’opera: mi sembrava tutto esagerato. Preferivo cantare nel coro.
- C’è un ruolo che sogna di interpretare?
Credo che non sia ancora stato scritto per me. Sono molto attratto dalle opere contemporanee, che mi permettono di esplorare nuovi aspetti della mia voce e di me stesso. Ho un legame speciale con le composizioni di Rolf Riehm e ho amato lavorare con lui. Nel 2020, ho interpretato Paradise Lost di Geoff Page, un monodramma basato sull’epopea di Milton, nel quale ho dato voce e corpo a Satana: un progetto straordinario che mi ha permesso di esprimere ogni sfumatura della mia voce di petto.
- Vorrei chiudere con una domanda che faccio sempre agli artisti: qual è la domanda che vorrebbe sentirsi porre e che nessuno le ha mai fatto?
È una grande domanda, molto interessante.
Dove stanno andando i controtenori? Quale sarà il futuro di questa vocalità? Siamo solo un episodio fugace nella storia dell’opera, una moda passeggera, o resteremo parte integrante del panorama operistico?
- Il canto di controtenore non sta morendo.
Me lo ripeto anch’io: Händel non ha scritto per me. Io non sono un castrato. Perché canto questa musica con una voce “sbagliata”? Non dovrebbero essere le donne a interpretare questi ruoli? Händel scriveva per castrati e mezzosoprani.
Ci rifletto spesso. Sì, le donne cantano questi ruoli magnificamente. Tuttavia, credo che io e i miei colleghi controtenori portiamo un’intensità drammatica che dissolve alcuni di questi dubbi. Voglio che il pubblico percepisca non solo colori e sfumature vocali, ma soprattutto verità. Nonostante—o forse proprio grazie alla—nostra “voce falsa”.
Barbara Röder
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