Leone Magiera: Karajan

È da pochi giorni sugli scaffali delle librerie Karajan, Ritratto inedito di un mito della musica (pagg. 265, euro 18), l’omaggio che Leone Magiera rende a uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, uscito per i tipi di La nave di Teseo in una bella veste grafica. Un libro di scorrevole ma non scontata lettura che del Maestro salisburghese, di cui Magiera fu stretto collaboratore, offre una visione sorprendente.

Puntuale nell’analisi in profondità di una leggendaria tecnica direttoriale, Magiera è anche senza peli sulla lingua nel restituire del Wunder Karajan aspetti umani mai raccontati in precedenza: il senso dell’umorismo, la disponibilità, la generosità nei confronti degli artisti giovani, l’abilità nel travestirsi per sfuggire alle situazioni più difficili o semplicemente per non farsi riconoscere, la curiosità, il piacere del pettegolezzo.

Una miscela di serio e faceto che Magiera, uomo di lettere oltre che di musica, gestisce con diabolica efficacia e che ti tiene legato a lui, o meglio al suo bello stile di scrittura, dalla prima all’ultima pagina.

Nato a Modena nel 1934 da padre ingegnere di un’antica famiglia di giuristi, già a dodici anni Magiera si esibiva come pianista.

È stato però anche direttore d’orchestra, dirigente teatrale, per esempio alla Scala e al Maggio Fiorentino, collaboratore pianistico in recital cameristici di quasi tutti i più celebri cantanti della scena lirica internazionale. E’ cresciuto alla scuola di Lino Rastelli, Giorgio Vidusso e Alberto Mozzati e si è diplomato in pianoforte col massimo dei voti all’età di diciotto anni, al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma. Si è diplomato poi in canto, direzione di coro, composizione e musica corale al Conservatorio “Giovan Battista Martini” di Bologna, di cui diventerà docente a soli venticinque anni e dove insegnerà per trentacinque.

Fra i tanti allievi divenuti celebri, ha avuto Luciano Pavarotti, cui ha dedicato un libro di successo internazionale, Mirella Freni, sua prima moglie e qui incaricata di una nitida e stringata prefazione che appare postuma, Ruggero Raimondi e, più recentemente, Carmela Remigio, Fabio Sartori e Mariangela Sicilia.

Con Pavarotti, di cui è stato maestro sin dagli inizi, ha tenuto oltre mille serate teatrali dalla prima Bohème con cui Big Luciano debuttò nel 1961 a Reggio Emilia, all’ultima esibizione per le Olimpiadi invernali del 2006. Con Herbert von Karajan, oggetto della sua sconfinata ammirazione,  Magiera ha avuto un rapporto artistico di particolare intensità: il Maestro austriaco lo volle come collaboratore per numerose produzioni operistiche e come coordinatore dei corsi per cantanti lirici al Festival di Salisburgo.

Mai, ci racconta l’autore, avrebbe immaginato che il motivo per cui si sarebbero incontrati, sarebbe stato la ragazza con cui iniziò a flirtare a Modena: Mirella Freni, non ancora famosa e alla sua prima scrittura importante all’estero. Siamo nella campagna inglese del Sussex dove si svolge il Festival mozartiano di Glyndebourne, inizi anni Sessanta del secolo scorso.

La coppia riceve un telegramma della Scala: Karajan vuole la giovane cantante nella Bohème che Franco Zeffirelli metterà in scena nella sala del Piermarini. Un’edizione destinata a entrare nella storia.

Lo stupore della coppia è grande, e ancor più grande è quello di Ilva Ligabue, anche lei in locandina a Glyndebourne, e che le voci davano come certa Mimì di quella produzione. Da gran signora, quale Ilva era indubbiamente, racconta Magiera, la Ligabue non poté che articolare poche parole: “Sono contenta per te. Avrai la fortuna di cantare sotto la bacchetta del più grande direttore del mondo.”.

Karajan dunque. L’incontro alla Scala rivelò al mondo la voce della Freni, ma fu anche l’occasione per creare con Magiera un rapporto di amicizia e di fiducia che durerà nel tempo. Il libro non si limita a ripercorrerne le tappe, ma rende più viva e umana la figura in qualche modo ieratica di un Maestro che come pochi seppe creare di sé, grazie anche alle sue produzioni televisive, un Mito.

Personalità controversa e, in apparenza ostica, quella di Karajan. Viziata sul nascere da un’adesione al partito nazista che contribuì a farlo emergere ma con cui il rapporto non fu idilliaco. Hitler, è noto, preferiva Furtwängler al Wunder Karajan. Le relazioni si guastarono definitivamente quando il 22 ottobre del 1942 Karajan sposò in seconde nozze Anita Gütermann, di origini ebraiche, una Viertel-Jüdin, unica erede di una famiglia di industriali che producevano cucirini di seta. Con la Gütermann, Karajan resterà sposato per sedici difficili anni e la coppia, finita la guerra, dovrà rifugiarsi in Italia.

Il piacere del travestimento verrà in aiuto del Maestro anche in questo drammatico frangente e, nelle vesti di un barbone, fingendosi cieco, raggiunge Trieste quasi allo stremo delle forze, dove è costretto a elemosinare. In Piazza dell’Unità lo riconosce Nino Sanzogno, il direttore d’orchestra veneto, impegnato in quei giorni al Teatro Verdi e in buona amicizia con Karajan.

È Sanzogno che, dopo i molti mesi trascorsi da clochard offre a Karajan un bagno caldo, nuovi vestiti, cibo, e che lo ospita per qualche tempo prima che al Maestro si aprano le porte di casa de Banfield e che il Barone Raffaello e sua madre, Maria Tripcovich, gli diano l’opportunità di tornare sul podio a Trieste, prima, e alla Fenice poi. Una serie di concerti che riporterà Karajan in sella.

Inutile rivelare in questa sede gli innumerevoli episodi che Leone Magiera racconta nel suo Karajan, lasciamo al lettore il piacere di scoprirli.

Alcuni sono esilaranti e vedono scorrere sulle pagine figure che ogni musicofilo ama e apprezza. Pavarotti e la Freni, certo, ma anche Jon (e non John, come nel libro) Vickers e Leontyne Price, Raina Kabaivanska e Placido Domingo, Riccardo Muti e Mario Del Monaco, Montserrat Caballé e Nicolai Ghiaurov, Cecilia Gasdia e Fiamma Izzo D’Amico.

Un trattamento privilegiato è riservato Carlos Kleiber, altro Maestro entrato nella mitologia, che Karajan apprezza e stima, ricambiato dal più giovane collega dalla personalità fragile che il pettegolezzo dice figlio non di Erich, ma di Alban Berg. E Piero Cappuccilli, il grande baritono triestino dal carattere e dalla vocalità esuberanti cui chi scrive ha dedicato, non a caso, una monografia. L’episodio che vede al centro i due è forse uno dei più esilaranti fra quelli raccontati da Leone Magiera nel suo Karajan, libro prezioso e, a tratti, scanzonato. In una parola: da leggere.

Rino Alessi

Leone Magiera
Karajan. Ritratto inedito di un mito della musica
La Nave di Teseo, pagg. 265

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