Malmö: Falstaff funziona anche da anchorman (e in streaming)

Fino a ieri, chi scrive aveva un’idea quanto mai vaga dell’Opera di Malmö. Ora può raccontare – come appunto qui si accinge a fare – di avere assistito a una rappresentazione avvenuta nel teatro della città svedese che fronteggia Copenaghen, in Danimarca, alla quale è collegata dallo straordinario ponte di Øresund, un po’ viadotto e un po’ galleria sottomarina.

Merito dello streaming in tempo reale, naturalmente. E quindi, paradossalmente, dell’epidemia. A suo modo, piccola dimostrazione dell’assunto secondo il quale dentro alle crisi, anche quelle devastanti come questa, ci sono gli elementi per la crescita e per un positivo cambiamento.

Quando ne saremo fuori, vedremo se ci sarà la volontà (e la forza, anche economica) di continuare a battere le strade delle nuove tecnologie che oggi portano sulla scrivania, o sul televisore di chiunque sia interessato, musica e spettacoli che si fanno ai quattro angoli della Terra. Nel frattempo, posto che alternative attualmente non ce ne sono, l’emergenza permette di fare l’esperienza di soluzioni anche complesse, nelle quali il discorso sullo spettacolo dal vivo e sulle sue possibili mediazioni tecnologiche, intrecciato  e/o condizionato dalla necessità di garantire la sicurezza sanitaria di chi lo realizza, diventa esso stesso, progetto registico, soluzione scenografica, narrazione teatrale.

È quello che accade in maniera esemplare – nel senso che costituisce un esempio, a prescindere dal giudizio – nel Falstaff allestito a Malmö, sabato al debutto. In un piccolo video che si trova sul sito dell’Opera di Malmö (http://www.malmoopera.se/), la regista olandese Lotte de Beer e lo scenografo-costumista austriaco Christof Hetzer spiegano che prima dell’epidemia la loro idea era quella di collocare l’opera di Verdi da Shakespeare in una sorta di Fattoria degli Animali e che l’emergenza li ha indotti a pensare qualcosa di molto diverso e molto più tecnologico. Cercando appunto di mettere insieme la loro idea del capolavoro ultimo del bussetano, una sua narrazione in qualche modo plausibile al di là delle accentuazioni tecnologiche, una risposta alle esigenze di sicurezza che impongono di mantenere a distanza gli interpreti in scena.

Risultato? L’Osteria della Giarrettiera è uno studio televisivo molto all’americana, di un’emittente chiamata Real News (ogni assonanza è puramente voluta). Sir John Falstaff è un “anchor” fasciato in un abito blu elettrico, e ostenta una volgarità pari al suo cinismo e alla sua grottesca vanagloria. E nel giorno in cui finalmente l’America ha un nuovo presidente che è anche “a decent man” (copyright Bernie Sanders), il pensiero pure corre, inevitabilmente, oltreoceano.

Com’è naturale, le lettere con cui Falstaff cerca di sedurre le due comari di Windsor, Alice e Meg, sono messaggi di posta elettronica. Le comari le leggono nel corso di una riunione sulla (oggi) popolare piattaforma Zoom alla quale partecipano anche la giovane Nannetta e la salace Mrs. Quickly. Nessuna è in presenza, ciascuna nella sua stanza o nel tinello di casa, allineati e separati lungo il palcoscenico. Così, le tenerezze fra Nannetta e il suo innamorato Fenton si svolgono in una realtà virtuale di pacchiana artificiosità, di cui sia i pochi spettatori in sala a Malmö, sia chi assiste allo streaming, hanno contezza grazie al grande schermo che sovrasta la scena.

La grande burla, che si concluderà con il lancio nel Tamigi della cesta in cui è nascosto Falstaff, ha le cadenze di una sorta di reality show irto di diavolerie video-tecnologiche (fondamentale l’uso del “chroma key” assicurato da vari “green wall”), che avvengono in tempo reale fra dimensioni reali e dimensioni da giochi con i pupazzi e le case delle bambole.

Coerente con l’assunto di regista e scenografo fino a tutto il secondo atto, l’allestimento (cui danno un apporto decisivo Alex Brok per le luci e Charlotte Rodenstedt e Bloody Hooney per il videodesign) cala di mordente nel terzo.

Il misterioso e ilare Notturno ordito da Verdi e Boito rimane irrisolto e statico in uno scenario che sembra essere lo studio Tv del primo atto ridotto a una sorta di discarica, senza nuovi colpi di teatro che non siano la trasformazione di Falstaff in un porco, con tanto di naso, orecchie e coda. Né l’obbligo dei distanziamenti aiuta a dare efficacia teatrale-visuale a una scena in cui il contatto fisico fra tutti i personaggi ha un ruolo sostanziale.

Per due terzi, però, lo spettacolo funziona eccome. Realizzando fra l’altro un’ambiguità che in qualche modo lo rende anche più intrigante. Se infatti i presenti in sala a Malmö (50 persone in una sala da 1500) vi assistono un po’ come la gente davanti al piccolo schermo nel celebre film “The Truman Show”, avendo cioè la percezione completa e costante della fiction in tutti i suoi elementi, quelli tradizionalmente teatrali (i personaggi sono pur sempre in carne e ossa) e quelli tecnologici, chi assiste allo streaming dal vivo è condotto in una dimensione molto più ambigua. Spesso, infatti, la regia video lo porta letteralmente “dentro” alla combinazione fra le immagini “reali” e quelle tecnologiche, e solo a tratti gli offre la visione propria a chi è seduto in poltrona sul posto. Per dire: chi non apprezza i primo piano video-televisivi sui cantanti, qui farebbe meglio ad astenersi: talvolta ci sono “close-up” che riempiono letteralmente lo schermo. Così funziona la Tv spazzatura di cui De Beer e Hetzer si fanno beffe.

Oltre le immagini, un Falstaff decisamente rilevante è quello che si ascolta. Dal podio, Steven Sloane stacca tempi brillanti, che disegnano la commedia con un’efficacia immediata e vivace, assai ben articolata nei colori orchestrali. Un piglio ironico e coinvolgente, che illumina la sapienza del grande vecchio intento a dare sostanza musicale all’assunto che “tutto nel mondo è burla” senza rinunciare ad alcun sofisticata tecnica compositiva, ma stendendo su tutto l’ala della sua superiore benevola comprensione.

Compagnia di canto di notevole livello, omogenea per tecnica e vocalità, ammirevole nella padronanza dell’italiano. Misha Kiria, baritono georgiano, disegna un Falstaff di magnifica presenza scenica, dalla corposa cantabilità accoppiata a qualità attoriali impeccabili, specie considerando quanto spesso sia in primissimo piano. Un Falstaff cinico e grottesco al quale fanno degno contorno Jonas Duran (Bardolfo), Nils Gustén (Pistola) e Niklas Björling Rygert (Dr. Cajius), che danno preciso risalto musicale e scenico ai mediocri scagnozzi e al pomposo notabile. Ford è Orhan Yildiz, linea di canto duttile e ricca di mobilità espressiva. Assai ben assortito anche il gruppo delle comari, con l’ironica ma giustamente poco caricaturale Quickly di Maria Streijffert; l’elegante Alice di Jacquelyn Wagner, bel colore sopranile in costante controllo anche sull’acuto; l’efficace Meg di Matilda Paulsson.

La coppia degli amorosi è costituita da Alexandra Flood, tenera Nannetta e da Sehoon Moon, tenore coreano dal colore chiaro e dal fraseggio di interessanti sfumature.

Lo streaming dall’Opera di Malmö sarà solo in presa diretta (e non on demand) anche per le nove repliche di questo Falstaff, in programma l’11, 14, 20, 22 e 25 novembre e ancora l’1, 6, 10 e 26 dicembre. Streaming a pagamento, com’è naturale che sia, e prezzo più che ragionevole: il biglietto costa 100 corone svedesi, circa 10 euro. Si fa tutto online abbastanza facilmente, anche se non si sa lo svedese, lingua predominante del sito, che offre solo pochi “aiuti” in inglese.

Cesare Galla
(7 novembre 2020)

La locandina

Direttore Steven Sloane
Regia Lotte de Beer
Scene e costumi Christof Hetzer
Coreografia Gail Skrela Hetzer
Luci Alex Brok
Videodesign Charlotte Rodenstedt, Bloody Honey
Drammaturgo Peter te Nuyl
Personaggi e interpreti:
Sir John Falstaff Misha Kiria
Alice Ford Jacquelyn Wagner
Ford Orhan Yildiz
Nannetta Alexandra Flood
Fenton Sehoon Moon
Mrs Quickly Maria Streijffert
Meg Page Matilda Paulsson
Bardolfo Jonas Duran
Pistola Nils Gustén
Dr. Cajus Niklas Björling Rygert
Malmö Operaorkester
Malmö Operakör
Maestro del coro Elena Mitrevska

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