Matthias Schulz : all’opera serve un nuovo pubblico

Dopo gli studi in economia e in pianoforte al Mozarteum Matthias Schulz è Sovrintendente della Staatsoper Unter den Linden a Berlino dal 2018, dopo due anni come Ko-Intendant dal 2016. Ma la sua esperienza comincia a Salisburgo, dove tra i vari ruoli è stato Head of Concert Planning ai Salzburger Festspiele e poi General Artistic and Managing Director della Fondazione Mozarteum. La carriera del manager quarantaquattrenne (classe 1977, lascio al gentile lettore la riflessione sull’età media delle medesime cariche in Italia) non termina però qui: dal 2025 Schulz succederà ad Andreas Homoki come sovrintendente dell’Opernhaus di Zurigo. Dopo la mia tre giorni alla Staatsoper berlinese, documentata per Le Salon Musical, ho modo di raggiungere telefonicamente Schulz per scambiare qualche parola sull’organizzazione teatrale odierna.

  • Sono ormai quasi due anni dall’arrivo della pandemia. Qual è l’obiettivo di un teatro oggi?

In primo luogo è ricreare una forma di normalità e riportare le persone in teatro. Dobbiamo lottare per riprendere il ritmo, la routine delle operazioni e tornare a mettere in scena produzioni che parlino direttamente al pubblico, che lo tocchino da vicino, che gli permettano di guardarsi allo specchio. Per questo mi sembra particolarmente centrale il coro, che storicamente rappresenta la società.

  • Proprio il coro, però, è tra gli elementi più colpiti dalla pandemia. Durante i tre spettacoli cui ho assistito a Berlino non ho visto nessuna mascherina sul palco, come fate?

Nonostante si stia cercando di tornare ad un ritmo produttivo più serrato, bisogna chiaramente seguire ancora delle necessarie precauzioni. Chiunque lei abbia visto sul palco, sono stati testati prima di salirvi, senza alternative. Facciamo test molecolari tre volte alla settimana, dividendo in ‘gruppi di protezione’ il personale, in base a chi dovrà agire sul palco. Questo significa non solo il coro ma anche tutte le maestranze e il resto del personale in contatto con il palcoscenico.

  • Al di là delle difficoltà logistiche, ha notato un cambiamento nel modo in cui si fruisce la cultura?

Abbiamo due punti di vista sulla fruizione, ora. Da un lato una consistente parte di pubblico che ha un fortissimo desiderio, una vera nostalgia per il teatro. È una cosa che si percepisce entrando in sala e con ancora più chiarezza dall’euforia al termine di una recita. C’è anche tantissima riconoscenza per chi permette a tutto questo di avere luogo. L’altro punto di vista è quello di quella parte di pubblico che chiaramente è titubante all’idea di chiudersi in un edificio con grandi gruppi di persone. Poi c’è un’altra grande assenza, ossia il pubblico internazionale che Berlino in genere attrae, ma su quello possiamo fare meno. Ciò che dobbiamo fare è da un lato mostrare che il teatro è un lato sicuro, dall’altro mettere in risalto l’euforia e la felicità di chi torna in sala.

  • E serve anche un nuovo pubblico?

Necessariamente. Alla Staatsoper abbiamo colto l’occasione per intraprendere un’azione rivolta agli under 30, “Staatsoper zum Kinopreis”. Fondamentalmente permette ai giovani di acquistare i biglietti ad un prezzo molto contenuto, in qualsiasi posto ancora disponibile, a partire da 15 minuti prima dell’inizio dello spettacolo. Questo progetto ha avuto un successo enorme e abbiamo rapidamente terminato tutti i biglietti disponibile con questa formula, portando un pubblico veramente nuovo, che in molti casi entrava per la prima volta nel nostro teatro. Questa è stata anche l’occasione per parlare con questo nuovo pubblico.

  • Ad esempio con repertorio contemporaneo? Oppure anche gli under 30 prediligono Lohengrin e Traviata?

(ride) Prima di rispondere alla domanda, vorrei fare una premessa. In questo specifico momento storico, dopo essere tutti rimasti per mesi chiusi in casa, andare a teatro e ascoltare la musica dal vivo è già un’enorme emozione e la durata degli spettacoli sembra non essere più un problema. Spero veramente che questo desiderio di andare a teatro rimanga anche nel futuro! Per tornare alla sua domanda, la musica contemporanea svolge un ruolo essenziale, ma questo anche perché dobbiamo continuare a tessere il nuovo repertorio del teatro. Il che non significa solo nuova musica, ma anche nuove regie, nuove figure capaci di entrare in dialogo con un linguaggio visuale più giovane e moderno. Le faccio un esempio, per Sleepless di Eötvös abbiamo collaborato con Kornél Mundruczó, regista recentemente alla ribalta per Pieces of a woman su Netflix. Il suo linguaggio estetico è molto specifico e molto riconoscibile, dialoga con un pubblico ben preciso. Infatti per coinvolgerlo ulteriormente, abbiamo organizzato un cocktail and movie night, proiettando il suo White God. Gran parte del pubblico che è venuto all’evento è poi confluito nella visione di Sleepless, automaticamente. È questo ciò che intendo con ‘tessere’ il nuovo repertorio e il tessuto che ne origina va tagliato su misura per il pubblico cui ti rivolgi.

  • Ha parlato di Netflix. L’idea di una opera-serie, con episodi di breve durata, è un possibile format de futuro?

Assolutamente. Bisogna costruire questi format, bisogna sperimentare, bisogna innovare.

  • Parlando di futuro, dal 2025 sarà il prossimo Sovrintendente dell’Opernhaus di Zurigo. Qual è il suo sogno?

Il mio sogno sarebbe poter mostrare tutta l’incredibile varietà dell’opera lirica, poter mettere la forza espressiva di quest’arte davvero al centro della nostra società, mostrarne con chiarezza la rilevanza. Credo che al giorno d’oggi ci sia ancora più necessità di musica e di arte e che proprio per le caratteristiche del nostro mondo lo spazio per un’esperienza come l’opera sia enorme. Tra l’altro, Zurigo ha tradizionalmente un gran numero di prime e questo rapporto con la contemporanea è importantissimo. Poter mostrare la varietà senza diventare vago e casuale, ecco, questo sarebbe il mio sogno.

Alessandro Tommasi

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