Milano: il filo rosso di Salome

Il paggio di Herodias sa tutto ma deve tacere, come noi, d’altronde, pubblico consapevole di una vicenda che si annuncia tragica già dalle prime note.

Nella sua onnipresenza il paggio, reso anziana ancella, assiste in silenzio -come la luna nera che incombe sulla scena- al malessere interiore di Salome, donna, vittima, alla deriva della sua esistenza. 

La scena è una tomba in cui i personaggi si aggirano in un labirinto mentale senza via di fuga. Al centro un buco nero, l’inconscio che emerge nei comportamenti di una donna che agisce involontariamente, manovrata da un istinto che non le appartiene.

Scevro da ogni retorica sensuale, minimalista antididascalico, Damiano Michieletto – in totale simbiosi con gli insostituibili  Paolo Fantin, Carla Teti e Alessandro Carletti –affronta il grande titolo straussiano creando una serie di citazioni di natura simbolista che in parte riassumono con immagini iconiche l’essenza del dramma. 

Entriamo così nella psiche di Salome la cui bramosia non è l’atto in sé ma un autentico status mentale pre-orgasmico che implode in una costante negazione del desiderio verso un uomo descritto all’apice della sua bellezza ma in realtà visibilmente orrendo.

Alienata dagli abusi di Erode, Salome ripercorre, durante la celebre Danza dei sette veli, le violenze subite espresse da un abito bianco che si erge grondante di sangue. E ancora Salome bambina e il desiderio di ammazzare la madre.

Infine, incastonata in una raggiera di un ostensorio barocco, come una visione di Gustave Moreau, si eleva la testa di Jochanaan dalla quale sgorga un filo di sangue col quale Salome sigillerà un patto. 

Se Michieletto gioca sul versante minimalista-simbolista, la concertazione di Riccardo Chailly -che ha sostituito all’ultimo Zubin Mehta indisposto- mette in luce tutto lo splendore di una partitura avanguardista che potrebbe funzionare perfettamente come un immenso affresco sinfonico anche eseguita senza la parte del canto. L’orchestrazione di Strauss è lussuriosa nonché ardita e Riccardo Chailly da prova di conoscerne i segreti estraendo evanescenze timbriche, crescendi vividi, abbandoni e lividi bagliori il tutto gestito magistralmente nell’ampissimo spazio della platea, con nuove sonorità e distanze inusuali tra podio e palcoscenico. 

Condizioni insolite e non facili da gestire per una produzione concepita un anno fa agli albori di una pandemia che ancora oggi non ci lascia in pace. Ne sanno qualcosa i cantanti che nonostante tutto hanno affrontato la parte cercando di fare di necessità virtù.

Gli equilibri sonori piuttosto alterati dell’ascolto in teatro sono stati livellati nella ripresa televisiva facendo emergere le qualità liriche della brava Elena Stikhina che nell’ascolto dal vivo a tratti si perdevano. Ben caratterizzata l’Herodiads di Linda Watson, mentre della compagine maschile in teatro svettava maggiormente la voce di Gerhard Siegel nella parte di Herodes mentre Wolfgang Koch nei panni di Jochanaan ha avuto la meglio nella ripresa televisiva. 

Non è facile fare teatro in queste condizioni, la Scala sta riprendendo il suo corso con una programmazione sfaccettata, intanto però un anno è già passato.

Gian Francesco Amoroso 

(19 e 20 febbraio 2021)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Thomas Wilhelm
Personaggi e interpreti:
Herodes Gerhard Siegel
Herodias Linda Watson
Salome Elena Stikhina
Jochanaan Wolfgang Koch
Narraboth Attilio Glaser
Ein Page der Herodias Lioba Braun
Fünf Juden Matthäus Schmidlechner, Matthias Stier, Patrick Vogel, Thomas Ebenstein, Andrew Harris
Zwei Nazarener Thomas Tatzl, Manuel Walser
Zwei Soldaten Sorin Coliban, Sejong Chang
Ein Kappadozier Paul Grant*
Ein Sklave Chuan Wang
Orchestra del Teatro Alla Scala

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