Il Nabucco dei veterani

La Stagione della Scala si avvia al termine con il penultimo titolo in cartellone, il Nabucco di Giuseppe Verdi del 2013 (coprodotto con ROH, Liceu e Chicago Opera theatre) con la direzione di Nello Santi e la regia di Daniele Abbado.

Sulla deludente regia di Abbado jr molto si è detto e scritto. Non aiutano certo le scarne lapidi che si levano nella scena iniziale, dove babilonesi ed ebrei si mischiano senza soluzione di continuità, e che costituiscono uno dei pochi elementi scenografici di tutto l’allestimento. Non c’è uno sviluppo drammaturgico, né un’originale concatenazione di momenti scenici funzionali a esprimere la forza e  l’intensa drammaticità che caratterizzano quest’opera. Nabucco è un’opera corale, intensamente corale, nella quale i sentimenti hanno uno sviluppo primordiale, e devono trovare un’analoga declinazione sul palco. Ma non pare che la regia abbia adeguatamente sviluppato queste idee.

Una piacevole sorpresa è stata invece la direzione di Nello Santi. Chi dice che i tempi sono lenti, doveva essere alla Scala ieri sera. Già dalla sinfonia si avvertono tempi tutt’altro che dilatati, ma anzi calibrati in funzione della resa di quell’orchestrazione in senso lato “semplice” che caratterizza questo Verdi. I colpi di grancassa, che potrebbero tradire una connotazione più bandistica che sinfonica, vengono in qualche modo nobilitati dalla bacchetta del direttore. Il fuoco che infiamma la partitura non è solo un espediente registico che accompagna l’aria di Abigaille, ma anche una vera e propria tinta orchestrale che Nello Santi riesce a ricavare dalla compagine in vari momenti della serata. E poi ci sono i contrasti, netti, quasi abnormi, dalle passioni umane, che il direttore riesce a far emergere. Bellissima la tinta corposa e virile dei violoncelli nel Vieni o Levita (Scena III, Parte II), o altrove quel senso palpabile di dolore, raggrumato in un fraseggiar rotto e frantumato, espressione di un popolo oppresso. Nello Santi è arzillo, si diverte e fa divertire intonando in voce Oh felice chi morì.  Unico punto di scollamento tra il palco e il golfo mistico è l’Arpa d’or del Va pensiero, dove il direttore non ha saputo tenere le fila.

Sul cast vocale si evidenzia in primis la (prevedibilmente) buona performance di Leo Nucci.  Come ci si aspettava, è un Nabucco rigoleggiante, ma non per questo privo del dovuto carattere. Nabucco è qualcosa di nuovo nella produzione artistica del Bussetano perché contiene per la prima volta  le stigmate dei futuri padri verdiani (da Rigoletto, appunto, a Filippo II, Amonasro e Germont). Uomini infelici e tormentati, fatti di passione, dolore e amore, sempre in bilico sopra la follia. Leo Nucci esprime tutto questo magma emotivo ponendo enfasi sull’ira, la debolezza e la complessità del personaggio. Ogni frase è una lezione di canto.

Stefano La Colla (Ismaele) canta davvero bene. Emissione sicura, bel colore e  buona proiezione su tutta la linea. Peccato che quell’espressione “spaesata-sempre” dall’inizio alla fine della recita renda poco credibile il personaggio. Un maggiore affinamento attoriale consentirebbe di far emergere maggiormente la sua bella voce. Di certo non aiutano il cappotto oversize e la papalina scelti da Alison Chitty i cui costumi, in generale, non brillano per originalità e buon gusto.

Note dolenti per l’Abigaille di Martina Serafin. Il registro acuto metallico e privo di controllo rende ardua la resa del ruolo. Meglio nel canto di espressione e in generale nella presenza attoriale (e.g., ben riuscita la scena finale della morte), ma una vocalità così impervia come quella di Abigaille richiederebbe una tinta vocale più autorevole e minacciosa per esprimere quella disperata ambizione che la consuma.

La Fenena di Annalisa Stroppa è vocalmente calzante. La voce del mezzosoprano appare più corposa e sviluppata rispetto alle Suzuki e alle Meg precedentemente interpretate. Manca però una convincente caratterizzazione dei personaggi che ci auguriamo possa maturare con il tempo.  Mikhail Petrenko è uno Zaccaria molto intenso. La voce ha una resa intermittente, con una certa debolezza delle note basse dei momenti più elegiaci e una maggiore incisività nelle cabalette e nelle scene più dinamiche.

Grande voce quella di Ewa Tracz nei panni di Anna, che “buca” letteralmente la compagine e l’orchestra nei momenti d’insieme ed è generosa di musicalità nelle frasi a lei affidate. Speriamo di vederla più spesso sul palco della Scala.

Bene il Gran Sacerdote di Giovanni Furlanetto e l’Abdallo di Oreste Cosimo.

Il Coro del Teatro alla Scala brilla di luce propria. L’incedere nella scena iniziale annulla le distanze con il pubblico che viene quasi “invitato” per mano ad assistere all’opera. Il fraseggio e la tinta verdiana sono intatti e il celebre “Va pensiero” che precede la profezia di Zaccaria, viene restituito nella sua dimensione più drammaturgica (grido di nostalgia di un popolo oppresso), e in quella meno commerciale che siamo abituati a sentire (colonna sonora dei moti del ‘48).

Un teatro pieno che dimostra il coinvolgimento del pubblico meneghino per i grandi titoli verdiani, nonostante la ridotta curiosità verso la produzione e l’assenza di interpreti dall’appeal realmente rivoluzionario.

Pietro Gandetto

(27 ottobre 2017)

La locandina

Direttore Nello Santi
Regia Daniele Abbado
Scene e costumi   Alison Chitty
Personaggi e interpreti
Nabucco  Leo Nucci
Ismaele  Stefano La Colla
Zaccaria  Mikhail Petrenko
Abigaille  Martina Serafin
Fenena  Annalisa Stroppa
Il Gran Sacerdote Giovanni Furlanetto
Abdallo Oreste Cosimo
Anna Ewa Tracz
CORO E ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro Bruno Casoni

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