Milano: il più grande pianista del mondo?

Mercoledì 25 maggio è tornato alla Società dei Concerti di Milano il grande pianista russo Grigory Sokolov. Ad accoglierlo una Sala Verdi stracolma di pubblico come si vede raramente, ma la signora seduta al mio fianco mi garantiva che l’ultima volta di gente ce n’era ancora di più per il suo concerto. Le ragioni per cui così tanta gente, e veramente un grandissimo numero di giovani, affolla i concerti di Sokolov sono sorprendenti. Sokolov non è un pianista che concede alcunché al grande pubblico, non si dilunga in virtuosismi, non sceglie programmi catchy, non introduce i suoi programmi nel foyer prima dell’inizio. Anzi, al contrario, nei suoi concerti dilunga i tempi fino ad una staticità contemplativa che è quasi onirica, mentre le luci ridotte al minimo danzano sull’abisso della narcolessia. Eppure la sala era piena di quel silenzio che si ascolta raramente nelle sale da concerto di oggi, mentre il buio svelava immediatamente i telefoni cellulari che in genere venivano subito riposti colpevolmente. A leggere così, dunque, sembrerebbe tutto l’opposto del percorso che stanno prendendo i recital oggi, improntati alla comunicazione tra palco e sala, alla condivisione social spensierata, alla divulgazione, ai programmi variopinti e studiati perché affianchino il brano celebre alla rarità e al contempo non stanchino l’ascoltatore pigro. Dunque perché Sokolov fa ancora il sold out?

La risposta “perché è uno dei più grandi pianisti al mondo” non è sufficiente: prendendo sempre come caso studio la signora alla mia sinistra, appassionata ma non musicista, costei non riusciva facilmente a seguire “i motivi” delle Variazioni op. 35 di Beethoven (quelle sul tema de Le creature di Prometeo, poi reso celebre dall’Eroica), né a identificarsi con l’intimità degli Intermezzi op. 117 di Brahms, figuriamoci con il complesso Kreisleriana. Soprattutto perché Sokolov rallenta talmente tanto questi brani, soprattutto Beethoven e Schumann, da disinnescarne di fatto ogni potenzialità trascinante. Non c’è slancio nel modo di suonare di Sokolov, non c’è la freschezza giovanile, non c’è la libertà quasi improvvisativa, non ci sono nemmeno i contrasti tesi al limite così amati dai pianisti di oggi, non c’è nemmeno la cura del timbro estrema che riesce a smaterializzare il pianoforte in un inseguirsi di timbri d’arpa, di legni o di archi. C’è però la tenuta surreale della frase, per cui anche in un tactus immobile e inflessibile fino alla pedanteria (come è emerso particolarmente da alcuni passaggi di Schumann), la frase si tende con studiata naturalezza senza mostrare alcun cenno di cedimento, sorretta da una direzionalità chiarissima e dalla totale concentrazione. La gestione dell’attenzione, propria e del pubblico, è ciò che più contraddistingue Sokolov. Dal primo dei quindici passi che fa (ogni volta, li ho contati) per entrare e uscire dal palco fino al momento in cui si siede, la sua attenzione è interamente assorbita dallo strumento. L’inammissibilità della distrazione si riflette automaticamente sul pubblico, che se pure può perdersi nei tempi stiracchiati fino all’inverosimile, rimarrà comunque in uno stato di veglia quasi sacrale. Con Grigory Sokolov si compie veramente il rito del recital, quello del passato, colmo di quel timore quasi sacro che al termine dei lunghissimi concerti si sfoga in un entusiasmo liberatorio. Da questo punto di vista, paradossalmente, i recital di Sokolov sono moderni: difficilmente riesco a pensare a qualcosa che più di questi possa avvicinarsi al concetto tutto attuale di “esperienza”. Sokolov è i suoi tempi lunghi, così come è le sue luci abbassate in sala, i suoi quindici passi per raggiungere il pianoforte, i suoi sei bis rituali che premiano gli adepti che rimangono fino al termine.

Questo non significa che i suoi concerti vadano assunti acriticamente per non toccare colui che è già nella leggenda. L’immobilità delle Variazioni di Beethoven era spesso portata all’eccesso, così come in Kreisleriana non nego di aver avuto dei momenti di smarrimento e di aver trovato a tratti persino insopportabile il rifiuto di seguire lo slancio, l’ardore del giovane Schumann, soprattutto quando quei momenti appassionati servono da contraltare alla ponderosità delle Fantasie più lente. Sarebbero però bastati anche solo i tre Intermezzi op. 117 per l’intero concerto: qui il vecchio Brahms getta uno sguardo retrospettivo colmo di meditabonda melanconia che Sokolov ha centrato in una rassegnazione senile magistrale. Più ancora che i più vivaci op. 116, i quasi autobiografici op. 118 e a paradisiaci op. 119, i tre Intermezzi si collocano in una dimensione umana assente da drammi, priva di grandi slanci e chiusa in un’interiorità dalla contorta autarchia. Repertorio perfetto per Sokolov. E ancor più perfetti i sei bis, non solo la Ballata dall’op. 118 di Brahms, la Mazurca op. 68 n. 2 e il Preludio in do minore di Chopin, ma particolarmente nei bellissimi Preludi op. 11 n. 4 di Skrjabin e op. 23 nn. 9 e 10 di Rachmaninov. È veramente un peccato non sentire più spesso Sokolov suonare il grande repertorio russo.

Al netto dei pareri su Sokolov, tuttavia, ciò che mi interessa sottolineare è questa capacità di Sokolov di stregare anche il pubblico meno avvezzo, di creare quell’atmosfera, quell’attenzione assorta che si pone in diretto contrasto con i tempi frenetici cui anche la musica classica oggi si piega. Un pianista che suona nella penombra programmi lunghissimi e lentissimi, di fronte a sale stracolme con molto pubblico under 30 e in religioso silenzio fino alla fine, è per me la dimostrazione che si può costruire davvero un’“esperienza” di recital ancora attuale. A patto, ovviamente, che la qualità della riflessione musicale rimanga sempre il cuore del progetto. E dunque, pur considerando che affermazioni come queste lasciano il tempo che trovano, in questo farsi magari persino suo malgrado quasi un punto tra passato e futuro, Sokolov può veramente essere definito il più grande pianista vivente.

Alessandro Tommasi
(25 maggio 2022)

La locandina

Pianoforte Grigory Sokolov
Programma:
 Ludwig van Beethoven
15 Variationen mit einer Fuge Es-dur über ein eigenes Thema op. 35
 Johannes Brahms
Drei Intermezzi op. 117
 Robert Schumann
 Kreisleriana. Fantasien op. 16

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