Milano: La Francesca policroma di Fabio Luisi

Dopo più di dieci lustri di assenza Francesca da Rimini ritorna alla Scala. Opera complessa, Francesca, figlia di un decadentismo verista che fa l’occhiolino al simbolismo francese; atmosfere rarefatte e sospese si alternano a momenti di foga incontenibile in un susseguirsi incessante di scontri e passione.

Il libretto che Tito Ricordi trae dalla pièce teatrale di D’Annunzio è quanto di più estetizzante si possa immaginare e trova perfetta coniugazione con la musica di Zandonai, violenta e dolcissima, gridata e sussurrata, a rappresentare lo scontro fra amore e possesso.

David Pountney incardina la sua regia proprio sull’idealizzazione dell’amore da parte della donna contrapposto alla volontà di dominazione del maschio; l’operazione riesce a metà.

Pountney, complice l’impianto scenico realizzato da Leslie Travers, opta per contrasti netti e richiami al Medioevo “cortese” rivisto attraverso i preraffaelliti e lo Jugendstil, soccombenti alla ferrigna violenza dell’amore visto come annientamento e dominio della donna.

La scultura femminile, copia in scala aumentata di una delle statue del Vittoriale, immacolata nel primo atto, viene stuprata, come viene stuprata la protagonista costretta a indossare le vesti nere dei Malatesta, da lance che la trafiggono e avviluppata dalla torre infiammata dalla battaglia.

Nel terzo atto compaiono il libro galeotto, omaggio alla fonte letteraria e un relitto di biplano che, stretto fra le mani della statua, ricorda le imprese di D’Annunzio.

Nel complesso funziona tutto, ma nel segno di un calligrafismo non sempre condivisibile. L’accademia di pittura che vediamo al levarsi del sipario, con Francesca, Samaritana e il corteggio muliebre a far da modelle a un pittore, il tutto in un contesto vagamente stucchevole, lascia il posto all’uccisione del povero Giullare da parte di Ostasio.

Anche l’ingresso di Paolo, a cavallo e tutto d’oro come la statua parigina di Giovanna d’Arco, è iperbolico e fa da contraltare alla ferrigna durezza di Giovanni lo Sciancato e all’anguiforme doppiezza di Malatestino. Il secondo atto si risolve in un tuonare di cannoni e sguainar di spade di grande effetto. Risolto malissimo il finale, che nella musica e nel libretto chiama ad una violenza esplicita e dove invece gli amanti infelici vengono “trafitti” da una lancia che cade dall’alto restando sospesa e oscillante sul libro-talamo.

Gradevoli i costumi di MarieJeanne Lecca, giusta miscela fra uniformi della Grande Guerra e morbide vestaglie che richiamano la lezione di Mariano Fortuny, efficace il disegno di luci di Fabrice Kebour; tristissimi movimenti coreografici “volevo essere Isadora Duncan”di Denni Sayers.

Maria José Siri è una Francesca diligente ma neutra; la voce nel complesso la asseconda nel venire a capo di un ruolo tra i più impervi per un soprano ma quello che fa difetto è lo slancio drammatico, il pathos, la carnalità. Confidiamo che l’emozione della prima e della responsabilità affidatale si andrà stemperando nel prosieguo delle recite.

Il Paolo disegnato da Marcelo Puente, che ha dalla sua un invidiabile physique di rôle, è, al netto di qualche ingolatura, del tutto convincente.

Ottimi i due fratelli cattivi: Luciano Ganci a dar voce e corpo ad un Malatestino lubrico e insinuante e Gabriele Viviani, Giovanni lo Sciancato sanguigno e ferino.

Nel corteggio muliebre spiccano la Samaritana dolente di Alisa Kolosova e la freschissima Biancofiore di Sarà Rossini, allieva dell’Accademia della Scala; non demeritano Valentina Boi, Garsenda, Diana Haller, Altichiara, Alessia Nadia, Adonella. Buona la Smaragdi partecipe di Idunnu Münch.

Completano il cast il bravo Elia Fabbian nelle vesti  del Giullare, Costantino Finucci come Ostasio, Matteo Desole puntuale Ser Toldo, Hun Kim e Lasha Sesitashvili, entrambi allievi dell’Accademia e rispettivamente Il Balestriere/Un Prigioniero e Il Torrigiano.

Impeccabile il Coro, preparato da Bruno Casoni.

Per ultimo il vero trionfatore della serata ovvero Fabio Luisi che, complice un’Orchestra smagliante, tesse un ordito di fili dai colori innumerevoli dando vita ad un tessuto sonoro di straordinaria varietà. La partitura è restituita al suo splendore novecentesco in tutta la sua potenza ritmica e contrappuntistica, senza cedimenti a facili ricerche di effetti e con una narrazione incentrata su un fraseggio coinvolgente che va da pianissimi stranianti a fortissimi sconvolgenti.

Il pubblico saluta con favore questo ritorno con applausi per tutti e ovazioni, strameritate, per Luisi.

Alessandro Cammarano

(Milano, 15 aprile 2018)

La locandina

Direttore  Fabio Luisi
Regia  David Pountney
Scene  Leslie Travers
Costumi Marie-Jeanne Lecca
Lighting Designer Fabrice Kebour​
Movimenti coreografici Denni Sayers
Francesca Maria José Siri
Samaritana Alisa Kolosova
Ostasio Costantino Finucci
Paolo il bello Marcelo Puente
Giovanni lo sciancato Gabriele Viviani
Malatestino dall’Occhio Luciano Ganci
Biancofiore Sara Rossini
Garsenda  Valentina Boi
Altichiara Diana Haller
Adonella Alessia Nadin
Smaragdi  Idunnu Münch
Ser Toldo Matteo Desole
Il Giullare Elia Fabbian
Il Balestriere/Un Prigioniero (in interno) Hun Kim
Il Torrigiano Lasha Sesitashvili
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Bruno Casoni

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