Milano: l’Histoire de Manon alla Scala è puro storytelling

Tra il plauso del pubblico e dei fan della danza lo scorso 17 ottobre è andata in scena a Milano la prima rappresentazione de L’histoire de Manon, titolo conclusivo della Stagione di Balletto 2017-2018 del Teatro alla Scala.

La produzione scaligera, sempre molto apprezzata fin dal suo debutto nell’ormai lontano 1994, è stata riproposta secondo la visione coreografica in tre atti di Sir Kenneth MacMillan, ripresa da Laura Contardi e Massimo Mussu, con la supervisione di Julie Lincoln e Yuri Uchiumi (ancora tre le repliche in programma: 24, 27 ottobre e 2 novembre).

Il lavoro di MacMillan, nato nel 1974 per il Royal Ballet di Londra ed ispirato al romanzo di Antoine François Prévost (noto come Abbé Prévost), propone una Manon “charmante ma amorale”, come il coreografo stesso ha affermato, che teme la vergogna della povertà più della miseria stessa. E tutto questo ben traspare nella delineazione di un personaggio estremamente infantile, fatto di sinceri afflati amorosi, quanto di civetteria volta ad irretire ricchi pretendenti. Una dicotomia senza catarsi, che porta questa giovane donna forte e controversa ad una fine prematura che è punizione ineluttabile del fato, ma anche giudizio sociale. Insomma, Manon non può che morire tra le braccia del suo Des Grieux, senza pentimenti, con il solo rimpianto di gioie non godute che, come fantasmi o miraggi, prendono il corpo di ricordi festosi ormai lontani e indifferenti davanti alla sua sorte.

La musica sulla quale questo balletto narrativo si svolge viene da un pot-pourri di composizioni di Jules Massenet, ad eccezione curiosamente dell’opera omonima, della quale non vi è traccia. Ne nasce quindi un primo arrangiamento a firma di Leighton Lucas, poi riorchestrato da Martin Yates, versione quest’ultima che l’Orchestra del Piermarini, diretta splendidamente per l’occasione dal russo Felix Korobov, ha restituito in ogni nuance offerta dalla partitura.

Una Manon, quella cui abbiamo assistito, che possiamo annoverare tra gli esempi più alti di storytelling in campo ballettistico, vuoi per l’intreccio che ben si presta ad una sceneggiatura, vuoi per l’introspezione psicologica indagata dalla lettura coreografica e sottolineata da un’interpretazione particolarmente profonda da parte dei suoi protagonisti, vuoi per l’impianto scenico evocativo (soprattutto nel terzo atto) completato dai costumi dai chiari rimandi settecenteschi di Nicholas Georgiadis, artista a tutto tondo che ha concorso alle creazioni di due pilastri della danza del Novecento, quali Rudolf Nureyev e MacMillan, appunto, di cui ha firmato gli allestimenti per una ventina di balletti.

Un pensiero narrativo che si traduce in discorso narrativo, per un dramma psicologico in cui il vissuto umano dei protagonisti prende forma attraverso l’interpretazione di Svetlana Zakharova e Roberto Bolle, entrambi habitué del ruolo, la prima dal 2013, il secondo ben dal 1998. Una Zakharova eccezionalmente ispirata sul piano interpretativo in questa serata restituisce, con tecnica impeccabile, una Manon adolescente, passionale, lirica, a tratti quasi Lolita nei confronti di Monsieur G.M. ed Eva tentatrice nello spingere Des Grieux a compiere le peggiori bassezze, fino a trascinarlo con sé in un baratro di perdizione e di morte.

Meno felice sotto il profilo squisitamente tecnico la performance di Bolle, che abbiamo trovato precario negli equilibri ed insolitamente incerto nelle pirouettes, forse un po’ affaticato muscolarmente. La sua comprovata professionalità, complice una certa sicurezza nel ruolo, gli ha comunque permesso di affrontare degnamente la serata, confermandosi un ottimo porteur, e senza nulla togliere all’interpretazione del personaggio di Des Grieux, che emerge con forza fin dal primo pas de deux del I atto, passionale e pieno di trasporto. Meritatissime, quindi, per entrambi i protagonisti le ovazioni tributate sin dall’ingresso in palcoscenico, poi copiose al termine della recita.

Un plauso va anche ai giovani Nicola Del Freo, un Lescaut decisamente brillante sia dal punto di vista tecnico che interpretativo, così come a Martina Arduino, apprezzata nel vivace ruolo della sua amante.

Corretti tutti gli altri personaggi, dal bramoso Monsieur G.M. di Alessandro Grillo alla frivola Madame di Deborah Gismondi, al tirannico Carceriere di Mick Zeni, fino al Capo dei mendicanti Federico Fresi, oltre a cortigiane, gentiluomini, prostitute, clienti, cameriere e questuanti impersonati da Solisti e Corpo di ballo della Scala.

Recita apprezzabile e apprezzata dal pubblico presente a questa Prima, con applausi lunghissimi per tutti, soprattutto per l’étoile russa, e numerose chiamate sul proscenio – coronate dal lancio di un simpatico cagnolino di peluche per il Roberto nazionale – da parte di un Teatro gremito e partecipe.

Tania Cefis
(17 ottobre 2018)

La locandina

Musica Jules Massenet
Coreografia Kenneth MacMillan
Arrangiamento e orchestrazione Martin Yates
Direttore Felix Korobov
Scene e costumi Nicholas Georgiadis
Manon Svetlana Zakharova
Des Grieux Roberto Bolle
Lescaut Nicola Del Freo
Monsieur G.M. Alessandro Grillo
L’amante di Lescaut Martina Arduino
Madame Deborah Gismondi
Il carceriere Mick Zeni
Il capo dei mendicanti Federico Fresi
Orchestra del Teatro Alla Scala

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