Milano: l’Opera non è una cosa seria
Non solo “teatro nel teatro”, ma “teatro sul teatro: l’Opera seria di Florian Leopold Gassmann, composta nel 1769 su libretto di Ranieri de’ Calzabigi – il librettista delle opere riformate di Gluck – e andata in scena lo stesso anno al Burgtheater di Vienna, rappresenta una delle più affascinanti testimonianze del gusto illuminista per la satira e la decostruzione dei generi artistici, il tutto in un periodo in cui l’opera lirica — in particolare quella seria — si era cristallizzata in convenzioni rigide e spesso autoreferenziali.
Ciò che Gassmann e Calzabigi mettono in scena non è semplicemente un’opera buffa, ma un vero e proprio metamelodramma – da lì a poco seguiranno il mozartiano Der Schauspieldirektor e l’Ape musicale di Salieri – un’opera sull’opera, volta a ridicolizzare meccanismi interni, gli stilemi e le “magagne” della produzione lirica settecentesca.
La vicenda ruota attorno alla preparazione di un immaginario Ornazebe, opera seria di argomento esotico – caro per altro alla scuola metastasiana – mostrando le rivalità tra cantanti, i capricci dei compositori, le difficoltà del librettista, le ubbie del coreografo e i compromessi imposti dal pubblico e dai mecenati; su tutti impera la figura dell’impresario “disinvolto” che è poi il vero oggetto di stigma del lavoro di Gassmann-Calzabigi.
Il mondo dell’opera viene dunque mostrato come un microcosmo governato da vanità, interessi e meschinità, in cui l’arte è spesso vittima delle sue stesse strutture.
L’intento satirico si inserisce perfettamente nel coté culturale illuminista, che guardava con sospetto alle esagerazioni del barocco, e la musica stessa – frutto di ottimo mestiere – si fa strumento di parodia; Gassmann cita e deforma i topoi dell’opera seria, inserendo arie esageratamente pompose, duetti volutamente ridondanti e recitativi caricaturali.
L’effetto è quello di una messa a nudo delle debolezze del genere, condotta in fin dei conti con arguzia affettuosa, più che con disprezzo.
Laurent Pelly, che oltre alla regia firma gli incantevoli costumi, compie un passo in più nel metateatro facendo, nei primi due atti – quelli, per intenderci si prova l’opera “vera” – la parodia della parodia rifacendo affettuosamente il verso agli spettacoli tutti in bianco e nero di Jean Pierre Ponnelle, richiamati anche dall’impianto scenico funzionalissimo realizzato da Massimo Troncanetti e illuminato splendidamente da Marco Giusti.
Il gioco riesce fino ad un certo punto, nonostante il ritmo imposto alla recitazione e gli interventi di servi di scena – e controscena – sia quasi sempre efficace, tanto che il primo atto scivola via con certa qual noia – anche la musica non aiuta – riprendendosi tuttavia nel secondo.
La gloria dello spettacolo si fa nel terzo atto, trentacinque minuti di comicità assoluta, nei quali Pelly – complici le coreografie perfette di Lionel Hoche – rappresenta la disastrosa première dell’Ornazebe con risultati degni di quel capolavoro assoluto che è A night at the opera dei Fratelli Marx tra scene che collassano, costumi improbabili, overacting, ballerini che scimmiottano il Lago dei cigni e la Morte del cigno condendo il tutto con una punta di twerking; si ride, tanto e di gusto, chiudendo in gloria con gli alterchi delle madri delle tre “donne”.
Strepitosa la compagnia di canto a cominciare dall’impresario Fallito – nomen omen – sbalzato al cesello da Pietro Spagnoli, che ancora una volta offre una lezione impareggiabile di interpretazione e di tecnica vocale.
Non gli sono da meno Mattia Olivieri, sempre più bravo, che canta e recita benissimo il poeta bilioso Delirio, col quale si scontra il compositore egocentrico Sospiro disegnato con grande efficacia da Giovanni Sala.
Da ricordare a lungo la Stonatilla, “prima donna” in declino alla quale dà voce e corpo una Julie Fuchs sontuosamente centrata e a cui fanno corona luminosa Andrea Carroll nei panni di Smorfiosa, della “seconda donna” gelosa e Serana Gamberoni, inappuntabile come Porporina, “terza donna” che aspetta solo la caduta delle rivali.
Josh Lovell, mozartiano di rango, disegna con voce incantevole i capricci del musico Ritornello, mentre Alessio Arduini è Passagallo, maître de ballet passivo-aggressivo, dal fraseggio luminoso.
Sugli scudi il terzetto delle madri-megere, che avremmo voluto in scena più a lungo, ovvero Alberto Allegrezza (Bragherona), Lawrence Zazzo (Befana) e Filippo Mineccia (Caverna), capaci in pochi minuti di prendersi la scena.
Meraviglioso anche il corpo di ballo “cantante” formato da María Martín Campos, Dilan Şaka, Haiyang Guo e Xhieldo Hyseni.
L’unico che sembra non divertirsi come invece dovrebbe è Christophe Rousset, che alla testa dell’Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici integrata da Les Talens Lyriques, la prende troppo sul serio, risultando fin troppo patinato nel suono e levigato nelle agogiche quando forse qualche voluta “imprecisione” sarebbe stata qui utt’altro che fuori posto.
Teatro esaurito alla penultima replica, moltissimi i giovani e giovanissimi in sala, e successo pieno per tutti.
Alessandro Cammarano
(6 aprile 2025)
La locandina
Direttore | Christophe Rousset |
Regia e costumi | Laurent Pelly |
Scene | Massimo Troncanetti |
Luci | Marco Giusti |
Coreografia | Lionel Hoche |
Personaggi e interpreti: |
|
Fallito | Pietro Spagnoli |
Delirio | Mattia Olivieri |
Sospiro | Giovanni Sala |
Ritornello | Josh Lovell |
Stonatrilla | Julie Fuchs |
Smorfiosa | Andrea Carroll |
Porporina | Serena Gamberoni |
Passagallo | Alessio Arduini |
Bragherona | Alberto Allegrezza |
Befana | Lawrence Zazzo |
Caverna | Filippo Mineccia |
Ballerina | María Martín Campos |
Coro di ballerini (soprano) | María Martín Campos |
Coro di ballerini (mezzosoprano) | Dilan Şaka |
Coro di ballerini (tenore) | Haiyang Guo |
Coro di ballerini (basso) | Xhieldo Hyseni |
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici e Les Talens Lyriques |
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