Ordine e Disordine: lo Scarlatti social di Sandro Ivo Bartoli

Tra i molti progetti in streaming che stanno attivando artisti e istituzioni nelle ultime settimane, uno mi ha colpito molto per il suo respiro e, ammettiamolo, per un suo tocco di follia: Sandro Ivo Bartoli e l’integrale delle Sonate di Scarlatti, una al giorno tutti i giorni, dal suo pianoforte a Vecchiano, vicino a Pisa. La musica di Domenico Scarlatti, si sa, è tra le più brillanti e geniali del repertorio per tastiera e sono ormai diverse le integrali al clavicembalo o al pianoforte. Un progetto così, tuttavia, filmando e montando tutte le oltre 550 Sonate e introducendole una ad una, ancora non si era mai visto. E permette di pensare e ripensare la musica del grande napoletano.

  • Partirei da com’è nata quest’idea dell’integrale scarlattiana su Facebook e YouTube!

Il primo amore non si scorda mai! Anni fa, la Ricordi faceva una serie di raccolte che si intitolavano “Il mio primo…” e il mio babbo mi comprò “Il mio primo Scarlatti”. Ricordo che me lo lessi da copertina a copertina. Da lì in poi ne ho continuate a studiare di Sonate e fino a qualche anno fa le programmavo anche nei concerti, ultimamente meno. Ma ho sempre avuto il sogno nel cassetto di farle tutte. Poi ho partecipato, come sai, alla rassegna MusicGoesViral di Quinte Parallele e mi è stato subito chiaro che avrei dovuto continuare a fare qualcosa online. Perché a me la reclusione non fa quasi nessuna differenza: l’unica cosa che mi manca è che non posso fare le cene con i miei cari amici! Ma altrimenti la mia vita percorre più o meno sugli stessi binari di prima: faccio le mie faccende e studio. Però non posso fare concerti, quindi non guadagno una lira e non ci sarebbe nemmeno la voglia di studiare. Ebbene, sono stato una decina di giorni ad arrovellarmi su cosa fare e cosa non fare. Poi si è presentata mia moglie e mi ha detto: «Ma a cosa studi? Hai sempre voluto fare tutte le Sonate di Scarlatti, se non le fai ora non le farai mai più». C’ho pensato un giorno senza dormire ed effettivamente aveva ragione.

  • Hai detto che per un periodo hai inserito le Sonate nei tuoi programmi. Qual è il loro posto?

Per me era un’ottima apertura di recital, le ho sempre fatte in apertura, o come bis. Anche perché Scarlatti è un compositore unico, non conosco nessun altro che abbia scritto con questo gusto sfacciato del suonare e del divertirsi alla tastiera. Quindi prima che vuoi mettere?

  • Poi però hai smesso di programmarle. Cos’è cambiato?

Credo proprio il mercato: la gente voleva da me repertorio molto più denso, forse anche per via delle mie incisioni. L’integrale di Bach/Busoni, Malipiero, il Novecento storico, insomma non un repertorio che si lega così immediatamente al primo Settecento.

  • Infatti questa cosa mi incuriosisce: se uno scorre la tua discografia e i tuoi programmi trova molto più Bach/Busoni che non Bach.

Le carriere non sono lineari. Non è che uno a 15-20 anni decide «io voglio fare il pianista e suonare questo» e tutto va secondo i piani prestabiliti. Sono piene di imprevisti e ci si costruisce il proprio percorso di anno in anno. Io mi sono semplicemente trovato interpellato per un certo tipo di repertorio, laddove poi non avevo modo di inserircelo Scarlatti. Bach ho avuto modo di inciderlo solo un paio d’anni fa, e ne avevo anche un grande timore referenziale. Con la trascrizione è più semplice, l’interprete ha a che fare con due compositori allo stesso tempo, specialmente nel caso dei grandi come Bach e Busoni, in cui non è che suoni Bach, suoni Bach secondo Busoni, quindi c’è più spazio per interpretare. Quando invece suoni un Preludio e Fuga di Bach ti trovi di fronte all’Olimpo. Non è che con Scarlatti le cose siano poi così diverse, ma ti trovi un compositore meno ‘blasone’ di Bach.

  • In che senso?

Nel senso che Domenico è sciaguratamente considerato, almeno dal grande pubblico, un confezionatore di miniature divertenti e basta. Che poi miniaturista, insomma! Certo, non ha scritto niente per tastiera che duri trenta minuti, ma da quando in qua la musica, per essere geniale, deve anche esser lunga? Non va mica a peso! In qualche modo, Domenico è sgattaiolato dall’attenzione degli studiosi per tanti anni e la sua musica non ha quel fardello stilistico che hanno, ad esempio, Bach e Beethoven, e che io trovo spesso asfissiante. La parola d’ordine, qui, è “Libertà”. Poi, se uno ha la pazienza e il coraggio di leggere questa musica per quello che è, di meraviglie ce ne sono tante.

  • E cos’è Scarlatti?

Scarlatti è un universo a sé stante, una fonte di divertimento continuo e un rompicapo pazzesco. E non solo a livello digitale: che la sua musica sia semplice è una leggenda urbana. O sono somaro io, o nella sua musica ci sono una ricchezza e un’imprevedibilità tutt’altro che scontate. Infatti le difficoltà più grandi le trovo nelle sonate liriche più che in quelle brillanti, perché manca completamente un punto di riferimento. Se fai una Sonata di Beethoven, pur difficilissima che sia, la forma è solida, la costruzione è di granito. Con Domenico no. Lui, ogni tre per due, svicola nell’armonia, va a trovare toni lontanissimi, che sulla carta sembrano gli schizzi di un folle, ma quando vai alla tastiera t’accorgi che è musica meravigliosa, capace di un’espressione fuori dal normale. E questo è uno dei motivi principe per cui non ho alcun pudore a suonarlo sul pianoforte.

  • Il discorso dello strumento lo affrontiamo dopo, adesso vorrei approfondire questo discorso sulla forma in Scarlatti, un autore che spesso viene visto anche come una figura di cesura tra Barocco e Classicismo, tra bizzarria ed equilibrio. Secondo te invece questa forma di razionalità viene meno.

A rischio di esser preso per un bastian contrario, ti spiego la mia teoria. Io penso che, soprattutto a cagione degli sviluppi nel secolo passato, la musicologia abbia bisogno di ordine, di cornici entro cui muoversi. Questa cornice, dove c’è ben venga. Se uno analizza non tutta ma tanta musica di Bach, ci sono effettivamente dei canoni, degli elementi ricorrenti. In Scarlatti questa cornice secondo me non esiste. Anche la teoria di Kirkpatrick per cui certe sonate dovrebbero essere esibite a coppie perché hanno un’affinità stilistica, ecco io con la mano sul cuore ti dico che non ci credo.

  • Perché?

Perché Scarlatti non era mica grullo! Sapeva la musica, e se avesse voluto fare una sonata in due movimenti o avesse voluto che due sonate fossero eseguite in coppia, le avrebbe riunite in una sola. Come infatti, qualche volta, fece: una giga seguita da un minuetto, una pastorale messa a preludio d’una cavalcata folle, e via discorrendo. Capisco la necessità, anche del pubblico odierno, di avere un minimo punto di orientamento, una sensazione di ordine, però in Scarlatti non c’è.  Se sfogli l’integrale passi dal più piccolo minuetto con quattro note in croce, sempre bellissimo, a una tarantella infernale. Non c’è nessun nesso. E io ci sguazzo, perché sono un disordinato di natura, mi piace vivere anche d’istinto e di fantasia, e non ho bisogno di quest’ordine. Di sicuro questo è un limite quando affronto opere che invece hanno una struttura formale complessa, su cui devo lavorare molto. Ma con Domenico mi par d’essere a casa!

  • Mi viene in mente che tu sei un interprete di riferimento per il Novecento storico italiano, che invece vedeva in Scarlatti un punto di riferimento. È il caso di Scarlattiana di Casella, che pure aveva eccome un suo ordine e una sua struttura ben definita.

Nel caso di Casella sì, hai ragione, tant’è che quando ha scritto Scarlattiana ha usato 80 temi di Scarlatti. Bisogna considerare che nel primo Novecento gl’italiani avevano tanta voglia d’italianità, e c’era questo desiderio di riscoprire la gloriosa tradizione musicale nostrana. Sarà un caso che la prima edizione delle Sonate di Scarlatti fu dovuta ad Alessandro Longo, che le diede ai tipi di Casa Ricordi nel 1906? Roba nostrana, insomma. Produzione propria. Per carità, a me può anche far piacere che Scarlatti sia italiano, una gloria nazionale, ma poteva essere nato da qualsiasi altre parte del mondo. Uno che scrive musica così è patrimonio dell’umanità. Poi c’è un altro interessante capitolo da affrontare, che è l’influenza del tastierismo scarlattiano fino ai nostri giorni.

  • Cosa intendi?

Se Domenico visse in relativo isolamento dai suoi contemporanei, nei secoli successivi la sua influenza sulla scrittura pianistica si fece importante. Ti faccio un esempio. Quando ero ragazzino imparai gli Studi Op.1 di Liszt, la versione primigenia dei famigerati Trascendentali. Li scrisse quando aveva 12 anni, allievo di Czerny a Vienna, e sappiamo che Czerny usava gli Essercizi, l’unica cosa che Scarlatti diede alle stampe, come materiale didattico. Ebbene, fra questi ve n’è uno – il n.18 – in cui troviamo una scrittura a due voci che si ritrova identica nel Quinto Studio del Liszt dodicenne. E non a caso la Sonata di Scarlatti è in Re minore, mentre lo Studio in questione è in Fa maggiore. È possibilissimo che Czerny abbia dato da studiare a Liszt diverse Sonate di Scarlatti e che lui abbia assorbito il modello in questo Studio. Ma non fu certo il solo! Si trovano tracce di Domenico addirittura nei Concerti di Brahms! Poi se uno prende, in Italia, la Fantasia di Martucci, la Toccata di Busoni o la Toccata op. 6 di Casella trova dei gesti iniziali chiaramente tratti dal tastierismo scarlattiano. E gli esempi sarebbero ancora molti.

  • Questo parlare di tecnica pianistica riapre la questione di prima, ossia suonare Scarlatti al pianoforte.

Tu sai che nei cataloghi degli strumenti a disposizione della Regina Maria Barbara,  gli stessi  su cui suonava Scarlatti, sono segnati tre pianoforti realizzati da Cristofori. Mi sembra impossibile che un virtuoso nel senso più puro del termine, come Scarlatti dev’essere stato, non abbia intuito istantaneamente le potenzialità di uno strumento che poteva modulare la gradazione dei suoni. Quindi tante delle Sonate, soprattutto quelle più lente, se non sono state scritte direttamente per il ‘gravicembalo a martelli’, ce le ha comunque suonate sopra. La verità forse non la sapremo mai, ma una cosa è oggettiva: gran parte di queste Sonate punta verso l’alto senza pudore. Si vede, si sente, si tocca, la necessità di passare i limiti dellostrumento. Anche nell’agogica, troviamo indicazioni come “Allegrissimo”, mentre in un altro manoscritto troviamo “Muipresto”, tutto attaccato. Scarlatti era uno che spingeva i limiti di ciò che aveva sotto le mani. Non esiste il minimo dubbio, nella mia testa, che avrebbe apprezzato lo sviluppo del pianoforte nello strumento novecentesco che conosciamo.

  • Tra l’altro questo mi riporta alla seconda domanda, ossia il ruolo di Scarlatti nel repertorio pianistico. Scarlatti è entrato di diritto nel repertorio per pianoforte, proprio grazie ai grandi virtuosi del Novecento, Horowitz in testa.

Certo, giustissimamente! Oltretutto è una musica che offre una gamma pressoché illimitata di espressione pianistica. Se lo si suona al pianoforte io non vedo un grande senso nel fare forte e piano, due dinamiche sole. Se si va al pianoforte si suona da pianisti. E qui da pianisti ce n’è quante ne vuoi di diavolerie e trovate ingegnosissime per creare effetti sonori che in altri compositori sono più difficili da mettere in campo, vuoi per la forma musicale, vuoi per il tipo di scrittura. Diventa anacronistico fare un pianissimo improvviso nella scrittura densa di, ad esempio, un’Allemanda dalle Suite inglesi di Bach. Sì, ci può stare magari, ma con molta più attenzione. In Scarlatti invece, mancando quasi completamente un punto di riferimento, non dico che si possa fare quel che si vuole, ma quasi. I grandi virtuosi del Novecento, infatti, hanno roteato intorno allo stesso centinaio di Sonate, ma da un pianista all’altro spesso non sembrano nemmeno gli stessi pezzi. Tale è la libertà interpretativa che questo compositore ci regala e che per me è un invito a nozze. Io non ho pretesa di rivaleggiare con loro, ovvio. Il mio non è niente più che un balocco!

  • Questo ci porta all’ultima domanda. Tu definisci questo tuo progetto scarlattiano niente più che un balocco. Però 555 e passa Scarlatte una al giorno vuol dire andare avanti per quasi due anni, come ti organizzerai?

Considera che il progetto è nato per via della clausura imposta dal Covid19, per addolcire il percorso verso l’agognata normalità. E io volevo fare qualcosa di più forte del virus. Questa, mi sa, l’ho azzeccata: finirà prima il virus del mio Scarlatti! Non avevo mai registrato qualcosa da solo prima d’ora. Il primo video che avevo realizzato fu quello per Quinte Parallele, neanche un mese fa. Quindi ho dovuto un po’ imparare a fare tutto con ciò che avevo in casa: il mio telefonino e lo Zoom di mia moglie. È un lavoro massacrante, a tempo pieno! Per ora si va avanti così, anche se mi piacerebbe velocizzare il processo e registrare una volta alla settimana, magari facendo uscire anche un paio di sonate nello stesso giorno nei casi di quelle più brevi. Poi la clausura finirà, e anch’io tornerò a strimpellare qua e là. Magari ne inciderò qualcuna anche ‘fuori sede’. Pensa un po’: se chiamassero dalla Carnegie Hall, come potrei resistere alla tentazione d’inciderne un paio anche laggiù?

Alessandro Tommasi

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