Palermo: un Mitridate “figlio” di Elettra
Con Mitridate Eupatore – prima esecuzione in forma scenica in tempi moderni nella nuova edizione critica curata da Luca Della Libera, Paolo V. Montanari e Giacomo Biagi – il Teatro Massimo di Palermo celebra il tricentenario della morte di Alessandro Scarlatti riportando in scena uno dei titoli più alti e complessi del teatro musicale barocco.
L’opera, composta per il Teatro San Giovanni Grisostomo di Venezia nel 1707 su un libretto –geniale – che Girolamo Frigimelica Roberti trae dal mito elettreo secondo Sofocle ed Euripide, rappresenta un caso unico per la sua coerenza tragica e senza concessioni.
Non sorprende dunque il mancato successo della prima veneziana, dovuto alla radicalità drammaturgica di un testo che, ispirato al modello sofocleo dell’Elettra, affronta il tema della vendetta e della colpa senza compromessi spettacolari, il tutto con una musica “aliena” al gusto della Serenissima.
Quella che allora apparve rigidità oggi rivela la modernità di una scrittura che anticipa la nozione di “tragedia assoluta”, nella quale l’ineluttabilità del destino si esprime tanto nella parola quanto nella musica.
La parte visiva della produzione, affidata alla talentuosa Cecilia Ligorio – affiancata per la drammaturgia da Paolo V. Montanari – ha saputo tradurre in immagini la tensione tragica della partitura.
In un ambiente domestico in rovina – immaginato acutamente da Gregorio Zurla e costruito su geometrie essenziali capaci di offrire spazi di forte verticalità e chiaroscuri che dialogano perfettamente con l’andamento musicale – si rappresenta il dramma di una famiglia disfunzionale con i protagonisti, vestiti assai bene da Vera Pierantoni Giua che si ispira agli anni Trenta del secolo scorso, l’un contro l’altro armati e in costante ricerca di una giustizia che, di fatto, è semplicemente vendetta.
Il tutto è illuminato da Fabio Barettin, che opta per luci calibrate su contrasti netti e in grado di assumere funzione drammaturgica autonoma, modellando le atmosfere come veri interventi retorici paralleli alla musica.
La regia è aguzza – come lo sono i ritratti di Stratonica e Farnace, usurpatori, in stile Tamara de Lempicka –, attenta ai dettagli e rispettosa del tessuto drammaturgico, evitando orpelli superflui e lavorando su una gestualità essenziale, quasi rituale, che amplifica la dimensione arcaica del libretto.
La direzione di Giulio Prandi si distingue per rigore e profondità espressiva, optando per dinamiche nettamente definite e rifiutando ogni deriva “eclettica” estranea allo stile.
I recitativi secchi sono diretti serrati, mentre i recitativi accompagnati – numerosi e strutturalmente centrali – diventano veri snodi psicologici, articolati attraverso sospensioni armoniche e dinamiche calibrate.
Le arie sono trattate attraverso agogiche flessibili, evitando qualsiasi cristallizzazione metronomica; i da capo vengono arricchiti da ornamentazioni filologicamente corrette, sempre funzionali alla semantica del testo.
L’Orchestra mantiene una tessitura trasparente, con archi asciutti e fiati utilizzati come elementi di contrasto timbrico.
Rigoroso e fantasioso ad un tempo il basso continuo affidato ai clavicembali di Ignazio Maria Schifani e Michele Barbieri, alle tiorbe sontuose di Giulio Falzone e Giorgia Zanin e al violoncello di Kristi Curb.
Il cast vocale, di grande omogeneità per livello e approccio stilistico, contribuisce in maniera decisiva alla riuscita dello spettacolo.
Tim Mead pone al servizio dell’eroe eponimo una linea di canto di estrema uniformità, con controllo assoluto della respirazione e ornamentazioni integrate nella retorica del testo, rendendo palpabile la frattura interiore del protagonista, sospeso tra autorità e fragilità.
Straordinaria la Stratonica Carmela Remigio, capace di scolpire con fraseggio netto e colori ricercatissimi la crudeltà ambigua del personaggio, alternando sonorità piene e mezzevoci intrise di pathos.
Non le è da meno Arianna Vendittelli, la cui Laodice si impone per precisione prosodica e agilità incisive, tratteggiando una figura di furia vendicativa che trova nelle colorature una vera grammatica emotiva.
Francesca Ascioti (Issicratea) offre un timbro brunito e compatto, che imprime alla sua figura un’energia eroica, mentre Renato Dolcini (Farnace) si distingue per chiarezza d’intonazione e sobrietà interpretativa, incarnando la dimensione sprezzantemente politica del personaggio.
Martina Licari (Nicomede) completa l’insieme con mezzi vocali opulenti, eleganza stilistica e coerenza interpretativa, laddove Konstantin Derri si disimpegna con classe nei panni di Pelopida.
Ottimi gli interventi del Coro, per l’occasione in buca, preparato da Salvatore Punturo.
Pubblico concentrato e partecipe, che al termine tributa un successo pieno e meritato per tutti.
Alessandro Cammarano
(5 ottobre 2025)
La locandina
| Direttore | Giulio Prandi |
| Regia | Cecilia Ligorio |
| Drammaturgia | Paolo V. Montanari e Cecilia Ligorio |
| Scene | Gregorio Zurla |
| Costumi | Vera Pierantoni Giua |
| Luci | Fabio Barettin |
| Personaggi e interpreti: | |
| Mitridate | Tim Mead |
| Issicratea | Francesca Ascioti |
| Stratonica | Carmela Remigio |
| Farnace | Renato Dolcini |
| Pelopida | Konstantin Derri |
| Laodice | Arianna Vendittelli |
| Nicomede | Martina Licari |
| Maestro al cembalo | Ignazio Maria Schifani |
| Clavicembalo | Michele Barbieri |
| Tiorbe | Giulio Falzone, Giorgia Zanin |
| Violoncello | Kristi Curb |
| Orchestra e Coro del Teatro Massimo | |
| Maestro del Coro | Salvatore Punturo |














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