Pesaro: al ROF il Barbiere di Siviglia va in bianco

Ad apertura di sipario, viene spontaneo ripararsi gli occhi con la mano. Il bianco dilaga e l’effetto è quasi abbacinante. Bianche, tranne le persiane, sono le due palazzine che si fronteggiano ai lati della scena, in stile vagamente neoclassico, entrambe dotate di terrazzo, una anche di un portico dove si può prendere il tè, a condizione beninteso che il servizio sia di candida porcellana. Ma soprattutto, bianco è lo sfondo, un velario vuoto e investito da luce piena, luminosissima, rifrangente ovunque. Al ROF di Pesaro, “Il Barbiere di Siviglia” secondo l’ottantottenne Pier Luigi Pizzi, primo della sua gloriosa carriera, non prevede molte sfumature di luce e offre poche divagazioni cromatiche. Nel secondo atto, anzi, la scenografia (come sempre firmata dal regista insieme ai costumi primo Ottocento, in contrasti bianco-nero), fissa lo spazio dell’azione in un salotto dominato da un ampio specchio, un ambiente nello stesso tempo angusto e monumentale, a causa della sua insistita monocromia.

Il quadro dovrebbe essere funzionale alla sottolineatura della natura di commedia di caratteri del gran capolavoro, lontano dall’aborrita farsa e da qualsiasi sospetto di colore sivigliano, scevro dalle incrostazioni generate da due secoli di cattive abitudini esecutive. Ma a parte il fatto che sono ormai decenni che le cattive abitudini sono colpa solo di chi se le va a cercare, dopo l’edizione critica e alcuni storici allestimenti conseguenti, in realtà le gag non mancano. Anzi, alcune sono insistite e caricaturali fino a diventare sottilmente fastidiose (il “birignao” con l’erre moscia di Bartolo), altre hanno carattere un po’ da avanspettacolo, come l’idea di far camminare sulle ginocchia Almaviva travestito da maestro di musica, strappando risate quando all’improvviso si alza nella sua vera lunghezza.

Ma il punto non è questo. Il punto è che in questo “Barbiere” la commedia non decolla, come se fosse sottintesa, o implicita. Il tono generale è di un certo sussiego mescolato alle trovate di cui sopra, e vive qualche sussulto solo grazie a rapide quanto estemporanee incursioni dei cantanti sulla passerella che circonda l’orchestra. Però in generale le caratterizzazioni dal punto di vista scenico e della recitazione risultano sbiadite (Almaviva) o fredde (Rosina), o manierate e distanti (Bartolo e Basilio). Verrebbe da dire, vagamente meccaniche. Forse per l’effetto di un controllo troppo rigido, che poco o nulla lascia alla naturale dinamica narrativa di quest’opera perfetta. Solo il personaggio di Figaro sfodera la vivacità che ci si aspetta, sia pure dentro una caratterizzazione tesa ad espungere qualsiasi sospetto di contagiosa e complice simpatia.  Ne esce – mutuando il termine utilizzato da Rossini per certi suoi “Pechés de vieillesse” – un “Barbiere di Siviglia” anodino, che strappa anche qualche risata al pubblico, ma non prende e non sorprende. Qualcosa di molto lontano dalla scintillante “Pietra del paragone” del 2002, l’unica altra incursione di Pizzi nel buffo puro al festival pesarese, dentro a un catalogo vastissimo, aperto dal “Tancredi” del lontano 1982.

Se Pizzi rinuncia all’ironia (che della “Pietra” era invece la cifra espressiva decisiva), qualcosa del genere accade anche per il direttore Yves Abel, che fa suonare bene l’Orchestra Nazionale Sinfonica della Rai ma non fa brillare né lo scatto espressivo che aggancia l’attenzione, né il fervore nelle dinamiche e nei tempi, restituendo anche lui un Rossini comico senza scarti, senza soprassalti, passato al setaccio di un gusto medio, fin troppo moderato.

Queste considerazioni possono in larga parte essere estese alla compagnia di canto, costruita in modo che esperienza (o lunga esperienza) si affiancassero alla giovinezza. Giovane è Aya Wakizono, che già da qualche anno, dopo l’Accademia della Scala e quella rossiniana di Pesaro va frequentando il repertorio belcantistico nei ruoli principali. Vocalmente, si è avuta la conferma di una voce di bel colore, specialmente nei centri, e di notevole duttilità, con una propensione assai positiva all’agilità. L’estensione però è piuttosto “corta” (specie dalla parte del grave) e il volume poco efficace. Anche questo può avere influito sulla sua caratterizzazione, musicalmente concentrata e precisa ma scenicamente tiepida per non dire fredda. Né può bastare il lunghissimo bacio con Almaviva dopo il Rondò di quest’ultimo, durante il lungo applauso del pubblico, a farla considerare una passionale…

Presente da cinque anni nei programmi del ROF, anche nel suo caso dopo l’Accademia rossiniana, Davide Luciano è stato un Figaro franco e passabilmente estroverso, pur nell’evidente preoccupazione ad adottare la misura generale. Il suo timbro è bello, nell’agilità deve ancora affinare al meglio doti molto promettenti. Di una lunga e importante carriera sono detentori sia Pietro Spagnoli (Bartolo) che Michele Pertusi (Basilio). Al netto del citato “birignao” nei recitativi, il primo ha fatto valere una solida musicalità, ma nel sillabato della sua celebre Aria (“A un dottor della mia sorte”) l’agilità non è stata impeccabile e in generale si sarebbero apprezzati un timbro più scuro e un volume più efficace, anche per un maggiore equilibrio nei concertati. Timbro e volume che invece ha manifestato con sicurezza Pertusi, il quale ha offerto dell’Aria della calunnia una lettura in understatement, tutt’altro che priva di sottigliezze. Almaviva aveva la voce elegante e piccola di Maxim Mironov, che fraseggia con proprietà ma finisce per incidere poco nei numeri d’insieme, anche se la sua coloratura è sicuramente di buona qualità.

Nella categoria super-esperti figurava anche Elena Zilio, storico mezzosoprano sempre sulla breccia, che ha risolto con spirito e sapienza la parte di Berta, spesso in combinazione con l’Ambrogio stralunato il giusto dell’attore vicentino Davide De Ceccon. Così, l’Aria “Il vecchiotto cerca moglie” è risultata un vivace esempio di musicalità e di tecnica vocale – considerando gli effetti del passare del tempo, peraltro quasi sempre tenuti a bada accortamente. Positivo William Corrò nel doppio ruolo di Fiorello e dell’ufficiale, concentrato a dovere il Coro del Teatro Ventidio Basso, istruito da Giovanni Farina.

Sala dell’Adriatic Arena gremita, entusiasmo negli applausi dopo le Arie più celebri, notevole successo alla fine, non interminabile come in altre occasioni pesaresi. Repliche il 19 e 22 agosto.

Cesare Galla
(13 agosto 2018)

Pubblicato su Vvox.it: https://www.vvox.it/2018/08/17/rossini-festival-il-barbiere-di-siviglia-va-in-bianco/

La locandina

Direttore Yves Abel
Regia, Scene e Costumi Pier Luigi Pizzi
Regista collaboratore e Luci Massimo Gasparon
Il Conte d’Almaviva Maxim Mironov
Bartolo Pietro Spagnoli
Rosina Aya Wakizono
Figaro Davide Luciano
Basilio Michele Pertusi
Berta Elena Zilio
Fiorello/Ufficiale William Corrò
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Coro Del Teatro Ventidio Basso
Maestro del Coro Giovanni Farina

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