Il Faust diversamente religioso di Anagoor fra Fede e Natura

È la Natura a trionfare nel Faust, straordinariamente denso, messo in scena da Anagoor, o meglio La Natura nei suoi molteplici aspetti nei quali si ricomprende il Sacro.

Simone Derai parte dal Faust di Goethe per arrivare a ripulire dalla melassa misticheggiante della quale è intriso il Faust di Gounod, trovando alla fine più punti di contatto che non componenti divisive.

La Natura, si diceva diviene, protagonista, quella che se conosciuta ed indagata rende il pensiero libero conferendo al singolo, e poi ai molti, la necessaria acribía nel decidere della propria vita e Derai propone una lettura che procede “per togliere”, mettendo a nudo i nodi fondamentali del contendere, che potremmo ridurre allo scontro eterno fra Bene e Male, per poi ricostruire tutto nell’ottica laica di Goethe, forte dell’eredità illuminista e della riscoperta del Classico. Non c’è Fede in Goethe se non nell’intelletto umano e nella capacità di scelta che deriva dalla consapevolezza di sé di ciascuno di noi; l’intervento divino non è contemplato

Mèphistophélès diviene dunque non il Male assoluto, ma la via per giungere alla redenzione dell’intelletto attraverso un percorso al negativo, così come Faust ricerca la giovinezza e l’amore intesi come possibilità di riscatto.

Il linguaggio teatrale è forte, a tratti quasi spietato nel suo scavare, come sempre accade nei lavori di Anagoor,  perfettamente conseguente all’idea iniziale di Derai, sviluppata con lucida coerenza, il tutto a partire da un’ambientazione che riporta la vicenda all’epoca originale, ovvero nella Germania dei primi anni del XVI secolo ricreata dalle scene di Simone Derai e Silvia Braganolo che realizzano uno spazio unico a richiamare una sorta di granaio, animato da pochi elementi altamente evocativi  in una straniante uniformità cromatica illuminata dall’efficace disegno di luci fredde concepito da Lucio Diana.

Bellissimi i costumi, anche questi di Derai e Braganolo nei quali si ritrovano echi della pittura di Hieronymus Bosch e Brueghel il Vecchio con il bianco ed il grigio a dominare, fatti salvi Faust e Mèphistophélès, quest’ultimo sempre nudo dalla cintola in su e con in testa un triregno nero, che indossano l’uno una calzamaglia gialla e l’altro in rosa a mostrare con maggior evidenza i loro attributi, come fossero maschi alfa.

Regia che convince fino in fondo, con momenti altissimi come la scena di isteria collettiva che colpisce le donne durante il brindisi blasfemo di Mèphistophélès e le fascine raccolte ed ammassate da Maguerite e Marthe nel secondo atto che tornano nel quinto, portate dal popolo per formare il rogo sul quale dovrebbe essere arsa Marguerite stessa. Nessun rogo sarà acceso, la giovane sarà assolta non da Dio ma dalla sua autocoscienza sviluppata attraverso un cammino di sofferenza, allontanandola definitivamente da Faust.

Straordinari i video, realizzati da Derai e da Giulio Favotto, che fungono da entr’acte ed al contempo offrono un ulteriore chiave di lettura del Faust, costituendo anche un momento di ulteriore riflessione durante i cambi di scena.

Sull’ouverture vediamo il vecchio Goethe che seduto accanto al caminetto della sua casa di Weimar si fa portare dalla figlia i due tomi del Faust che ha tenuto sigillati per anni; sembra quasi che abbia deciso di bruciarli e invece si ritrova a sfogliarli quasi cullandoli. La scena successiva è quella di una casa di riposo nella quale vediamo vegliardi rassegnati ed altri battaglieri e desiderosi di aria e vita; stacco su due ragazzi che guardano la casa di riposo dall’esterno, pensando forse al loro futuro.

Fra il primo ed il secondo atto il video ripercorre riti di religioni diverse trovando fra radici e denominatori comuni, sottolineando il principio che il Sacro è uno ed uno solo.

Nel successivo siamo in una casa abitata, finestre spalancate a fare entrare luce e vento, all’esterno animali domestici, degli abitanti invisibili si percepisce la presenza. Essenziale per la perfetta comprensione del messaggio di Anagoor la proiezione dell’incontro fra de Carvahlo, sua moglie Caroline (la prima Marguerite) e Gounod, ove apprendiamo che il suo Faust è in “nel suo grembo” da vent’anni e che sancisce il passaggio dal Faust di Goethe a quello mistico del compositore francese. Non è a caso che a seguire si apre la seconda scena del quarto atto, dove il figlio neonato di Faust e Marguerite viene esposto.
La Notte di Valpurga è preceduta da proiezioni che rimandano al rinnovarsi della natura attraverso l’atto riproduttivo, rappresentato attraverso un toro da monta e polline in volo, bellissimo.
Unico neo il volume troppo basso dei video; a tratti i suoni si odono appena.

Perfettamente rispondente all’allestimento risulta l’esecuzione musicale.
Jean-Luc Tingaud, alla testa di una disciplinata Orchestra dell’Opera Italiana, appare in perfetta sintonia con la lettura di Derai e a sua volta depura la partitura da qualsiasi leziosità mielosa rendendola all’ascolto illuminata da trasparenze cristalline. I tempi sono improntati ad una serrata drammaticità, forti di scelte dinamiche stringenti; non manca tuttavia l’indispensabile afflato lirico, che si rivela nelle ampie aperure melodiche. In fondo nel Faust si parla anche d’amore.

Nel ruolo eponimo figura bene Francesco Demuro che, al netto di qualche singultino di troppo, esibisce un fraseggio sempre convincente e acuti sicuri, il tutto a delineare il personaggio in tutte le sue sfaccettature.

Davinia Rodriguez disegna una Marguerite appassionata e volitiva, più donna che fanciulla: la linea di canto è improntata a belle morbidezze, gli accenti sono ben ricercati e la voce, davvero bella, è ricca di colori.

Ottimo il Mèphistophélès irridente di Ramaz Chikviladze, opulento nei mezzi vocali e pienamente padrone del palcoscenico. Qualche riserva sul Valentin di Benjamin Cho, non sempre intonato e spesso incline a cantare troppo forte.

Nozomi Kato si disimpegna egregiamente nel ruolo di Siebel, così come Matteo Ferrara tratteggia un Wagner impeccabile; buona anche la Marthe di Shay Bloch.
Splendida, infine, la prova del Coro del Teatro Comunale di Modena preparato da Stefano Colò.

Pubblico cordiale, nonostante le intemperanze di qualcuno nei confronti delle proiezioni (bastava leggere il programma di sala…) e applausi finali per tutti.

Alessandro Cammarano

(Piacenza, 15 dicembre 2017)

La locandina

Direttore Jean-Luc Tingaud
Regia Simone Derai
Progetto scenico Anagoor
Scene e costumi Simone Derai e Sivia Bragagnolo
Video Simone Derai e Giulio Favotto
Luci Lucio Diana
Assistenti alla regia Marco Menegoni, Monica Tonietto
Faust Francesco Demuro
Mèphistophélès Ramaz Chikviladze
Marguerite Davinia Rodriguez
Marthe Shay Bloch
Valentin Benjamin Cho
Wagner Matteo Ferrara
Siebel Nozomi Kato
Orchestra dell’Opera Italiana
Coro del Teatro Comunale di Modena
Maestro del Coro Stefano Colò

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