Pisa: Tosca riesce a metà

Il Teatro Verdi di Pisa, arrivato a conclusione di un’intensa stagione operistica, ha salutato la sala strapiena e festante con una Tosca sì applauditissima, ma non interamente convincente. Nondimeno, se l’esecuzione ha lasciato spazio a molte perplessità, in primo luogo di natura musicale ed interpretativa, di certo alla cantata non è mancata la diva.

Marily Santoro, infatti, reduce dal debutto livornese di poco meno di una settimana fa, ha rappresentato senza ombra di dubbio il polo attrattivo dell’intera recita: il giovane soprano, sulla sua via di maturazione interpretativa ed affinamento vocale sempre più rapida e fulgida, ha dimostrato doti non comuni, soprattutto in termini di proiezione, penetrazione espressiva ed inappuntabile omogeneità di registri, per cui il primo atto, durante cui capita spesso di sentir ricorrere a suoni artatamente ingrossati, è stato cantato con registro centrale udibilissimo e sempre ricco di armonici, per cui ogni parola era intellegibile sia nel suo significato precipuo che nelle scelte ragionate, ora più sensuali ora più raccolte, di fraseggio e articolazione. Il picco emotivo è stato sicuramente il suo Vissi d’arte, preghiera dolce e potente insieme, cantata con perizia tale da far risaltare la bellezza intrinseca della scrittura pucciniana, senza però per questo evitare di sfoggiare i propri mezzi, con note sempre pulite, luminose in acuto, sottili ma corpose nei pianissimi e tecnicamente esatte nelle messe in voce. Marily Santoro, come se non bastasse, possiede anche un armamentario acutissimo ineccepibile cosicché il famigerato do della lama è uscito sicuro, chiaro, tenuto lungo, con una risolutezza da cardiopalma. Resta da dire della personalità attoriale già definita, smaliziata, giustamente risoluta nello sbalzare una figura femminile che è donna, prima ancora che diva e femme fatale, dalla sensibilità sfaccettata. Insomma, per lei non si può che prevedere il meglio. 

Vincenzo Costanzo, al di là d’un physique du rôle perfetto, pure nella recitazione, non ha convinto come in altre occasioni: il ruolo lo conosce bene, questo è certo, eppure si mostra esitante e non propriamente a fuoco nel primo atto – con suoni acuti a tratti faticosi -, per poi riassestarsi durante il secondo e risultare finalmente piacevole nel terzo, con un applaudito “E lucevan le stelle, da apprezzare soprattutto per l’uso delle mezzevoci e dei pianissimi. Devid Cecconi è una certezza di vocalità precisa, eleganza e rifinitura interpretativa – il suo Scarpia è tetragono ma mai volgarmente protervo -, ciononostante durante la rappresentazione si è protratta un’insolita impressione di spaesamento, che di tanto in tanto si palesava in sparsi lapsus testuali. Troppo caricaturale e dalla linea di canto sporca il Sacrestano di Nicolò Ceriani. Funzionale il resto del cast, fatta eccezione per un molto impreciso pastorello.

La direzione di Henry Kennedy, purtroppo, né ha valorizzato la partitura pucciniana né è parsa orientata verso una precisa idea interpretativa, anzi ha girato in tondo, in un carosello di tonfi e clangori – spingere sul fortissimo non accresce dramma e passioni, anzi penalizza le voci -, squilibri tra le sezioni orchestrali e corali – durante il “Te Deum “le voci bianche svettavano quasi fastidiosamente -, disallineamenti tra palco e buca – pericolosamente sfalsati coro e orchestra nella scena della cantoria festante -, fraseggio poco personale e preziosismi disattesi. Una nota positiva ha echeggiato nell’asciuttezza dell’insieme, sicché il suono dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini – che ha suonato bene, nonostante tutto – è sempre uscito netto e chiaro, come quello dell’ottimo Coro Arché.

La regia di Luca Orsini alla vista ricordava una sorta di capriccio settecentesco, un disegno o un dipinto d’una Roma idealizzata nei suoi marmi antichi, nelle sue rovine arcaiche, nel suo compenetrarsi di modernità e classicità. Molto bella da vedere, quindi, nella sua architettura scenografica, meno in quella più propriamente registica: gestualità risaputa, intervallata da qualche guizzo interessante, ma che spesso si risolveva in pose plastiche fini a se stesse. Bel contenitore, in sostanza, ma non altrettanto bel contenuto.

Mattia Marino Merlo

(21 marzo 2025)

La locandina

Direttore Henry Kennedy
Regia Luca Orsini
Scene Giacomo Andrico
Costumi Rosanna Monti
Light Designer Tiziano Panichelli
Personaggi e interpreti:
Floria Tosca Marily Santoro
Mario Cavaradossi Vincenzo Costanzo
Il Barone Scarpia Devid Cecconi
Cesare Angelotti Omar Cepparolli
Spoletta  Alfonso Zambuto
Il sagrestano Nicolò Ceriani
Sciarrone Eugenio Maria Degiacomi
Un carceriere Paolo Breda Bulgherini
Un pastorello Dalia Spinelli
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro Archè
Maestro del Coro Marco Bargagna
Coro delle Voci Bianche Puccini 100
Maestro del Coro Angelica Ditaranto

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.