Roberto Fabbriciani, il flauto infinito

Il flautista Roberto Fabbriciani è tra i protagonisti assoluti della musica contemporanea: interprete visionario, instancabile sperimentatore e collaboratore dei più grandi compositori del secondo Novecento, ha ampliato in maniera decisiva le possibilità espressive del flauto. In questa conversazione ripercorre i suoi incontri, le sue scelte artistiche e il filo ininterrotto di una ricerca che continua ancora oggi.

  • Lei è sempre stato uno degli interpeti più ricercati del suo strumento, da dove nasce questa passione?

Questa passione nasce dai miei maestri. Il primo è stato Mario Gordigiani, primo flauto e uno dei fondatori con il maestro Vittorio Gui dell’Orchestra Stabile Fiorentina (poi Maggio Musicale Fiorentino). Mario Gordigiani mi ha preparato al repertorio della tradizione classica e mi ha anche stimolato ed incuriosito al repertorio del ‘900. Il secondo mio stimato maestro, Severino Gazzelloni, che ha avuto un ruolo importante nel repertorio flautistico del ‘900, basti ricordare il suo rapporto con Bruno Maderna e con Pierre Boulez. Mi sono ispirato all’esempio di questi maestri e poi, nel rapporto personale con i vari autori, ho coltivato questa passione allargando il mio repertorio e alimentando il mio interesse per la musica nuova.

  • In tempi non sospetti la sua ricerca interpretativa ha visto scelte relative alle composizioni del rinnovamento contemporaneo italiano, me ne parla?

Il fatto di aver partecipato fin dagli anni Sessanta ad importanti festival di musica nuova (Nuova Consonanza / Biennale di Venezia / Maggio Musicale Fiorentino) ha favorito il mio contatto diretto con gli autori. Sono nati rapporti di amicizia, di collaborazione, di reciproca provocazione che hanno generato un percorso musicale fertile e sempre in espansione. Continua invenzione e ricerca sulle tecniche strumentali, con sonorità inusitate verso nuovi orizzonti. Molto importante il mio rapporto con autori quali Goffredo Petrassi, Bruno Maderna, Camillo Togni, Luigi Nono, Franco Donatoni, Ennio Morricone, Sylvano Bussotti.

  • Quale era il suo rapporto con Severino Gazzelloni?

Rapporto importante iniziato all’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Inizialmente mi stupiva questo grande maestro accademico ma anche un po’ sopra le righe. Ero giovane e Severino con la sua sapienza musicale mi affascinava molto e mi ha indirizzato in maniera concreta alla carriera flautistica. Ricordo che più volte mi indicava come suo successore. Divenni suo assistente ai Corsi dell’Accademia Chigiana e, in varie occasioni, suonammo concerti insieme. Conservo di lui un ricordo molto bello e vivo; ho provato grande affetto per Severino, quasi un secondo padre, tant’è che è stato il padrino di battesimo di mia figlia Mayla. Autori che hanno dedicato composizioni a Severino Gazzelloni hanno poi scritto anche per me come Goffredo Petrassi, Franco Donatoni, Aldo Clementi, Luis De Pablo. Questo rapporto con Severino Gazzelloni ha contribuito ad aprire la via della mia collaborazione con grandi compositori quali Luciano Berio, Pierre Boulez, Sylvano Bussotti, John Cage, Elliot Carter, Brian Ferneyhough, Jean Françaix, Ernest Krenek, György Kurtág, György Ligeti, Oliver Messiaen, Giacomo Manzoni, Ennio Morricone, Henri Pousseur, Wolfgang Rihm, Nino Rota, Karlheinz Stockhausen, Toru Takemitsu, Isang Yun.

  • Invece di Camillo Togni cosa ricorda?

Camillo Togni era persona di grande cultura, un gentil’uomo d’altri tempi. Anche con lui ho avuto una affettuosa amicizia. E’ stato mio maestro di composizione e abbiamo collaborato anche in qualche concerto in cui Camillo Togni mi accompagnava al pianoforte. Camillo aveva studiato pianoforte con Alfred Cortot e anche con Arturo Benedetti Michelangeli. Ha scritto alcuni brani per me. Indimenticabile la parte, nella sua opera Blaubart eseguita in prima assoluta al Teatro alla Scala di Milano nella stagione 1978, che mi ha visto flautista e sprechgesanger. Questa è stata per me un’esperienza unica, coinvolgente e molto emozionante.

  • Due rapporti di collaborazione: Luigi Nono e Sylvano Bussotti

Due grandi autori con i quali ho a lungo collaborato e che hanno accresciuto la mia esperienza artistica. Sono stato interprete sulla scena di alcune opere di Sylvano Bussotti quali: Winnie dello sguardo, Le rarità Potente, L’ispirazione, Phaidra/Heliogabalus. Ho apprezzato molto la creatività, di Sylvano, la sua fantasia, il suo amore per il teatro. Flautisticamente mi ha sensibilizzato alla gestualità e al gesto sonoro. Tutto ciò è stato stimolante e anche divertente. Dall’altro lato, mondi diversi, ma con reciproca stima, Luigi Nono con cui ho collaborato dalla fine degli anni ’70. Il rapporto avuto con lui ha fatto focus sulla ricerca sonora, sull’ampliamento del concetto di suono. Tutte le mie precedenti esperienze fatte negli anni ’60 con Bruno Bartolozzi (violinista e compositore), che ha avuto la grande intuizione circa i suoni multifonici applicati agli strumenti a fiato (i legni) e con Sergio Penazzi (fagottista, compositore e direttore d’orchestra), con i suoi scritti sulle tecniche estese, hanno avuto continuità e maggiore approfondimento nella collaborazione con Luigi Nono. Con Nono ci siamo avvalsi della strumentazione elettronica degli studi di fonologia di Milano e di Freiburg aprendo nuove strade indirizzate verso traguardi sonori inusitati. Das atmende Klarsein per piccolo coro, flauto basso, nastro magnetico e live electronics (1981) è il primo lavoro. Seguiranno Io frammento da Prometeo (1981) / Quando stanno morendo. Diario polacco n.2 (1982) / Omaggio a György Kurtág (1983) / Guai ai gelidi mostri (1983) / Prometeo. Tragedia dell’ascolto (1984) / ed ancora A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum (1985) / Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari (1986) / 1° Caminantes…..Ayacucho (1987) / Découvrir la subversion. Hommage à Edmond Jabès (1987) / Post-prae-ludium n. 3 “BAAB-ARR” (1988).

  • Mi racconta dei compositori che più hanno contribuito alla sua formazione di musicista?

Sicuramente i già citati maestri Bartolozzi, Penazzi e Camillo Togni che, con la loro grande cultura hanno contribuito alla mia formazione musicale ma soprattutto hanno stimolato la mia curiosità e mi hanno motivato a continuare nella ricerca e nell’avanguardia artistica.

  • Come considera oggi la musica che viene scritta?

La considero positivamente, è un frutto del tempo. Attraverso linguaggi differenti e messaggi eterogenei spinge al confronto, alla riflessione e a progredire.

  • Esiste ancora una ricerca?

La ricerca deve esistere sempre. Tutto è continuamente perfettibile, non c’è mai una certezza. Noi musicisti, come tutti gli artisti, dobbiamo accollarci dei rischi. L’accademia è un importante punto di partenza, una base imprescindibile dalla quale puntare al futuro.

  • Il riferimento alla musica elettronica, lei è stato un pioniere nel campo della collaborazione con questo genere, oggi cosa ne pensa?

Io ho avuto la fortuna di collaborare con musicisti di riferimento della musica elettronica (Henri Pousseur, Luciano Berio, Bruno Maderna) sperimentando a lungo negli studi di fonologia di Milano (con Marino Zuccheri), Padova, Firenze, Parigi e Freiburg con Luigi Nono, Luciano Berio, Aldo Clementi, Pierre Boulez. La musica elettronica ha segnato in modo importante il repertorio d’avanguardia e può continuare a stupirci e a consegnarci lavori di grande valore. Gli strumenti in evoluzione devono essere sempre al servizio delle idee, del pensiero.

  • Il suo rapporto con Bruno Maderna?

Ho avuto la fortuna di conoscere come grande direttore Bruno Maderna alla fine degli anni sessanta quando suonavo nell’Orchestra del Teatro alla Scala. Maderna rappresenta una pietra miliare del repertorio flautistico del ‘900 e naturalmente questo è stato per me ulteriore motivo di grande ammirazione nei suoi confronti. Don Perlimplin su testi di Federico García Lorca e Hyperion su testi di Friedrich Hölderlin sono due opere teatrali in cui il flautista è protagonista in una drammaturgia sonora. Con piacere ed emozione ho interpretato Hyperion al Theater Freiburg di Freiburg im Breisgau e Don Perlimplin alla Biennale di Venezia. In molte occasioni ho suonato Musica su due dimensioni del 1952 per il flauto e nastro magnetico, il primo brano in assoluto in cui uno strumento acustico interagisce con il nastro magnetico. Ricordo inoltre il Flötenkonzert, Grande Aulodia per flauto, oboe e orchestra ed infine Ausstrahlung (1971). Capolavori che hanno innovato profondamente e ampliato il repertorio flautistico di cui ho realizzato le registrazioni.

  • E Salvatore Sciarrino?

Con Salvatore Sciarrino ho collaborato dalla metà degli anni ’70. Da questa collaborazione sono anche nati i seguenti 7 pezzi per flauto solo di cui 6 a me dedicati. All’aure in una lontananza, (il primo brano del 1977) / Hermes / Come vengono prodotti gli incantesimi? / Canzona di ringraziamento / Venere che le Grazie la fioriscono / L’orizzonte luminoso di Aton / Fra i testi dedicati alle nubi. Queste composizioni hanno condotto il flauto in una dimensione sonora e tecnica nuova e di grande fascino.

  • Lei è instancabile, cosa prevede di fare?

Andare avanti. La musica e il flauto sono una parte importante della mia vita e continuare a suonare, a comporre, a vivere nella musica mi regala emozioni e molte soddisfazioni. Tanti i progetti. Mi piace sempre trovare un confronto, uno stimolo, nella collaborazione con autori e con altri artisti.

Marco Ranaldi

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