Roma: gli incanti di Alcina

Debutto perfetto, quantunque tardivo, dell’Alcina di Georg Friedrich Händel al Teatro dell’Opera di Roma, 290 anni dopo la prima assoluta al Covent Garden di Londra, dove il compositore sassone, naturalizzato inglese da otto anni, si prese la rivincita sui rivali dell’Opera of the Nobility che per l’ostilità del principe di Galles e con il tradimento del suo socio Heidegger, si erano aggiudicati il teatro dell’Haymarket, mandandolo in rovina.

Lo spettacolo magnifico, sinora il migliore della stagione, molto deve all’impeccabile direzione di un maestro come Rinaldo Alessandrini, massimo conoscitore del repertorio barocco, che nell’ottobre 2023 aveva già guidato l’Orchestra del Costanzi nel Giulio Cesare, altro capolavoro di Händel, per la regia di Damiano Michieletto, e quest’anno riconquista il pubblico romano grazie alla stupenda regia di Pierre Audi. Lo spettacolo, infatti, frutto della collaborazione con De Nationale Opera di Amsterdam, è un nuovo allestimento di quello nato a Drottningholm, nel teatrino di corte del palazzo reale svedese nel 2000, e riproposto a Amsterdam e al Théâtre de La Monnaie di Bruxelles nel 2015.

La novità dell’edizione romana sta nelle voci italiane, in particolare quella del soprano Mariangela Sicilia, che presta il suo virtuosismo all’incantatrice Alcina, slittando con abilità dalla seduzione allo sgomento, dall’incredulità alla rabbia; quella del controtenore Carlo Vistoli, che interpreta Ruggiero, prigioniero della maga innamorata e anche lui molto convincente nel passare da una sorpresa all’altra sia col colore della voce, sia con i movimenti del corpo, e ancora del contralto Caterina Piva, che interpreta Bradamante nei panni en travesti del fratello Ruggiero, di cui perdutamente si innamora la sorella della Alcina, Morgana, ruolo affidato al soprano Mary Bevan, che compensa con la presenza scenica l’ineguale tenuta del canto, ed è l’unica straniera con tenore Anthony Gregory, nel ruolo del di lei amante tradito Oronte, mentre Oberto, il figlio di Astolfo respinto da Alcina, è il soprano Silvia Frigato, e Melisso, consigliere di Bradamante è il basso Francesco Salvadori. In questo modo, grazie al virtuosismo del canto, alla prodezza tecnica del suono restituito in tutte le sue sfumature con spasmodica attenzione ai tempi, alle pause del pianissimo, alla furia degli allegro, il capolavoro di Händel, che lottò tutta la vita per il melodramma italiano, rifulge della sua vena mediterranea, finalmente libera dalla stopposa dizione nordica, che abusa incontinente delle doppie e confonde l’estensione delle vocali.

A esaltare la meraviglia di libretto e partitura, c’è l’eleganza astratta ma piena di vita della regia, dove basta una sedia per creare la drammaturgia. Come se Pierre Audi, uno dei maggiori registi contemporanei, liberato di ogni remora, si abbandonasse alla danza dei sentimenti dell’amore e alle infinite variazioni sul tema (l’amore sognato, inseguito, rapito, conquistato, ma anche l’amore deluso, respinto, tradito) per costruire uno spettacolo dove ogni gesto, ogni millimetrico dettaglio dei corpi entra in corrispondenza con le note, sino a creare un unicum di straordinaria bellezza. Finalmente un allestimento perfetto, dove la regia non pretende di soverchiare l’opera di un genio del passato, ma si inchina a servirla, con l’eleganza estrema dell’umiltà consapevole di sé.

Sin dall’inizio il miracolo è assicurato coi personaggi che entrano in scena quasi in punta di piedi, immersi nel fondale incantato della grotta dell’isola di Alcina, fra una replica di quinte fisse di alberi e arbusti volute dallo scenografo e costumista Patrick Kinmonth.

Vestiti in abiti d’epoca del settecento, nelle tinte pastello del rosa, del celeste, poi del grigio quando il dramma si dipana, con ampie redingote per i cavalieri e ricche maniche a sbuffo per le dame, che fanno pensare alla pittura veneziana di Gimbattista Tiepolo, e senza mai indulgere al travestimento da metamorfosi, i cantanti recitano al centro della scena illuminata dalle sapienti vibrazioni di Matthew Richardson che lascia presagire l’indeterminazione del barocco. Cantano, danzano, muovendosi all’unisono secondo una perfetta grammatica dei corpi in balia dei sentimenti, ora inginocchiandosi per sospirare parole di amore all’amato, che giace a terra a braccia aperte, ora inseguendosi fra passi impercettibili come le emozioni interiori, ora i correndo da un lato all’altro del proscenio, in balia alla frenesia dell’amore.

Ma nell’impeccabile misura Pierre Audi trova anche spazio per l’ironia, per il racconto realistico, per la mossa salace, come quando Morgana, per esempio, innamorata persa di Ricciardo, alias Bradamante, lo avvinghia a sé allungandogli le mani fra le gambe. Altro momento clou, molto apprezzato, alla fine del terzo atto, le ombre pallide del coro uscite dall’Ade, vagano nascoste nei veli bianchi, incuranti della richiesta di Alcina, che sgomenta, inizia a dubitare di sé stessa e si avvia alla rovina. Colpo di scena finale, dopo i giardini e la grotta incantata, dopo le gallerie del palazzo in cui avviene l’”anagnoresis” tra Ruggiero e Bradamante, e il ritorno di Morgana nelle braccia di Oronte, il dramma si conclude fra i muri spogli del retropalco, in mezzo agli attrezzi e ai cassoni di scena, ultimo omaggio alla potenza dell’illusione teatrale.

Marina Valensise

La locandina

Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia Pierre Audi
Scene e Costumi Patrick Kinmonth
Luci Matthew Richardson
Personaggi e interpreti:
Alcina Mariangela Sicilia
Ruggiero Carlo Vistoli
Bradamante Caterina Piva
Oronte Anthony Gregory
Morgana Mary Bevan
Oberto Silvia Frigato
Melisso Francesco Salvadori
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
 Maestro del Coro Ciro Visco

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