Roma: la Risurrezione di Santa Cecilia

Inizia alla grande la stagione dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia all’Auditorium Parco della Musicoa di Roma. Il nuovo direttore ospite principale, Jakub Hrůša, 40 anni, boemo di Brno, alle spalle una sfavillante carriera e oggi direttore dell’Orchestra sinfonica di Bamberg, ha diretto la Seconda Sinfonia di Gustav Mahler, “Resurrezione” in do minore, per soli, coro e orchestra. Non poteva esserci scelta migliore per tornare alla vita dopo il silenzio forzato dai lunghi mesi di pandemia. Mahler impiegò sei anni per comporre i cinque tempi di questa sinfonia, lavorando a più riprese tra il 1888 e il 1894. All’epoca, aveva lasciato il teatro di Lipsia, per dirigere l’Opera di Budapest, e approdare poi allo Stadttheather di Amburgo, dove il direttore dei concerti sinfonici era Hans von Bülow, già assistente di Richard Wagner, genero di Listz in quanto marito della figlia Cosima, che lo lasciò per unirsi al suo maestro. Mahler scrisse il movimento iniziale della seconda sinfonia di slancio, sull’onda della prima sinfonia.  Ma quando von Bülow bocciò quel primo tempo, poi chiamato Totenfeier, giudicandolo incomprensibile, col suo Allegro Maestoso. Mit drurchaus ernstem und feierlichem  Ausdruck, e lo rifiutò senza concessioni, Mahler ci rimase malissimo ed ebbe un blocco creativo che durò vari anni. Nel luglio 1893 compose un Andante moderato che sarà poi il secondo tempo, concepì un movimento con funzione di Scherzo, col Lied sulla Predica di Sant’Antonio da Padova ai pesci, e orchestrò Urlicht, la luce primigenia, un Lied tratto da Des Knaben Wunderhorn che aveva composto in precedenza, che finirà nel quarto movimento. Ma solo alla morte del terribile direttore dello Stadttheather, Mahler ritrovò l’energia per portare a compimento il suo capolavoro, come egli stesso scrisse al critico musicale Arthur Seidl raccontadogli la folgorazione avuta nel marante 1894 durante la cerimonia funebre in ricordo di von Bülow: “Lo stato d’animo in cui mi trovavo stando là seduta e i pensieri che rivolgevo allo scomparso erano nello spirito del lavoro che portavo dentro di me. In quel momento, il coro accompagnato dall’organo intonò il corale su un testo di Klopstock Auferstehen!.  Mi colpì come una folgore e tutto apparve limpido e chiaro alla mia anima” Chi crea attende questo lampo, è questo ‘il sacro concepimento’! Eppure, se non avessi già portato in me quell’opera, come avrei potuto vivere tale esperienza?”.

Questa la genesi complessa, e non priva di contrasti di natura psicanalitica, in termini di repressione e liberazione, di un capolavoro che ha per tema la morte e la trasfigurazione e ricrea un mondo in cui, “le cose non si compongono più nel tempo e nello spazio”, come scriveva Mahler, perché muovono  in una visione onirica e interiore, una visione dell’anima che osserva la vita riflessa in una specchio, interrogandosi su suo significato, sul senso del dolore, dell’amore, del destino. Dal Totenfeier, con la grandiosa visione funebre iniziale, che tende al precipizio e corre verso il crollo, verso i contrasti che segnano le parentesi liriche, al pianissimo del secondo tema, il Jakub Hruša ha diretto i maestri dell’Orchestra romana con assoluta precisione, restituendo in gesti limpidi, efficaci, elengatissimi la complessità di una partitura in tutti i suoi preziosi dettagli.

Grande dunque l’emozione di ritrovare a Roma grazie al nuovo direttore ospite l’anima musicale boema, con lo slancio romantico e la dissolvenza, l’anelito alla costruzione e al tempo stesso la corsa verso la distruzione e l’autodistruzione, con lo scherzo e la vertigine del vuoto, caratteristiche della grande arte ceca del Novecento, segnata dal genio di Mahler, Dvorak, Janacek, e da quello di Kakfka, Hrabal e persino Kundera. Impeccabile la duttilità dell’orchestra romana sia nella resa solenne e maestosa del Totenfeier, sia in quella del pianissimo del secondo tempo, coi pizzicati rarefatti e quasi impercettibili, e nel Finale con gli ottoni che suonano in lontananza e il flauto e l’ottavino che rispondono, “come la voce di un uccello”, ultima eco della vita terrestre. Straordinaria la potenza del coro diretto dal maestro Piero Monti, che alla fine del quinto movimento entra in scena dopo il contralto Wiebke Lehmkuhl, e il soprano Rachel Willis-Sørensen, sublimando quasi in un soffio iniziale l’esperienza mistica della resurrezione sino a concluderla in un crescendo imponente. «Ogni sinfonia di Mahler è un sistema nel quale ogni frammento che lo costituisce ha un effetto sull’interezza del resto. Per questo, ogni musicista e ogni strumento dell’orchestra è decisivo, e a tutte le orchestre piace suonare Mahler», ha detto Hrůša a Leonetta Bentivoglio. Di certo, a giudicare dai venti minuti di applausi, l’orchestra di Santa Cecilia sotto la sua direzione ha saputo dare il meglio.

Marina Valensise
(7 ottobre 2021)

La locandina

Direttore Jakub Hrůša
Soprano Rachel Willis-Soerensen
Contralto Wiebke Lehmkuhl
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Maestro del coro Piero Monti
Programma:
Gustav Mahler
Sinfonia n. 2 “resurrezione” in do minore

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