Roma: Un romano a Marte, dal fiasco al classico del teatro musicale

Prima assoluta al Teatro dell’Opera di Roma di “Un romano a Marte”, la quarta opera del talentuoso Vittorio Montalti (1984), su libretto di Giuliano Compagno, diretta da John Axelrod per la regia di Fabio Cherstich. Ispirata al racconto di Ennio Flaiano “Un marziano a Roma” (1954), quest’opera per un attore, tre cantanti, orchestra e elettronica prende spunto dal fiasco della messa in scena di quel racconto satirico da parte della compagnia di Vittorio Gasmann, al Teatro Lirico di Milano nel novembre 1960. E si trasforma in un viaggio onirico, astratto e allucinato, nel mondo di uno dei nostri grandi scrittori del Novecento. Non un omaggio all’inventore degli aforismi più citati d’Italia, ma il racconto in musica di un intellettuale eccentrico e liberale, di un umorista tormentato, il pescarese solitario e schivo che custodì nella Roma della Dolce Vita il suo dramma familiare, pur vivendo in mezzo a una folla di sfaccendati nei caffè di via Veneto, fra gli spogliarelli da Rugantino e l’orda dei paparazzi.

Il sipario s’apre su un teatro semideserto, di fronte a una platea con una fila di poltroncine vuote, occupate solo da due soli mimi in tuta da infermieri, che s’agitano come in preda a un trauma. Sullo sfondo, un enorme schermo incorniciato da una luce al neon. Di lato, una donna delle pulizie con i suoi attrezzi, e al centro una lettiga di ospedale, sulla quale, coperto da un lenzuolo, giace un uomo. E’ morto? No sta solo dormendo. Kunt, il marziano dai capelli giallo canarino, sceso dall’alto con la sua tutina rossa alla Mandrake e la K sul petto, solleva il velo bianco e lo risveglia. A alzarsi, dopo qualche riluttanza, è proprio lui, Flaiano, coi suoi occhiali da ipermetrope con la montatura spessa e squadrata, e indosso un completo grigio con gilet. Inizia allora la danza della memoria, sconnessa come in un sogno, illogica come un continuo fluire di immagini giustapposte. Ecco Ilaria Occhini, l’attrice dai grandi occhi neri, la musa del teatro e del cinema anni Cinquanta, nipote di Giovanni Papini e moglie di Raffaele La Capria, che entra in scena come un’ombra del passato e inizia a cantare nel vuoto con la voce melodiosa del soprano Rafaele Albuquerque. Ecco il narratore che entra in campo in un parlato come un attore del dramma. E mentre la linea vocale evolve dal parlato, al parlato intonato, al parlato sincopato fino al canto a voce piena, toccando tutte le gamme della vocalità, sullo schermo scorrono le immagini animate di Gianluigi Toccafondo che evocano la concitazione del fiasco di Milano e una Roma stilizzata e potente, dove il Tevere, il cupolone e le scritte più assurde si susseguono in un’irresistibile promessa di splendore e decadenza.

La musica è un collage di linguaggi diversi, una bellissima orchestrazione scolpita nella drammaturgia, dove i frammenti jazz di una batteria e di un contrabbasso si intrecciano con i pezzi di rock, e il rock e il jazz si integrano all’elettronica, diretta in cabina a passo di danza dallo stesso compositore, che amplifica il tessuto orchestrale. Montalti pur avendo una formazione classica – diploma al conservatorio di Roma in pianoforte e a quello di Milano in composizione, perfezionamento con Ivan Fedele all’Accademia di Santa Cecilia, master in musica elettronica all’IRCAM di Parigi, ascolta musica diversa e si diverte a farsene influenzare. In questa sua nuova opera, come nelle tre precedenti, persegue la commistione tra linguaggi musicali, riesce a integrare tanti quadri distinti, creando una sorta di zapping di immagini sconnesse, come se fosse un cambio di canale tra varie situazioni drammaturgiche ed emotive. Anche stavolta ha lavorato mano nella mano col suo librettista Giuliano Compagna, autore delle tre opere precedenti. E dall’ intesa è nato un lavoro pieno di corrispondenze, dove la musica esalta la parola e la parola si piega docilmente alla musica, ora servendola, ora anticipandola, ma sempre obbedendo a una stringente armonia. Se Montalti ha scelto la via della commistione, Compagna ha percorso la strada dell’introspezione. Poteva limitarsi a un omaggio della figura di Flaiano, esaltare il battutista celebre e mondano. E invece no, ha puntato su una scelta drammaturgica forte, insistendo sull’intimità dello scrittore radicale e liberale, laico e libertino, il terzo lato del triangolo Moravia-Pasolini, sopravvissuto al cattocomunismo, l’anticoformista geniale che pur essendo un tipo spiritosissimo era un uomo ferito dalla vita, un grande ipersensibile, in balia di un dolore lancinante per la malattia della figlia Lè-lè, colpita da encefalite sin da quando era in fasce.

Ecco allora che alla fine di quest’opera plurale, nel senso etimologico caro a Luciano Berio, maestro   in questo di Montalti, dove coesistono una molteplicità di lavori e tecniche, di capacità e conoscenze che contribuiscono a creare l’unica grande macchina teatrale, la testimonianza chiave è   un video struggente, registrato vent’anni anni fa e ancora inedito. Il poeta Tonino Guerra, amico e sceneggiatore di Fellini, ricorda con emozione il giorno in cui scoprì per caso il suo amico Flaiano, seduto guancia a guancia con la figlia malata, che guardava in silenzio un cortile basso sotto la sua casa di Montesacro. Così il dadaismo si stempera nel lirismo, l’avanguardia astratta cede al melodramma, e l’opera ipercontemporanea di Montalti riesce a compiere il miracolo di tornare alla tradizione per rinnovarla con altri mezzi. Non per niente, John Axelrod, che ha diretto con precisione l’orchestra del teatro dell’Opera di Roma, ha citato espressamente il dadaismo di Marcel Duchamp e l’astrattismo di Robert Rauschenberg per sottolineare la linea di continuità di quest’opera con le grandi esperienze dell’arte del XX secolo. “Montalti è un compositore unico, prende l’orchestra tradizione per ridefinirne la nostra esperienza nel XXI secolo. Grazie alle sue conoscenze accademica, al virtuosismo tecnico e all’estrema modernità, è riuscito a creare un’opera che non solo è di enorme interesse per noi oggi, ma che tra cinquant’anni si continuerà a rappresentare come un classico del teatro musicale”.

Marina Valensise
(22 novembre 2019)

La locandina

Direttore John Axelrod
Regia Fabio Cherstich
Scene, costumi e video Gianluigi Toccafondo
Luci Camilla Piccioni
Personaggi e interpreti:
Ilaria Occhini Rafaela Albuquerque*
Ennio Flaiano Domingo Pellicola*
Kunt il marziano Timofei Baranov*
Il Critico Gabriele Portoghese
Caterina Martinelli Valeria Almerighi
dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti