Rovereto: la conclusione del Prologo sul filo del clarinetto
Le ultime due “Camere” che hanno chiuso il Prologo di stagione della Filarmonica di Rovereto hanno avuto come filo conduttore il clarinetto, declinato in una sequenza di pagine capaci di metterne in risalto la vasta gamma di “possibilità”, affiancando il tutto ad altre composizioni per organici non convenzionali.
L’esito è stato, come di consueto, intrigante, confermando la vocazione sperimentale della Filarmonica roveretana.
Si è cominciato la mattina di domenica 13 ottobre in una collocazione che sarebbe “inusuale” per una qualsiasi società di concerti, ma che invece risulta perfettamente “naturale” – e vincente – nell’ambito delle scelte del sodalizio roveretano.
La hall di Trentino Sviluppo è stata dunque scrigno e cornice di un concerto da ricordare a lungo sia per l’acume del programma che per la valentia degli esecutori.
In apertura l’Ouverture su temi ebraici – nella sua prima versione per clarinetto, archi e pianoforte del 1919 – che Sergeij Prokof’ev compose, su richiesta del clarinettista Simeon Bellison e dello Zimro Ensemble, in un periodo di grandi cambiamenti politici e sociali in Russia. L’opera può essere vista come un omaggio alla cultura ebraica in un periodo di antisemitismo crescente, dimostrando una certa apertura verso le minoranze culturali, così come la scelta di collaborare con musicisti ebrei e di utilizzare i loro temi tradizionali dimostra l’interesse di Prokofiev per il folklore e il suo desiderio di rendere universale la cultura russa, includendo elementi di altre tradizioni.
Maria Luciani, straordinaria clarinettista – e con lei i sempre affiatati Filippo Pedrotti, Lorenzo Tranquillini, Nicola Sangaletti, Lorenza Baldo e Calogero Di Liberto – coglie ogni più minuta sfumatura della pagina, mettendo in risalto le atmosfere kletzmer in un costante dialogo con gli archi.
Nella seconda parte si è ascoltato, con emozione crescente, il Quintetto per clarinetto e archi in La maggiore, KV 58, composto da Mozart nel 1789 e noto anche come “Quintetto Stadler,” in onore del clarinettista Anton Stadler, per il quale fu scritto.
Opera tarda, nella quale, al pari delle ultime tre sinfonie e poi nel Requiem incompiuto, lo spettro della morte aleggia costantemente ma in controluce, quasi a significare una sua consapevole accettazione.
Qui ancora una volta Maria Luciani trova la chiave di lettura più corretta e coinvolgente – assecondata dal quartetto d’archi in cui al violoncello della Baldo subentra quello di Benedetta Baravelli – soprattutto nel lacerante Larghetto che costituisce il secondo movimento e dove il rischio di “restarci dentro” è costantemente in agguato.
E invece no: la Luciani riesce a mantenere la barra del timone ben salda, attenta a non incappare nei flutti di melasse languorose o nelle secche di un patetismo d’effetto, dando di contro vita ad un fraseggio cesellato e lucidissimo oltre che ricco di colori.
Nel pomeriggio gli stessi interpreti si sono rincontrati nell’atrio del Mart, trasformato per l’occasione in suggestiva scatola sonora, per dare vita al concerto conclusivo del Prologo di Stagione.
Perfetta la scelta di eseguire in apertura i Märchenerzählungen (Racconti di fiabe), op. 132 che Robert Schumann compose nel 1853, negli suoi ultimi anni di attività prima del definitivo crollo psichico. Il ciclo è scritto per clarinetto, viola e pianoforte, un’insolita combinazione timbrica capace di suscitare un dialogo trasognato tra i tre strumenti è un tributo appassionato di Schumann al mondo delle fiabe e delle leggende da cui era affascinato e che in questo lavoro sembra trasporre in musica atmosfere misteriose e oniriche, rendendo omaggio a un immaginario simbolico e popolare tipico della cultura romantica tedesca.
Le inquietudini delle fate schumanniane – perché queste fate sono creature tormentate e angoscianti – trovano resa impeccabile nell’esecuzione caleidoscopica di Maria Luciani, Klaus Manfrini e Calogero Di Liberto, ancora una volta capaci di trarre le molteplici screziature cromatiche contrappuntistiche del pezzo senza tuttavia dimenticare la melodia.
In chiusura il Sestetto op. 18, monumento alla “sperimentalità” composto da un Johannes Brahms ventisettenne nel 1860 e che si distingue per il lirismo, la profondità espressiva e l’innovazione nel trattamento del suono, sfruttando la ricchezza dell’impasto sonoro degli archi e l’intreccio delle linee melodiche trovando una scrittura del tutto personale rimanendo comunque fedele alla tradizione della musica da camera che lo aveva preceduto.
Funziona tutto nella lettura lucidamente analitica di Tranquillini, Pedrotti, Manfrini, Sangaletti, Baravelli e Baldo, tutti insieme tesi a restituire un suono meditatissimo e riccamente fraseggiato.
Successo di pubblico, partecipe ed emozionato.
Alessandro Cammarano
(13 ottobre 2024)
La locandina
Clarinetto | Maria Luciani |
Violino | Lorenzo Tranquillini, Lorenzo Pedrotti |
Viola | Nicola Sangaletti, Klaus Manfrini |
Violoncello | Lorenza Baldo, Benedetta Baravelli |
Pianoforte | Calogero Di Liberto |
Programma: | |
Hall di Trentino Sviluppo | |
Sergeij Prokof’ef | |
Ouverture su temi ebraici op. 34 (versione 1919) | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Quintetto KV 581 per clarinetto e archi | |
Mart | |
Robert Schumann | |
Märchenerzälungen op. 132 per clarinetto, viola e pianoforte | |
Johannes Brahms | |
Sestetto op. 18 per archi |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!