Sacile: piccoli pianisti per un grande pianoforte

Un pianoforte come Fazioli è uno strumento magico, che nella sua imponenza – persino le ruote sono ruggenti – restituisce al tocco uno tra i suoni più apprezzati, ormai da quarant’anni, nell’ambiente pianistico internazionale. E se a 8 anni ti siedi davanti al “Mago Merlino” – il modello F278 così battezzato nel 2005 da Aldo Ciccolini nell’inaugurazione della Fazioli Concert Hall – e le tue dita vengono rapite dalla musica allora il viso si colora di stupore.

Questo è successo ai giovani e giovanissimi pianisti che lo scorso 5 luglio hanno varcato la soglia della sala da concerti della ditta Fazioli, a Sacile, per registrare il disco dei premiati del Concorso pianistico internazionale dedicato al M° Remo Vinciguerra, organizzato dall’associazione veronese “La Musica che Sorride” di Maria Cristina Rigoni e giunto alla sua 8° edizione. Italia, Francia, Serbia, Croazia e Albania, queste le nazionalità dei concorrenti che hanno ricevuto come premio speciale la possibilità di partecipare alla registrazione del cd del concorso. Ovviamente, le musiche eseguite sono state quelle del compositore abruzzese Remo Vinciguerra, che da decenni rappresenta l’autore moderno più apprezzato dai giovani che si avvicinano a questo strumento. Presente alla registrazione, Vinciguerra, da grande motivatore qual è, immediatamente è entrato in sintonia con i partecipanti, pronto a trasformare anche un’esperienza così impegnativa per questi giovani pianisti in un prezioso momento formativo, sempre con i ragazzi al centro di un’attenzione didattica. Una lunga giornata di incisione: una trentina di premiati dagli 8 ai 18 anni, tra cui il primo premio assoluto del concorso Jacopo Gressini, supportati dall’ingegnere del suono Federico Furlanetto, di cui ricordiamo i sorrisi, l’entusiasmo, la gioia e quella luce negli occhi di chi porta il pianoforte nel cuore e porterà con sé il suono di Fazioli.

Al termine di tante emozioni, abbiamo avuto l’occasione di visitare la fabbrica di Sacile. L’ingegner Fazioli ci ha aperto le porte del suo scrigno delle meraviglie, concedendoci anche un’intervista “fuori orario” e mostrandoci il bellissimo volume “Dal sogno al suono” appena uscito per Rizzoli, che celebra i quarant’anni dall’inizio di questa avventura “donchisciottesca”, come l’ha definita Nicola Piovani in quelle stesse pagine.

Entrare in questa fabbrica è come varcare la soglia di una bottega artigiana. Tutto è frutto del lavoro manuale di personale altamente specializzato. Il profumo che ti accoglie, predominante, è quello del legno (abete rosso di risonanza, acero canadese, mogano africano…), quindi della colla e della vernice, mentre il suono che ti avvolge è quello dei gesti regolari, precisi e sapienti delle mani che intagliano il ponticello, sagomano le catene della tavola armonica, regolano le morse per la curvatura delle fasce, rifilano il somiere, fissano le corde, lucidano la vernice. Marta, la mia guida, spiega con dovizia di particolari ogni passaggio della creazione di un pianoforte Fazioli, che impiega circa due anni per essere pronto a uscire dalla fabbrica. Una produzione limitata, 140 strumenti all’anno, e di altissima qualità, che utilizza materiali di eccellenza per ognuno dei 22.000 pezzi con cui è costruito un pianoforte! In questa fabbrica – “modello di organizzazione e pulizia” come la definisce a ragion veduta Angela Hewitt nell’intervista contenuta nel libro edito da Rizzoli – ogni dipendente che abbiamo incontrato, curvo sul suo lavoro, ci ha accolto con un sorriso, donandoci un minuto del suo tempo per spiegarci quei gesti, così morbidi e attenti da assomigliare a un prendersi cura, più che a una semplice mansione ripetitiva. Il clima che si respira è positivo e accogliente, dando la sensazione di entrare in una grande famiglia votata alla realizzazione di un sogno, ossia la ricerca di un suono speciale, quello che Paolo Fazioli si è immaginato quarant’anni fa.

Quando un pianoforte Fazioli è pronto per lasciare la fabbrica friulana? Quando ha superato le ultime due fasi di produzione. La prima è un doppio rodaggio finale che prevede un ciclo leggero di 1500 colpi su ogni tasto e un ciclo più forte con 7000 colpi pesati, che in una notte sollecitano la meccanica quanto farebbe un pianista in due anni di studio. E infine, ultima tappa, sono le mani dell’ingegnere a testare ogni singolo strumento, a controllare se quel suono lì – “quell’incredibile sonorità” (Nikita Magaloff), “quel suono che celebra la libertà e la creatività dello spirito umano” (Herbie Hancock), “quella profondità e ricchezza di armonia” (Daniil Trifonov), “un suono lirico, brillante, ricco di sfumature” (Maurizio Baglini) – sia esattamente quello che lui cercava.

  • Ingegner Fazioli, anche il mondo dei suoi pianoforti ha risentito in qualche modo di un anno e più di pandemia?

«La macchina non si è fermata, ha preso semmai strade un po’ diverse che hanno portato il nostro settore a continuare a stare bene. Dei costruttori – risponde Paolo Fazioli – credo che nessuno abbia subito un danno economico da questa pandemia. Certo i concerti, la stagioni dei teatri, si sono interrotti in presenza, ma non del tutto con lo streaming. Quello che ha preso più vita sono state le vendite degli strumenti per la casa. Le persone hanno scoperto qualcosa che mancava, la possibilità, avendone il tempo, di fare musica in casa».

  • Forse aveva pesato di più per voi un altro evento estremo e imprevisto, la tempesta Vaia, che ha danneggiato nell’ottobre del 2018 la zona delle Dolomiti dove si trova il miglior legno di risonanza?

«Noi produciamo circa 140 pianoforti all’anno, non è una quantità tale da essere messa in crisi da Vaia. Forse per chi produce 20.000 pianoforti all’anno il discorso è diverso. In fabbrica abbiamo un vero e proprio “caveau” dove custodiamo per la stagionatura il miglior legno di risonanza che ci occorre per la nostra produzione».

  • Quando ha cominciato a produrre, negli anni ’90, alcuni pianoforti con una veste personalizzata, dalle varie essenze di legno agli intarsi, e poi a seguire il rosso sgargiante del Marco Polo e linea nautica del Liminal, c’è chi l’ha considerata una blasfemia. Ora Bösendorfer propone modelli con i cristalli di Swarovski oppure disegnati da Castelluccio per una linea di Boutique Hotel di lusso, e anche Steinway & Sons sta producendo un gran coda progettato da Lenny Kravitz. Questione sdoganata?

«Dopo la Seconda guerra mondiale il pianoforte si cristallizza nel colore nero, ma i secoli precedenti erano stati molto fantasiosi. Abbiamo ricominciato a fare cose speciali riprendendo dalla varietà dell’Ottocento, dove c’erano strumenti che mostravano una determinata ricchezza di materiali, sfarzi dorati, uno stile barocco, magari un po’ pesante. Rivisitare il mobile era una moda dell’epoca e noi l’abbiamo ripresa. Ovviamente la parte interna, armonica, non viene toccata, quella si lascia intatta, mentre si interviene sulla parte puramente estetica, a volte con soluzioni piuttosto innovative come il Kengo Kuma. Abbiamo cominciato nel 1995, con una richiesta particolare per una serie di ville e alberghi del Sultano del Brunei, che voleva degli intarsi di malachite. Fu una sfida incastonare delle pietre dure sul fianco del pianoforte. Poi seguirono tanti altri modelli, come il Liminal, il Telus, il Butterfly. Ma non è finita qui, alla fine di luglio presenteremo un nuovo modello speciale che si chiamerà Mirror».

  • La sua fabbrica vanta un Dipartimento di ricerca e sviluppo, di cosa si tratta?

«Stiamo cercando di modellare un pianoforte, cioè ricreare, con algoritmi e l’aiuto di software speciali, il comportamento del pianoforte. Questo per capire come funziona dal punto di vista acustico senza costruirlo. Si fa un modello matematico che ha delle caratteristiche particolari in cui possiamo cambiare i parametri di costruzione e già capire come potrà essere il risultato. Questo ci può aiutare per escludere quelle scelte che potrebbero portare a risultati negativi. Non è comunque la soluzione, perché alla fine chi giudica il risultato della costruzione di uno strumento siamo noi, la macchina non te lo dice, ma ti può dare elementi importanti con cui interpretare il risultato».

  • Incuriosisce molto la sua creazione di un quarto pedale, in dotazione per il modello F308, ma sappiamo che Angela Hewitt lo ha richiesto espressamente anche per il suo F278. Da quale esigenza nasce l’introduzione di un nuovo pedale?

«Sappiamo che il meccanismo del pedale sinistro nel pianoforte verticale è diverso da quello del pianoforte a coda, e di conseguenza anche il risultato sonoro differisce. Nel primo, abbassando il pedale sinistro la martelliera si avvicina alle corde, e in questo modo il suono prodotto risulta essere meno forte. Nel secondo, con lo spostamento della meccanica, il suono cambia nel timbro, risultando più nasale. Quindi l’idea è stata quella di fornire al pianoforte a coda un pedale sinistro così come funziona nel pianoforte verticale, ossia diminuendo la corsa del martelletto e dunque portando alla diminuzione del suono, e lo abbiamo aggiunto a sinistra, come quarto pedale. L’esecutore può quindi scegliere quale pedale utilizzare tra i due o, addirittura, premerli assieme alla scoperta di un suono ancora nuovo. Lo abbiamo inventato nel 1987 e ne abbiamo dotato il gran coda da concerto, il modello F308. Solitamente diamo ai teatri due lire intercambiabili, con 3 e con 4 pedali, così che il pianista possa scegliere, a seconda che abbia un tempo adeguato per provarlo prima della sua esibizione. Va bene sia per le registrazioni sia per casa, e si può mettere anche sugli altri modelli, come appunto ha richiesto Angela Hewitt».

  • Nel libro che Rizzoli dedica ai quarant’anni dei suoi pianoforti, troviamo la locandina del concerto che si tenne al Teatro Zancanaro di Sacile il 12 novembre 1980 con il prototipo del pianoforte Fazioli. Dove si trova oggi il numero 1?

«Si trova a casa mia! È il mio pianoforte. Suonava già bene allora e suona bene ancora adesso. Il suono rivela la maturità degli anni».

  • In questa estate 2021 ripartono finalmente i festival musicali e molti di questi hanno i suoi pianoforti, tra i quali, per citarne alcuni, Umbria Jazz, il LacMus Festival di Louise Lortie, il Trasimeno Music Festival di Angela Hewitt, il Ferrara Piano Festival di Simone Ferraresi e Piano City a Milano, ma anche un nuovissimo festival nella città belga di Gand. È una rinascita?

«Finalmente tornano i concerti in presenza, anche se perlopiù nella modalità all’aperto, l’unica che è possibile fare per stare tranquilli in questa situazione, ma non sarebbe giusto per uno strumento come il pianoforte, perché è nato e concepito per stare al chiuso dal punto di vista dell’ascolto, acustico e climatico. È l’unico che non ha una cassa armonica, che non è chiuso. Il pianoforte ha una tavola armonica che trova una cassa armonica con quello che gli sta attorno. All’aperto il pianoforte suona per modo di dire, ma se è l’unica cosa che ci resta, allora ripartiamo da qui».

Monique Cìola

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