Salisburgo: Death in Venice tra decadenza e desiderio

È una Venezia rarefatta, malinconica e profondamente metafisica quella evocata da John Neumeier nel suo Death in Venice, creato nel 2003 e presentato dall’Hamburg Ballet nella terza giornata del Festival di Pentecoste 2025.
Lontana dalle vedute turistiche, la laguna scenica immaginata dall’ottantaseienne coreografo statunitense, sospesa tra sogno e decadenza si fa teatro di un dramma interiore dalla potenza visiva folgorante.

Traendo ispirazione dal racconto di Thomas Mann, filtrato dalla memoria della trasposizione cinematografica di Luchino Visconti, Neumeier plasma un’opera di danza che è insieme meditazione sulla bellezza e sul tempo, studio dell’identità e dei suoi abissi.

Il protagonista, Gustav von Aschenbach – qui non scrittore ma coreografo in crisi e figura paradigmatica dell’uomo moderno – diventa corpo e movimento in una partitura di straordinaria precisione emotiva: ogni gesto è carico di tensione, ogni passo racconta la frattura insanabile tra il rigore dell’intelletto e la vertigine del desiderio, dell’amore per la giovinezza e dell’orrore della vecchiaia.

Neumeier, con la sua consueta capacità di fondere struttura classica e vocazione teatrale, costruisce un linguaggio coreutico che riesce a essere insieme formale e febbrile; le linee del balletto tradizionale vengono piegate e attraversate da un’urgenza narrativa che non lascia respiro, mentre la musica – che alterna il Bach dell’Offerta Musicale, l’estremo Wagner del Tristan, incursioni rock e silenzi densissimi – diventa co-protagonista e veicolo di senso.

La regia coreografica si distingue per un uso sapiente dello spazio scenico – ideato, insieme ai costumi, dallo stesso Neumeier e da Peter Schmidt – che nella sua essenzialità al limite dell’espressionismo si fa riflesso dell’anima in tumulto.

Neumeier non racconta semplicemente una storia: cesella atmosfere, scolpisce tensioni, orchestra una sinfonia di emozioni. Il passo a due di Aschembach e Tadzio è di una crudeltà straziante e insieme carico di dolcezze inespresse eppure perfettamente tangibili

Nei panni di Aschenbach Edvin Revazov regge sulle proprie spalle l’intera costruzione drammatica con una prova intensa e allo stesso tempo controllata, fatta di dettagli minimi e di fragilità vibranti. L’incontro con il giovane Tadzio – uno straordinario e sensualissimo Caspar Sasse – presenza eterea e irraggiungibile, non è mai banalizzato in una rappresentazione estetizzante, ma diventa metafora potente della crisi di un’intera civiltà, sospesa sull’orlo della decadenza.

Non sono loro da meno gli altri interpreti a cominciare da Matias Oberlin e Louis Musin, capaci di dare forma coreutica ai personaggi chiave del Vagabondo, del Gondoliere, la Coppia di ballerini e ancora Dioniso, il Parrucchiere e Chitarrista.

Magnifico anche Alessandro Frola nei panni di Federico il Grande, che nell’idea di Neumeier incarna lo spirito guida di Aschenbach e che è anche l’ispiratore dell’Offerta Musicale, avendo donato a Bach il tema per flauto dal quale l’opera si sviluppa.

Ottima la prova di Anna Laudere come Assistente e Madre di Tadzio e sugli scudi l’intero corpo di ballo.

Resta qualche dubbio sulla prova di David Fray, pianista di gran vaglia chiamato ad eseguire dal vivo una parte della musica e che deve necessariamente adattarsi alla scansione del tempo dettata dalla coreografia, risultando in più di un’occasione troppo legato ad un metronomo non suo.

Successo travolgente, con Neumeier e i suoi applauditi lungamente da un pubblico tutto in piedi.

Alessandro Cammarano
(7 giugno 2025)

Deutsche Version

Eine rarefizierte, melancholische und zutiefst metaphysische Lagunenstadt: John Neumeiers „Death in Venice“ beim Pfingstfestival 2025

Von Alessandro Cammarano, 7. Juni 2025

Es ist ein ätherisches, beinahe traumverlorenes Venedig, das John Neumeier in seinem 2003 geschaffenen Ballett Death in Venice beschwört – fernab aller touristischen Klischees, entrückt und von einer dekadenten Schönheit durchdrungen. Am dritten Tag des Pfingstfestivals 2025 brachte das Hamburg Ballett dieses Werk auf die Bühne – ein Stück von faszinierender visueller Kraft, in dem die Lagune zum Schauplatz eines inneren Dramas wird, schwebend zwischen Traum, Erinnerung und existenzieller Auflösung.

Ausgehend von Thomas Manns gleichnamiger Novelle und durchdrungen von der filmischen Imagination Viscontis, gestaltet der 86-jährige amerikanische Choreograf eine tänzerische Meditation über Schönheit, Zeit, Identität und deren Abgründe. Gustav von Aschenbach – hier nicht als Schriftsteller, sondern als Choreograf in der Schaffenskrise gezeichnet – wird zur Verkörperung des modernen Menschen, dessen Ringen in jeder Bewegung spürbar ist: Ein Tanz zwischen intellektueller Strenge und sinnlicher Verführung, zwischen Sehnsucht nach Jugend und dem Grauen vor dem Alter.

Neumeier bleibt seiner unverkennbaren Handschrift treu: Klassische Formstrenge verbindet sich mit theatralischer Leidenschaft, strukturelle Klarheit mit fiebriger Emotionalität. Die Formen des traditionellen Balletts werden durchdrungen von einer narrativen Dringlichkeit, die den Atem stocken lässt. Die Musik – eine kühne Collage aus Bachs Musikalischem Opfer, Wagners spätem Tristan, rockigen Einsprengseln und bedeutungsschwangeren Stillemomenten – fungiert als gleichberechtigter Protagonist und Träger tiefer Bedeutung.

Die choreografische Regie besticht durch einen hochsensiblen Umgang mit Raum und Licht. Bühne und Kostüme – gemeinsam mit Peter Schmidt entworfen – bewegen sich in einer expressiven Reduktion, die das seelische Erzittern des Protagonisten spiegelt. Neumeier erzählt nicht bloß eine Geschichte: Er modelliert Stimmungen, schichtet Spannungen, entwirft eine sinfonische Architektur der Emotionen.

Das zentrale Pas de deux zwischen Aschenbach und Tadzio gerät zu einem erschütternd-schönen Moment: von schmerzlicher Zartheit durchzogen, unausgesprochene Süße liegt in jeder Geste, in jeder Annäherung, die nie vollzogen wird – eine berückende Metapher für die Unerreichbarkeit des Begehrten.

Edvin Revazov als Aschenbach trägt das psychologische Gewicht des Stücks mit eindrucksvoller Intensität. Seine Darstellung bleibt stets kontrolliert, voller zerbrechlicher Nuancen – eine meisterhafte Studie innerer Zerrissenheit. Caspar Sasse als Tadzio wiederum ist eine Erscheinung von betörender Präsenz: sinnlich, flüchtig, fast überirdisch. Ihre Begegnung verweigert sich jeder ästhetisierenden Romantisierung und wird so zum kraftvollen Bild für den kulturellen und geistigen Niedergang einer Epoche.

Auch das übrige Ensemble beeindruckt: Matias Oberlin und Louis Musin verleihen ihren Rollen – dem Vagabunden, dem Gondoliere, dem Tänzerpaar, Dionysos, dem Friseur und Gitarristen – choreografisches Profil und darstellerische Tiefe. Alessandro Frola brilliert als Friedrich der Große – jener historische Geist, den Neumeier als Inspirationsquelle sowohl für Aschenbachs innere Stimme als auch für Bachs Musikalisches Opfer interpretiert, dessen Thema auf den preußischen König zurückgeht.

Anna Laudere überzeugt in der Doppelrolle als Tadzios Mutter und Assistentin. Das Ensemble insgesamt zeigt sich in großer Form – homogen, präsent, expressiv.

Einziger Wermutstropfen: Pianist David Frey – zweifellos ein Künstler von Rang – muss sich dem tänzerischen Duktus unterordnen, was seine musikalische Freiheit spürbar einschränkt. An mehreren Stellen wirkt das Spiel allzu metrisch gebunden, der innere Atem fehlt.

Dennoch: Ein triumphaler Abend, bejubelt von einem stehend applaudierenden Publikum. John Neumeier bleibt ein Magier des Tanzes, ein Architekt der Seele.

La locandina

Coreografia e Scene John Neumeier
Scene e costumi Peter Schmidt
Costumi John Neumeier
Personaggi e intepreti:
Piano David Fray
Gustav von Aschenbach Edvin Revazov
Assistente, Madre, Madre di Tadzio Anna Laudere
Tadzio Caspar Sasse
Matias Oberlin, Louis Musin Il Vagabondo, il Gondoliere, una Coppia di ballerini, Dioniso, il Parrucchiere, il Chitarrista
Federico il Grande Alessandro Frola F
Idee di Aschenbach  Silvia Azzoni
Idee di Aschenbach Alexandre Riabko
Hamburg Ballett

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