Simone Di Crescenzo racconta il Belcanto

Il pianista e musicologo Simone Di Crescenzo sarà protagonista, su Classica HD, di un programma che percorrerà le vie del Belcanto in compagnia di Mariella Devia. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche domanda.
  • Come nasce il progetto di una trasmissione sul Belcanto?

Il progetto nasce dalla volontà di portare sul grande schermo autori ed opere di cui non si parla mai abbastanza e di raccontare, in pillole, i tre grandi compositori del primo ‘800, Rossini, Bellini e Donizetti, che hanno contribuito in maniera decisiva alla diffusione internazionale dell’opera italiana nel mondo, con il loro genio creativo. Il Belcantismo, com’è noto, è un fenomeno che inizia molto tempo prima e trova in questi autori l’ultima sua grande stagione. Si tratta di un patrimonio prezioso su cui manca ancora una vera specializzazione, ovvero un incontro ponderato fra musicologia, prassi esecutiva (che rimane il tassello più carente) e soprattutto mercato dell’opera. In questo senso sulla musica barocca sono stati fatti passi da gigante negli ultimi vent’anni, ma il Belcanto del primo ‘800 è rimasto un po’ in disparte, vivendo a volte di rendita e di una certa tradizione che ha attraversato il secolo appena passato. Credo che ci sia molto da fare, da scoprire e da rivalutare, soprattutto per ciò che riguarda anche compositori meno noti di quel periodo, quasi sconosciuti al grande pubblico. Il programma vuole essere un piccolo contributo alla diffusione di questi argomenti ad ampio raggio, in maniera divulgativa.

  • Dopo la Rossini Renaissance è finalmente iniziata, da qualche anno, una riscoperta “scientifica” di Donizetti, con una Fondazione Donizetti attivissima ed edizioni critiche di assoluto valore. Manca Bellini; pensa che il programma potrà sensibilizzazione non solo gli appassionati ma anche gli addetti ai lavori?

Il mio amato Bellini, quanto ci sarebbe da dire… Spero che il programma possa creare un po’ di fermento intorno a questo argomento. Affrontiamo Bellini nella terza puntata: come potrà immaginare è solo una piccola finestra rispetto alla vastità dell’oggetto e all’importanza che il genio belliniano ha avuto nella storia della musica. Come ho detto prima, è uno di quegli autori che si continua ad eseguire nel solco di una consuetudine che, a partire dal suo titolo più noto, Norma, non si è mai del tutto interrotta, dalle origini fino ad oggi. Con Bellini si dovrebbe quindi iniziare dal principio e ricostruire le fila di una storia della tradizione che ha dovuto attraversare le intemperie di fine ‘800 e ancor più quelle del Verismo dei primi anni del ‘900. Questo lavoro non può e non deve relegarsi in ambito puramente accademico, ma dovrebbe aprirsi e collegarsi all’ambito produttivo e quindi alla messinscena. Per poter poi rendere applicabili gli studi, occorre riformare l’intero assetto esecutivo, a partire dall’orchestra, dal diapason, dalle scelte musicali dei direttori, dai registi e soprattutto dai cantanti. In un autore come Bellini, dove la linea del canto costituisce l’asse portante del movimento emotivo funzionale alla drammaturgia, è indispensabile avere degli interpreti coscienti ed istruiti in tal senso. Con la progressiva scomparsa di cantanti armati, non solo di una tecnica adatta a questo repertorio, ma soprattutto della sensibilità per affrontarlo, la crisi è stata quasi una conseguenza naturale.

Occorrerebbe quindi fondare sia un comitato scientifico, che uno esecutivo/musicale e soprattutto una scuola di canto, che non può svolgersi sempre e solo alla stregua di corsi di perfezionamento o masterclass… Per assorbire quanto necessario occorrerebbe qualche anno. Il problema fondamentale è che siamo in Italia, un Paese dove questi aspetti sono diventati marginali nella conduzione delle risorse destinate alla cultura. Basti pensare alle condizioni in cui versa il Teatro Bellini di Catania appunto…e non aggiungo altro.

  • Mariella Devia è una belcantista “prodige”; quale sarà il suo ruolo all’interno del programma?

Mariella Devia mi ha accompagnato in questo viaggio dall’alto della sua indiscussa esperienza in questo ambito, colei che negli ultimi trent’anni è stata ambasciatrice del Belcanto Italiano nel mondo. Abbiamo chiacchierato a proposito di numerosi temi sia strettamente musicali, sia di episodi legati alla sua carriera. Il pubblico sarà reso partecipe di queste nostre conversazioni. Considero la sua presenza una testimonianza preziosa e di inestimabile valore per il significato di ciò che raccontiamo nel programma avendo lei, da protagonista e in prima persona, vissuto la rivalutazione di un determinato repertorio.

  • Lei è, oltre che musicologo, concertista affermato e ha la responsabilità dell’archivio di Rodolfo Celletti, conservato presso la Fondazione Grassi di Martina Franca. Come queste attività si coniugano tra di loro?

Ognuna di queste attività si collega ad un mio interesse e quindi ad una parte di me. Non mi sono mai considerato un pianista che vive la musica unicamente legata al suo strumento, bensì come un fenomeno artistico e culturale ad ampio raggio. Credo quindi che queste attività siano connesse dalla mia visione allargata del fenomeno musicale. L’archivio di Rodolfo Celletti è una miniera di materiali per gli studiosi del Belcanto e l’operazione che sto conducendo è volta proprio a rivalutare questi fondi, rendendoli accessibili a tutti gli addetti ai lavori. Non da ultimo mi occupo anche di pianificazione culturale in qualità di consulente artistico per alcune fondazioni italiane.

  • Tornando al programma; quanto è importante la divulgazione musicale e soprattutto qual è il mezzo migliore per veicolarla?

Credo che la divulgazione musicale sia fondamentale, soprattutto nel nostro Paese, dove è piuttosto carente. Tutti i mezzi sono efficaci, purché usati con cognizione, ma di sicuro la televisione è uno dei più potenti. Credo anche che la divulgazione debba seguire da un lato le esigenze del nuovo pubblico, soprattutto dei giovani, ma dall’altro non debba allontanarsi troppo dalla conoscenza diretta della materia.

Alessandro Cammarano

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