Spoleto: le Nozze di Figaro brillano di modernità

Eseguire Mozart nei nostri tempi non è cosa semplice. Soprattutto quando si tratta di un capolavoro come Le nozze di Figaro. Opera che poco è affine alla tradizione italiana di quella buffa, se non fosse per la presenza di recitativi e di situazioni giocose, diventa sempre un campo di confronto attivo rispetto al come interpretare e metter in scena tale capolavoro. Indubbiamente della cosiddetta trilogia italiana di Mozart, quella per intenderci nata su libretti di Lorenzo Da Ponte, Le Nozze di Figaro si discosta certamente dal Don Giovanni e ancor più da Così fan tutte, che spesso viene pensata come una prosecuzione del capolavoro di Beaumarchais. Nelle Nozza Mozart tratta con Da Ponte una apparente dissoluzione di una borghese situazione. Figaro che non è certo un eroe appare nei panni di colui che poco ha da dimenticare rispetto ai personaggi non fortunati della commedia dell’arte. Questo è certamente il tratto d’unione. Beaumarchais quando si avventura nella trilogia di Figaro sa probabilmente di doversi riferire alla tradizione tutta italiana del teatro veneziano e napoletano del Seicento. Dunque, nella sua trilogia quello che è importante rimane nella logica del personaggio maschile, quello di Figaro, meschino servitore che come spesso capita nel teatro di Goldoni, trova le migliori soluzioni per aggirare i ricchi padroni.

Tornando a Mozart, egli precede Gioacchino Rossini nella messa in scena de Il Barbiere di Siviglia (che in verità aveva avuto un epigono nel lavoro del tarantino Giovanni Paisiello e anche dal perugino Francesco Morlacchi) e crea una messa in opera di qualche cosa di miracoloso. Certo fra il Don Giovanni e Così fan tutte la vera drammatica situazione rimane nel come collocare l’impianto tipicamente italiano del movimento in quella che è non solo la partitura ma anche l’ampiezza della narrazione. Del movimento dunque. Spesso in Italia in particolare, si pensa che Mozart, qualsiasi cosa si esegua di esso, sia facilmente appetibile. Erronea valutazione poiché nella cosiddetta semplicità mozartiana si riscontra invece un intero mondo fatto di raffinata ricerca sonora. Lui come pochissimi altri. Non è un caso che la sua produzione musicale abbia nel tempo sortito l’effetto di essere porta d’accesso alle cure delle emozioni.

Non è un caso appunto. Dunque, quando il Teatro Sperimentale di Spoleto mette in scena a chiusura della sua stagione annuale, le Nozze di Figaro, sa di proporre un vero capolavoro di non facile esecuzione e di non facile ascolto.

La presenza quindi di Marco Angius è la giusta compensazione rispetto a quanto sopra scritto. Egli che con l’Orchestra Calamani ha instaurato un vero rapporto di didattica musicalità, si prende a sé, ovvero avoca a sé l’opera di Mozart e la fa diventare un portentoso esempio di musica contemporanea. Ovvero Angius riesce in quello che pochissimi direttori sortiscono, crea un suono contemporaneo come se fosse un’opera scritta nel ventesimo secolo. Non è cosa da poco. Anzi. La sua meticolosa chiarezza nel portare avanti l’opera di Mozart ha fatto si che tutti i giovani interpreti, che ricordiamo sempre studiano da aprile all’estate per mettere in piedi il cartellone del Belli, si ritrovassero fra pene ed affanni dell’opera.

Infatti, le Nozze di Figaro presenta tante pene quanto tanti affanni. Dei protagonisti. Del rutilare delle parti. Della impossibile conquista di un posto nella società da parte di un servo. Implicazioni sociali non indifferenti anche allo stesso Wolfgang Amadeus e a Lorenzo Da Ponte che per una intera vita patirono il ruolo di asserviti al potere per poter mettere in opera la propria creatività. Va quindi riconosciuto a Marco Angius una perfetta interpretazione di tutta la partitura. Egli è stato bravissimo nel rendere con chiarezza il suono mozartiano. Ha fatto si che tutto fosse evidente, senza sottintesi. Ha aperto le porte al nuovo, grazie a lui si comprende come Wagner ben conoscesse l’ideale circolarità teatrale mozartiana. Ma non solo, Angius ha saputo infondere nei giovani interpreti il senso dell’appartenenza ad un progetto unico in Italia. Quello di avere il coraggio di osare l’inosabile, mettendo in scena tale lavoro. Non è quindi necessario in loco soffermarsi su quello che si può o non si può inscenare.

Certo è che tutta la compagnia, anzi tutti i cast che hanno reso Mozart felice concittadino di Spoleto, devono un tributo di indubbia gratitudine alla meticolosa ed umana conduzione di Marco Angius. Spesso nelle recensioni di opere liriche è cura del critico sottolineare l’interpretazione del cantante o della regia o di tante altre cose. In questo caso siamo veramente felici di sottoscrivere l’importantissimo ruolo direttoriale di Marco Angius e ovviamente dei suoi collaboratori. Siamo convinti che la sua indubbia conoscenza del repertorio contemporaneo, lo porti sempre ad affrontare qualsiasi partitura come se fosse stata scritta in tempi recenti. Ed è veramente un rarissimo esempio di duttilità musicale e di preparazione superlativa.

Pertanto, il futuro del Teatro Belli certamente ha come riferimento la presenza di Marco Angius. Naturalmente con la direzione di tutta la macchina da parte di Enrico Girardi che può essere ben lieto di aver chiuso questo settantanovesimo cartellone dello Sperimentale con grande orgoglio di perfezione, bellezza e di cura storica. Cose che di questi tempi, anche nei luoghi preposti al recupero delle partiture di compositori importanti, sembra latente se non assente del tutto.

Marco Ranaldi
(12 e 13 settembre 2025)

La locandina

Direttore Marco Angius
Regia Henning Brockhaus
Coreografia Valentina Escobar
Scene e costumi Giancarlo Colis
Luci Eva Bruno
Personaggi e interpreti:
Il Conte d’Almaviva Andrea Ariano
La Contessa d’Almaviva Viktoriia Balan
Susanna Eleonora Benetti
Figaro Marco Gazzini
Cherubino Emma Alessi Innocenti
Marcellina Lorena Cesaretti
Orchestra Calamani del Teatro Lirico Sperimentale
Coro del Teatro Lirico Sperimentale
Maestro del Coro Mauro Presazzi
Cembalo Antonio Vicentini

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