Non per caso, invece, il momento più convincente dello spettacolo – ovvero del film – si ha nella prima parte del secondo atto, che poi è il cuore drammaturgico-musicale dell’opera, con il duetto fra Germont e Violetta.
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Sparito il dedalo ferrigno del Marino Faliero il teatro si mostra in tutta la sua nudità, capace di generare un contrasto di sensazioni in cui convive un misto di smarrimento e fascinazione. Il Belisario – capolavoro che dovrebbe tornare stabilmente in repertorio – rappresentato in forma di concerto si nutre di questa dimensione sospesa svelandosi all’ascolto in tutta la sua meravigliosa complessità.
Fraseggiatore finissimo, cultore della parola cantata, attento nelle scelte di repertorio Roberto Frontali è interprete ideale del ruolo-titolo nel Belisario – che sarà eseguito in forma di concerto prossimo 21 novembre nell’ambito del Festival Donizetti Opera – sostituendo l’indisposto Placido Domingo. Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda, non solo sul Belisario.
Quando si sbuca in alto sulle gradinate, il colpo d’occhio è di quelli che restano nella memoria. Al centro il palco per l’orchestra – collegato ai due ingressi principali dell’anfiteatro con passerelle di egual colore – è di un bel rosso vivo, lo stesso degli scranni ad altezze diverse allineati lungo l’ellisse, destinati agli artisti del coro.
Prosegue, con un numero sorprendente di visualizzazioni, la programmazione della webTv del Teatro Massimo che continua a proporre il meglio delle sue produzioni di opere, balletti e concerti degli ultimi anni.
Scelta dal Teatro dell’Opera di Roma per inaugurare la sua stagione 2019/2020 Le Vêpres siciliennes è tornata sul palcoscenico del Costanzi dopo un’assenza più che ventennale nella sua versione originale francese e in un’esecuzione musicale di assoluto pregio.
Profuma di Sacro e di Sicilia il Macbeth secondo Emma Dante, secondo la cifra che caratterizza quasi tutta la sua produzione teatrale e operistica, […]
Aida è opera intima; il popolo è presente ma lo è sullo sfondo, le masse svolgono il compito che fu del coro nelle tragedie greche, posto a sottolineare senza partecipare il dramma dei personaggi principali.
Quello che ieri sera ha inaugurato la stagione 2018/2019 dell’Opera di Roma è il Rigoletto di Daniele Gatti, e lo è a pieno diritto almeno per due motivi: il primo perché a lui il pubblico, dal quale si poteva temere qualche reazione relativamente a ciò che lo ha portato ad essere dimissionato – secondo noi a torto – dalla Concertgebouworkest, ha riservato un’accoglienza calorosa sin dal suo ingresso nella buca orchestrale e che è diventato ovazione alla fine, il secondo sta nella scelta di una lettura dell’opera in chave espressionista che condividiamo completamente.
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