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Stella della serata veronese era il pianista Stefano Bollani, celebrità della musica italiana che proviene dal jazz ma frequenta ogni genere, dal colto al popolare, talvolta provando a inventarne di nuovi […]

Jordi Savall ha guidato il suo Concert des Nations con gesto quasi di “primus inter pares”, presente e sollecito, attento a scelte di tempo di buona vivacità, per un’esecuzione elegante e lievemente rarefatta nelle prospettive espressive: il suo Schubert anche in queste ultime Sinfonie appare più vicino agli amati modelli haydniani e del primo Beethoven, che propenso ad aperture verso la nascente nuova sensibilità.

Se il cambiamento non lo guidano i giovani, chi dovrebbe farlo? Il discorso vale per ogni aspetto delle umane attività, ma qui si parla in particolare del superamento delle cosiddette convenzioni nel fare musica, che poi sono speculari alle convenzioni (e alle aspettative) di chi quella musica organizza, promuove e soprattutto ascolta.

Accademia Filarmonica

Un’orchestra di alto lignaggio, anche se non può vantare la lunga storia di altre formazioni internazionali (ma i suoi quasi quarant’anni sono comunque un rispettabile “patrimonio”) e un pianista di assoluto livello, da tempo impegnato anche nella direzione.

Nei settant’anni della sua attività, la English Chamber Orchestra ha sempre tenuto una rotta autonoma e perfettamente riconoscibile, quella del rispetto della tradizione esecutiva novecentesca che potremmo definire “storica”, unita a una brillantezza strumentale di sicuro risalto.

Juanjo Mena

Per il suo debutto a Verona, la Orquesta Nacional de España diretta da Juanjo Mena è sembrata non allontanarsi da una certa tradizione folclorica della penisola iberica, quella di grande popolarità che tutti gli appassionati si aspettano di sentire convenientemente illustrata da una formazione che i suoi compositori e la sua musica nazionale li ha nel Dna.

Ion Marin

La Filarmonica di San Pietroburgo è una delle non numerose orchestre in grado di assorbire senza problemi l’improvvisa assenza del proprio direttore principale, anche se questi la guida da oltre trent’anni e a buon diritto può esserne considerato l’anima.

Il nuovo direttore principale della Rotterdam Philharmonic Orchestra, Lahav Shani, che l’anno prossimo succederà a Zubin Mehta come direttore musicale della Israel Philharmonic, è un ragazzo di trent’anni di cui sentiremo parlare spesso.

Popolare e folcloristico a sua insaputa – ancorché “compositore di stato” e gloria nazionale con pensione a vita fin dalla prima maturità (e sarebbe vissuto fino a oltre i 90 anni) – il finlandese Jean Sibelius continua a essere un caso nella musica fra Otto e Novecento.

Una manciata di anni separa la Settima Sinfonia di Anton Bruckner, che vide la sua creazione nel 1884 a Lipsia, dalla schönberghiana Verklärte Nacht, eseguita nella sua prima versione per sestetto d’archi a Vienna nel 1902; eppure la distanza fra le due composizioni appare siderale, nonostante l’influenza di Wagner sia ancora marcata in entrambe.

La storia esecutiva della Sesta e della Settima Sinfonia inizia con due degli eventi pubblici più noti, ma anche più singolari – se confrontati l’uno con l’altro – della biografia di Beethoven. Le prime esecuzioni si ebbero infatti a Vienna, a distanza di cinque anni, nel corso di concerti dai risultati praticamente opposti, fra i poli del vero e proprio disastro e del trionfo.

Dopo un po’ che scrosciano gli applausi alla fine dell’esecuzione della Prima Sinfonia di Mahler, Alan Gilbert si concede un colpo di teatro. Richiamato sul podio per l’ennesima volta, si gira fulmineamente e spegne di colpo il fragore in sala con il fremente attacco del Preludio al terzo atto di Lohengrin, vetrina del fulgore degli ottoni esattamente come lo era, pochi minuti prima, il movimento conclusivo del mahleriano Titano.

Il pianista coreano Seong-Jin Cho ha l’eleganza semplice ma perentoria di chi sa di essere dentro alla musica. A 23 anni sta conquistando il mondo dei concerti, sull’onda di alcuni exploit rilevanti: terzo posto al concorso Rubinstein di Tel Aviv, terzo al Cajkovskij di Mosca; due anni fa, primo al concorso Chopin di Varsavia, il premio forse più reputato al mondo, che si tiene solo ogni cinque anni e nel cui albo d’oro si trovano i nomi di Maurizio Pollini, di Martha Argerich, di Krystian Zimerman.

La musica russa ha necessariamente bisogno di interpreti russi? A rigor di logica, la risposta a questa domanda è negativa, perché accade che la lontananza geografica e culturale fra creatore ed esecutore non sia per nulla una controindicazione, e veda nascere risultati interpretativi straordinari.

Dopo l’anteprima di domenica scorsa, sarà la Gustav Mahler Jugendorchester (GMJO) a presentarsi il prossimo venerdì 8 (ore 20.30) al Settembre dell’Accademia. Il Filarmonico ospiterà così quella che viene giudicata la migliore formazione giovanile al mondo.