Torino: meraviglioso Hamlet!
Sarà la vicinanza con la Francia, sarà che quando vuole il Teatro Regio sa fare magie, ma possiamo dire con tutto il godimento possibile che l’Hamlet di Ambroise Thomas in scena a Torino è la punta di diamante della Stagione d’opera 2024-2025 subalpina, confermando, dopo l’enorme successo de La Juive della precedente Stagione, la grande qualità nel fare opera francese del teatro torinese.
Il titolo già tutto ci racconta: il libretto di Carré e Barbier è liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare dove Hamlet, figlio del defunto re di Danimarca, scopre che il padre è stato assassinato dallo zio con la complicità della sua vedova madre, per poterla così sposare e impossessarsi del trono. Per venire a capo del tutto e poter smascherare lo zio assassino (e i suoi complici) il giovane darà seguito alle indicazioni dello spirito del padre, arrivando a sacrificare persino l’amore della fedele e dolce Ophélie portando al delirio entrambi. Questa produzione in particolare, poi, vede una rara novità rispetto alle, seppur rade, produzioni passate: viene qui proposta la versione originale per tenore, rielaborata in fase di creazione e che aveva visto la nascita dell’opera con il debutto nel ruolo titolo del baritono Faure (mancavano tenori di richiamo, a quanto pare). Qui il Teatro Regio, con coraggio e capacità di programmazione, si lancia quindi nella proposizione della prima mondiale assoluta dell’esecuzione in forma scenica di Hamlet, versione per tenore. E mai scelta fu più azzeccata!
Spettacolo nello spettacolo, è la firma registica di Jacopo Spirei, creatore di una produzione che si sviluppa avvolgendosi tra i fili intricati di un’opera dalle mille sfaccettature. Dramma, psicosi, dubbi, amore, follia, luci ed ombre che animano i personaggi portandoli ad un’evoluzione continua nella scena. Ma soprattutto, si evidenzia la crisi che può pervadere un giovane, condizionato dalla famiglia, dal grado e dalla società che lo contorna. Ci accompagnano lungo l’evolversi dell’azione scenica giovani uomini e donne, rigorosamente in nero, intenti nella lettura di un libro: lettori e osservatori di un mondo che si rivoluziona, spesso disorientati. L’intensità, la forza e la drammaticità si giocano in un impianto scenico alternato, dove tutto inizia e tutto finisce (o quasi) in una camera mortuaria, sinonimo della mente contorta e deformata del povero Hamlet, vittima di sé stesso e della condizione in cui vive.
La grandezza di questa produzione è anche data dall’apporto artistico del team creativo che con Spirei collabora, con le scene di Gary McCann: la decadente nobiltà del palazzo di Elsinore, in un alternarsi di scene e controscene che si snodano tra sale da ballo, saloni banchettanti, biblioteche e camere da letto, per poi trovare la camera mortuaria precedentemente citata e la grande scena fatta di veli e libri “svolazzanti” per la follia di Ophélie. Ma il colpo di teatro è la messa in scena dell’uccisione del re Gonzago (azione che dovrebbe servire ad Hamlet per smascherare l’assassinio compiuto dallo zio) rappresentata attraverso l’uso animato di enormi pupazzi che sanno incutere timore. E le animazioni di ciò, unito agli altri movimenti coreografici nelle varie scene, sono frutto del lavoro accurato e prezioso di Ron Howell, mentre i costumi di pregiata fattura sono di Giada Masi, a cavallo tra un decadente ‘800 e un timido inizio ‘900.
Non possiamo dimenticare il gioco di luci, unito alle movenze di Howell, curato da Fiammetta Baldiserri: non un solo effetto è scontato, non una sola illuminazione è lasciata al caso, contribuendo alla creazione di uno dei migliori spettacoli visti sinora. Rimane ancora negli occhi dello spettatore la scena nella camera mortuaria, dove i becchini, intenti a far il loro lavoro alleviato dal vino e dal pensiero che quando si muore, in fondo, siamo tutti uguali, si danno a movenze danzanti proprio con quei cadaveri che sono oggetto del loro lavoro e nella mente di Hamlet. Genio teatrale, raggelante. Così come è colpo di teatro l’autoconcessione di Spirei nel far suicidare Hamlet con un pugnale, poi estratto con la mano dallo spirito del defunto padre per guidarlo contro lo zio usurpatore: e così un corpo trafitto, senz’anima, si ritrovo sul “reale” cavallo a dondolo, corona in testa, Re dolente con in braccio la sua sposa, defunta.
Passando al lato musicale di questa sorprendente produzione, alla direzione d’orchestra troviamo Jérémie Rhorer, di provenienza geografica francese e musicale baroccheggiante. Se qualche dubbio si possa avere sulla scelta di un direttore con ben note capacità in altro repertorio, troviamo conferma nell’esecuzione musicale grazie alle doti dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio, impegnati un grande sforzo artistico che li vede primeggiare per qualità, capacità di adattamento e preparazione di eccellenza. Le sonorità, le inflessioni, le melodicità quasi psicotica alternata alle grandi scene d’insieme emergono tutte grazie all’attività dell’Orchestra, in cui si distinguono con eccellenza le prime parti soliste coinvolte: di pari perfezione è l’apporto dato dal Coro, preparato con sapienza dal suo maestro Ulisse Trabacchin, confermando l’alto livello delle maestranze del teatro subalpino.
Venendo ai protagonisti, John Osborn si impone confermando l’autenticità, la naturalezza e l’arte che da sempre lo contraddistinguono, delineando un Hamlet che è uomo, che lacerato dal dovere umano e regale disprezza tutto ciò che lo circonda, affetti inclusi, con il fine ultimo di vendicare il padre e redimerne la memoria: offuscato nei pensieri e nelle intenzioni, in un dramma crescente che lo porta ad essere, infine, Re senz’anima intonando “Mon ame est dans la tombe, hélas! Et je suis Roi!”. Il tenore americano, oltre a padroneggiare con classe e disinvoltura la lingua francese, conferma una voce di superba qualità, dipanando il suono con un canto sul fiato eccellente, attento alle sfumature, seguendo con attenzione le dinamiche orchestrali e con la sapienza di evidenziare ogni cambio d’umore, ogni gesto, ogni parola. Se il monologo Être ou ne pas être è uno dei passaggi centrali della parte del protagonista, non di meno sono tutte le altre scene, dove Osborn giganteggia, trascinando il pubblico in una crescente drammaticità che alla fine lo ripaga, giustamente, con un trionfo entusiasta di applausi.
Non da meno gli è accanto quale innamorata e sofferente Ophélie la brava (e bella) Sara Blanch, soprano spagnolo in continua ascesa, totalmente a suo agio in una partitura che prevede dramma, virtuosismo e liricità. Voce cristallina, controllo dei fiati di eccellente qualità e una capacità di modulare le sonorità e gli accenti di prim’ordine, la Blanch è un crescendo artistico che esplode, in tremante e gelida bellezza, nella scena della follia che ci rimanda al pensiero di un’altra folle sposa, Lucia di Lammermoor. Qui le è complice un impianto scenico d’effetto, dove tutto si gioca sulle movenze, sui veli e su questo raggelante lenzuolo che scomparirà insieme ad Ophélie nelle tenebre più profonde. Brava, struggente.
L’altra donna in scena è la matriarcale Gertrude, madre di Hamlet e due volte regina, qui incarnata dal mezzosoprano Clémentine Margaine che, in un dirompente trionfo di voce, sa ben far risaltare i dubbi e le preoccupazioni per la complicità nell’omicidio del defunto marito e la paura per la follia del figlio con un’esecuzione musicale (ed interpretativa) di ottimo livello. Due bassi di prim’ordine in scena, nel confermare l’elevata qualità artistica della compagine vocale. A dar voce al nuovo Re, Claudius, in scena ritroviamo Riccardo Zanellato, che ancora una volta dà prova di quanto studio, intelligenza artistica e uno strumento vocale di raffinato interesse siano la chiave per affrontare ruoli nobili, sapendo delineare tutta la fragilità che un essere umano può avere anche se è al contempo crudele assassino. Voce morbida, emissione bilanciata e attenzione alla parola fanno la loro, contribuendo al successo finale.
Gli è fratello di corda (e di ruolo) Alastair Miles, basso di rigogliosa prestanza e tra le voci “storiche” delle incisioni discografiche di Opera Rara, avendo contribuito alla registrazione di opere spesso dimenticate o poco eseguite. Seppur gli anni si inizino a sentire, è di assoluta qualità l’interpretazione scenica e vocale dello spettro del defunto re, venuto a richiamare i doveri del figlio Hamlet, ricordando anche che un volere più alto, alla fine, agisce. La sua è voce profonda e sonora, con la giusta resa per colui che proviene dall’altro mondo, in un’azione scenica che lo vede muoversi lungo l’evolversi delle vicende, accompagnato dalle ombre dei piccoli Hamlet e Ophélie, testimone delle azioni dei vivi e mano che muoverà il pugnale del figlio contro il fratello assassino e usurpatore. Ottimo è anche il Laerte di Julien Henric, tenore che esibisce voce sonora e vibrante, esprimendo tutta la giovane dirompenza a difesa della povera sorella Ophélie. Si muovono intorno gli altri artisti chiamati a completare un cast di lusso: Alexander Marev nei panni di un interessante Marcellus, Tomislav Lavoie quale Horatio, Nicolò Donini quale anziano e complice Polonius, padre di Ophélie, il primo becchino di Janusz Nosek, in forza dal Regio Ensemble e il secondo becchino di Maciej Kwaśnikowski.
Opera di rara esecuzione, pubblico presente in tutte le repliche (chi scrive l’ha voluta vedere e sentire due volte, domenica 18 e giovedì 22 maggio), grande successo. Ci sono ancora due repliche, correte e non perdetevele!
Leonardo Crosetti
(18 e 22 maggio 2025)
La locandina
Direttore | Jérémie Rhorer |
Regia | Jacopo Spirei |
Scene | Gary McCann |
Costumi | Giada Masi |
Coreografia | Ron Howell |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Personaggi e interpreti: | |
Hamlet | John Osborn |
Ophélie | Sara Blanch |
Gertrude | Clémentine Margaine |
Claudius | Riccardo Zanellato |
Laërte | Julien Henric |
Lo spettro del defunto re | Alastair Miles |
Marcellus | Alexander Marev |
Horatio | Tomislav Lavoie |
Polonius | Nicolò Donini |
Primo becchino | Janusz Nosek |
Secondo becchino | Maciej Kwasnikowski |
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino | |
Maestro del Coro | Ulisse Trabacchin |
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