Torino: una Butterfly in grigio

Si potrebbe dire che Puccini approdi tardi all’esotismo ed ai suoi temi, ma nel momento in cui vi si approccia lo fa da par suo.

Madama Butterfly è molto più della rappresentazione di un Oriente da cartolina; è uno scontro di culture che travolge i sentimenti, già pienamente calata nel Novecento, per la tematica e, soprattutto, per la musica e le soluzioni armoniche e contrappuntistiche che la caratterizzano e ne fanno un capolavoro indiscusso.

A Butterfly si addicono le “piccole cose” e, di conseguenza, il minimalismo dell’allestimento non può che giovarle, a patto che non si ecceda.
Proveniente dallo Sferisterio di Macerata, lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi – che oltre alla regia cura come di consueto anche scene e costumi – ripreso qui da Matteo Anselmi è talmente essenziale da risultare svuotato di qualsiasi contenuto.

La scena sarebbe di per sé bella, con la casetta che spicca al centro del palco, tra un dedalo di ponticelli, ma intorno ad essa non succede nulla; protagonisti e masse sembrano distanti dall’azione, talora un po’ goffi nei movimenti, generalmente distaccati tra di loro.

Il trascorrere del tempo è ravvisabile solo in un’alternanza giorno-notte, data dalle luci di Fabrizio Gobbi; nei tre anni che intercorrono tra primo e secondo atto, e durante i quali nulla è più come prima, tutto resta immutato nella sua staticità, compreso l’albero al lato della casa.

L’unico “volo” sta nel passo a due – danzato bene da Francesco Marzola e Letizia Giuliani – che accompagna il coro a bocca chiusa, offrendo la visione del sogno della protagonista in attesa; incomprensibili, di contro, i due onnipresenti marinaretti statunitensi.

Perfettamente in linea con il grigiore dell’allestimento sono i costumi anodini, con Kate Pinkerton trasformata in algida istitutrice e Butterfly umiliata nel secondo atto da un abito informe.

Fortunatamente tutto quello che Pizzi non fa sulla scena è compensato, con lauti interessi, da ciò che Daniel Oren realizza nella buca; la sua Madama Butterfly palpita di mille colori, si anima in una moltitudine di piccoli spunti dinamici per aprirsi a slanci travolgenti, incupendosi poi in meditazioni inattese, rivelando ogni minuzia della partitura.

Rebeka Lokar è una Cio-cio-san finemente cesellata nel fraseggio, con voce imponente nel volume ed al contempo capace di mezzevoci e filati rapinosi, il tutto a disegnare un personaggio ricco di sfumature.

Meno convincente il Pinkerton di Murat Karahan, generoso nell’interpretazione ma fibroso e ingolato nell’emissione.

Simone Del Savio è Sharpless generoso, così come Sofia Koberidze tratteggia una Suzuki nobilmente decisa e Luca Casalin è Goro di ottimo spessore. Brava Roberta Garelli, partecipe Kate Pinkerton; corretto il Commissario imperiale di Marco Tognozzi.

Nei ruoli di contorno spiccano lo Zio bonzo di In -Sung Sim e lo Yamadori di Paolo Maria Orecchia.

Il Coro, preparato da Andrea Secchi, si rende protagonista di una buona prova.

Accoglienza cordiale da parte pubblico.

Alessandro Cammarano
(8 gennaio 2018)

La locandina

Direttore Daniel Oren
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Assistente alla regia Matteo Anselmi
Coreografia Francesco Marzola
Luci Fabrizio Gobbi
Cio-cio-san Rebeka Lokar
F.B. Pinkerton Murat Karahan
Sharpless Simone Del Savio
Suzuki Sofia Koberidze
Goro Luca Casalin
Il principe Yamadori Paolo Maria Orecchia
Lo zio bonzo In -Sung Sim
Il commissario imperiale Marco Tognozzi
Kate Pinkerton Roberta Garelli
L’ufficiale del registro Giuseppe Capoferri
Prima ballerina ospite Letizia Giuliani
Ballerino Francesco Marzola
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Maestro del coro Andrea Secchi

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