Tours: la jam session latina dell’Arpeggiata
Vita e morte, fuoco e vento, amore e abbandono: questo e molto di più nel concerto che Christina Pluhar con la sua Arpeggiata ha offerto al pubblico del Festival des Concerts d’Automne.
Un viaggio nella musica popolare e barocca spagnola e latinoamericana capace di coinvolgere completamente il pubblico giocando su arrangiamenti quasi jazzistici e sull’improvvisazione che tocca qui vertici di virtuosismo assoluto, partendo ben inteso da basi saldamente filologiche che neppure per momento tradiscono la natura delle composizioni.
La Pluhar alla tiorba tiene le fila di un discorso musicale che si sviluppa senza soluzione di continuità, legando ciascun pezzo al successivo in un viaggio di ritmi e suggestioni che rimandano all’antico e allo stesso momento risultano di assoluta modernità, facendo comprendere quanto l’attuale – e non sempre bellissima – musica latina sia debitrice nei confronti di questo patrimonio di valore inestimabile.
Allo spagnolo fandango risponde lo joropo tipico di Colombia e Venezuela, cui si alternano canti tradizionali e melodie barocche spagnole e latinoamericane, con incursioni nella pizzica pugliese.
Fantasia e rigore, si diceva, perché anche nell’improvvisazione ci vuole criterio e conoscenza assoluta del materiale musicale su cui si va ad intervenire.
L’intesa fra i componenti dell’ensemble è magnetica, quasi stregonesca; per loro la musica è una festa alla quale invitare il pubblico a partecipare in un crescendo.
Alla voce morbida e decisa di Céline Scheen che canta Yo soy la locura – quasi un biglietto da visita del concerto – e La dama de Aragó, risponde quella intrisa sole e polvere di Luciana Mancini che scolpisce nell’aria Pajarillo verde e La embarassada del viento con la forza di una dea pagana.
Vincenzo Capezzuto, contralto dalla vocalità cristallina e insieme sensuale, trova mille colori nella Llorona che nella sua interpretazione è assolutamente emozionante per lanciarsi nella Cocoroba che qui è più fresca di una pioggia di primavera.
Non ci sono parole che rendano sufficientemente merito ai solisti, a cominciare da Leo Rondon, virtuoso del cuatro, Rafael Mejias che fa sembrare le maracas un’orchestra, Margit Übellacker che cesella al salterio il Fandango di Soler con una prestanza ritmica meravigliosa, Sarah Ridy e la sua arpa barocca da cui trae suoni che sembrano venire da un’altra dimensione, Josep Maria Duran chitarra barocca padrona del ritmo, Doron Sherwin spettacolare cornettista e rapper al bisogno, Sergey Saprichev mago delle percussioni e Leonardo Teruggi contrabbasista dall’animo jazz-barocco.
Finale con il travolgente joropo El Curruchá, dove Capezzuto e la Mancini infiammano il pubblico – per altro galvanizzato già dai primi minuti del concerto – si lanciano in un sillabato serratissimo.
Bis con la Pizzica di San Vito e il teatro in piedi a ballare.
Alessandro Cammarano
(13 ottobre 2019)
La locandina
Direttore | Christina Pluhar |
Soprano | Céline Scheen |
Contralto | Vincenzo Capezzuto |
Mezzosoprano | Luciana Mancini |
Cornetto | Doron Sherwin |
Percussioni | Sergey Saprichev |
Chitarra barocca | Josep Maria Duran |
Salterio | Margit Übellacker |
Arpa Barocca | Sarah Ridy |
Contrabbasso | Leonardo Teruggi |
Cuatro | Leo Rondon |
Maracas | Rafael Mejias |
Programma: | |
Musica tradizionale e barocca di Spagna e America Latina |
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