Una Lucia allo specchio al Teatro Verdi di Trieste

Prosegue a Trieste la stagione lirica 2018 al teatro Verdi con il gradito ritorno della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti nel consolidato allestimento di Giulio Ciabatti datato 1999 e riproposto nel 2011, a dimostrazione che se una produzione risulta funzionale e riuscita, si può recuperare anche a costo ricorrere nel già visto ma non certamente del già ascoltato: l’opera è fatta dalle voci, dalla direzione orchestrale che dalla buca cerca di far emergere il meglio dagli strumenti, e dai chi sulla scena fa agire i personaggi cercando di spiegare la storia. Sono loro i veri motori della vitalità dello spettacolo lirico. Questa Lucia di Lammermoor si presenta con una scena essenziale e scarna, realizzata da Pier Paolo Bisleri, lunare e plumbea, tra l’altro senza alcun riferimento all’ambiente scozzese, con degli ottimi tagli di luce che fanno risaltare i colori dei sobri costumi di Giuseppe Palella che ci riportano un ambiente di inizio ‘800, e ci proietta in quello spirito di esaltazione di amore romantico e di contrasti emozionali che costituisce l’essenza di quel romanzo storico di Walter Scott che esaltò la tragica vicenda di Lucia Ashton e di Edgardo di Ravenswood.

Scena scarna appena accennata da pochi elementi: la fatal fonte del primo atto, un quadro come sfondo a segnare gli antichi splendori della dimora dei Ravenswood, un leggio e un velo, alcune pietre che richiamano le tombe degli avi di Edgardo, il tutto su un sedimento leggermente inclinato che ricostruisce una landa pietrosa, che lascia intravedere rocce, trasparenze d’acqua , che favorisce, per l’accidentalità della costruzione, passaggi lenti da una parte all’altra dello spazio scenico, spazio da riempire con i gesti attoriali dei cantanti e del coro.

In questo modo vengono bandite tutte quelle sovrapposizioni di elementi estranei alla trama. Troppo spesso si sono viste Lucie con apparizione di fantasmi in carne ed ossa alla fonte, trofei di caccia, fotografi e cineoperatori  che documentano i promessi sposi all’atto delle nozze, medici in camice bianco che rincorrono Lucia per sedarla, sangue a fiumi come se la protagonista fosse colpita da tendenze allo squartamento, vasche da bagno ripiene di sangue e di cadaveri, pugnali e spade e quant’altro, con vesti nuziali che più rosse non si può e mani intrise di sangue che lasciano l’impronta sulle pareti; non si dimentichi  bambolotti smembrati nel corso della pazzia per dare il senso di una fanciulla ancora rivolta ai giochi, come teste mozze portate sulla picca al momento della scena della pazzia, doppie protagoniste che interagiscono tra loro, o addirittura impiccate, tutti elementi visti per i vari palcoscenici di Lucie passate e recenti. Forse un po’ di sobrietà a volte ci occorre per recuperare il senso della storia che è essenzialmente musicale e vocale, e in questo senso abbiamo percepito una sintonia di intenti tra direzione musicale e direzione di palcoscenico La direzione di Fabrizio Maria Carminati è stata in grado di far percepire al pubblico l’essenzialità della partitura donizettiana ricca di chiaroscuri sonori e di momenti di esaltazione dei contrasti di sentimenti tra i protagonisti. Certamente la sua è una direzione che rimarcava i tempi più ritmici che elegiaci ma alla fine essenziale nel ricostruire quel clima di tragedia che caratterizza la vicenda coadiuvato da un’ottima resa dell’Orchestra del Teatro Verdi con apprezzamenti per gli interventi solistici dell’arpa nella sortita del primo atto e del flauto nella gestione della scena della pazzia, i cui esecutori sono stati richiamati alla ribalta per condividere gli applausi del pubblico. Bellissima la resa del Coro gestito da Francesca Tosi parte integrante tra gli interpreti e protagonista assoluto nella scena dell’invettiva.

La visione dell’opera con i due cast (venerdì’ 23 marzo e sabato 24 marzo) ha permesso di prendere atto di aver assistito a due Lucie con alcune specifiche interpretative. Tra l’altro se si esclude Aleksandra Kubas- Kruk come protagonista, il resto del cast era costituito da debuttanti nei rispettivi ruoli e con alcune piacevoli sorprese. La rappresentazione di venerdì 23 marzo poteva contare sul soprano polacco che ha puntato su una Lucia essenzialmente da soprano leggero di coloritura accentuando anche una gestualità, ben rimarcata, da iconografia antica. Era attesa nella scena della pazzia, peccato che ha saputo abilmente raggirare le difficoltà della cadenza dando così un senso incompiuto alla sua prestazione. Senso dell’interpretazione invece che ha saputo imprimere il giovanissimo soprano ucraino (25 anni) Olga Dyadiv al debutto in questo ruolo. Nome non nuovo al pubblico triestino, ha saputo delineare fin dall’apparizione alla sortita del I atto una Lucia pervasa di romanticismo, patetica e già consapevole del suo tragico destino. Dotata di voce proiettata verso l’alto con facilità nelle emissioni acute, ha condotto tutta la scena della pazzia con estrema duttilità e maestria presentandosi con una cadenza non da tradizione e gestendo il tutto con grande competenza e capacità di controllo vocale, prestazione colta con una ovazione. Sarà interessante vedere come sarà il proseguo della sua carriera.

Belle sorprese sono state le voci maschili di ambo i cast. La presenza di Pietro Pretti come Edgardo nella serata inaugurale era una garanzia di riuscita per l’esperienza che ha acquisito nel ruolo. Elegante nel canto in possesso sicurezza di emissione chiara e di accurato fraseggio, ha confermato il detto che Lucia di Lammermoor è essenzialmente un’opera per tenore in considerazione dell’anomalo finale affidato proprio alla voce maschile con il recitativo “Tombe degli avi miei” e la successiva aria “Fra poco a me ricovero”, che Pretti ha reso con uno stile encomiabile e impeccabile. E non ha sfigurato nel confronto nel cast alternativo, il tenore Francesco Castoro, anche lui debuttante, che ha dimostrato nella recita pomeridiana di possedere tutti i mezzi per intraprendere una buona carriera. Prudente nel porgere la voce ma sicuro dei suoi mezzi spavaldo quanto basta nella gestione dell’invettiva e con una giusta nota di patetismo ha reso l’aria finale con grande competenza limitandosi ad una piccola sbavatura in fase di conclusione.

Nella parte di Enrico si sono alternati i baritoni Devid Cecconi e il coreano Leon Kim che hanno delineato due immagini del fratello di Lucia diametralmente opposte per linea di canto che per interpretazione scenica.

Devid Cecconi ha delineato un Enrico molto fisico, ruolo che gli si addice per temperamento e vocalità visto anche la natura della voce il cui timbro è scuro, schiettamente baritonale ma con gli acuti sicuri e penetranti, signore di campagna piuttosto che attento alle persone, ma il suo temperamento burbero è stato ben temperato da una linea di canto armonica e musicale condotta tutta sulla linea del “bel canto” accentuando le morbidezze del canto donizettiano. Di contro, la nobiltà di stato si è espressa nell’interpretazione del giovane baritono coreano Leon Kim più propenso all’esuberanza vocale e d’impeto del ruolo con una prestazione personale arricchita anche da una ottima dizione italiana.

Il basso Carlo Malinverno, con il collega cinese Shi Zong si sono alternati nella parte di Raimondo Bidebent con una prova positiva decisamente a favore per il basso italiano anche se il cinese non ha sfigurato in una parte che si dimostra decisamente infida.

Comune ai due cast le parti di contorno; abbiamo ammirato la bella prestazione del tenore Giuseppe Tommaso negli scomodi panni dello sposo Arturo, che ha dato smalto ad un personaggio troppo spesso relegato a parte secondario che deve essere, invece, svettante di giovanile ardore, come in ruolo Giovanna Lanza, Alisa di lusso, materna e protettiva, e Andrea Schifaudo, convincente Normanno.

Il pubblico ha decretato un successo caloroso a tutta la compagnia di canto e in generale questa produzione, acclamando intensamente tutti i protagonisti dei due cast, tributando un trionfo a Piero Pretti, Devid Cecconi e alla sorprendente Olga Dyadiv. Alla rappresentazione del pomeriggio hanno assistito un gruppo di studenti delle scuole medie regionali, che alla fine dello spettacolo si sono incontrati con gli artisti, uno dei tanti sistemi per far conoscere l’opera ai più giovani.

FedericaFanizza
(23 marzo 2018)

La locandina

Direttore Fabrizio Maria Carminati
Regia Giulio Ciabatti
Scene Pier Paolo Bisleri
Cosumi Giuseppe Palella
 Luci  Nino Napoletano
Maestro del Coro Francesca Tosi
Personaggi e interpreti:
Lord Enrico Ashton Devid Cecconi
Miss Lucia Aleksandra Kubas-Kruk
Sir Edgardo di Ravenswood Piero Pretti
Lord Arturo Bucklaw Giuseppe Tommaso
Raimondo Bidebent Carlo Malinverno
Alisa Giovanna Lanza
Normanno Andrea Schifaudo
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

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