Venezia: gli spettri di Rigoletto

Non per un eccesso d’amore, ma per un’iperprotezione dettata dall’egoismo di un padre incapace di accettare la maturità della figlia: così muore Gilda, vittima della possessività morbosa di Rigoletto, che la imprigiona in un universo illusorio dove si resta bambini e infelici per sempre.

Damiano Michieletto – affiancato dal sempre geniale scenografo Paolo Fantin, Agostino Cavalca costumista raffinato e dal virtuoso delle luci Alessandro Carletti – propone un’interpretazione del Rigoletto focalizzata sull’intimità delle emozioni, che da dettagli personali diventano universali, in totale sintonia con la poetica verdiana.

Nella visione del regista – affidata per l’occasione ad Eleonora Gravagnola che riprende lo spettacolo del 2021 – Rigoletto, impazzito per il susseguirsi degli eventi di cui è vittima e carnefice, è rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Qui, nel suo delirio, i personaggi si muovono attraversando fratture aperte nelle pareti di mattonelle bianche, spesso mescolandosi con il personale della struttura, in un fluire continuo e serrato che non concede tregua.

Il Buffone è sempre presente in scena, e i suoi tic si esasperano con l’aumento della paranoia, come un antieroe espressionista che provoca e subisce. Con lui, l’ombra di Gilda bambina, senza volto, simile a tutti i bambini infelici.

Nelle videoproiezioni di Roland Horvath, la si vede prigioniera nella sua stanza, la cui finestra ha sbarre identiche a quelle della camera di contenzione di Rigoletto. Qui disegna figure familiari, in cui la madre è dapprima neutra e poi cancellata. Solo nella morte, la donna-bambina potrà finalmente attraversare una finestra senza barriere, inoltrandosi in un bosco liberatorio.

Michieletto infonde in tutto questo un teatro con la “T” maiuscola, creando uno dei suoi spettacoli più coerenti e riusciti. I cortigiani indossano maschere che li rendono indistinguibili dal Duca, Monterone assume la gobba trasformandosi in un riflesso di Rigoletto, mentre il tulle nero diventa un Leitmotiv mortifero che avvolge Gilda fino a trasformarsi in un sacco. La valigia con i disegni di una bambina triste, il “Cortigiani” eseguito da Rigoletto in solitudine, il gioco di pellicce e soprabiti come simbolo di possesso dell’“altro”, i coriandoli dorati ironicamente beffardi, le ferite autoinflitte di Rigoletto che si riflettono sulla Gilda bambina, le luci che alterano le ombre: tutto è calibrato per una narrazione profondamente verdiana.

Daniele Callegari impone tempi serrati, accentua le tensioni e sceglie agogiche incalzanti, dando alla sua lettura un’impronta narrativa intensa e lontana da eccessi sentimentali “di tradizione”: Rigoletto è un’opera spietata, e il direttore ne è pienamente consapevole.

Nel ruolo di Rigoletto si distingue ancora una volta un Luca Salsi in stato di grazia, sempre più interprete di riferimento: imponenza vocale, autorevolezza del fraseggio e totale adesione alla partitura – che, vale la pena ricordarlo, non prevede nessuna delle forzature tanto amate da alcuni interpreti – si fondono in un’esibizione di rara emozione.

Allo stesso livello Ivan Ayon Rivas, che delinea un Duca dal timbro luminoso e dalla linea di canto cristallina, e Maria Grazia Schiavo, che costruisce una Gilda matura e sfaccettata, oltre che arricchita da una notevole varietà espressiva.

Convincono pienamente anche Mattia Denti, che dona eleganza crudele a Sparafucile, e Marina Comparato, Maddalena extralusso e dal fraseggiare cesellato a bulino.

Nel cast di supporto, sempre essenziale in questa produzione, brillano la perfetta Giovanna di Carlotta Vichi, il Borsa sottile di Roberto Covatta e il Monterone autorevole di Gianfranco Montresor, mentre si distinguono anche Armando Gabba (Marullo), Matteo Ferrara (Ceprano) e Rosanna Lo Greco (Contessa di Ceprano).

Completano il cast Nicola Nalesso (Usciere) e Sabrina Mazzamuto (Paggio della duchessa), mentre il coro, diretto da Alfonso Caiani, è impeccabile.

Successo totale per tutti – tanto immancabili quanto sparuti i dissensi dal loggione riservati ingiustamente agli autori della ripresa dello spettacolo – con ovazioni per Salsi, in uno spettacolo destinato a restare nella memoria.

Alessandro Cammarano
(7 febbraio 2025)

La locandina

Direttore Daniele Callegari
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Light designer Alessandro Carletti
Video designer Roland Horvath
Regia ripresa da Eleonora Gravagnola
Personaggi e interpreti:
Il duca di Mantova Ivan Ayon Rivas
Rigoletto Luca Salsi
Gilda Maria Grazia Schiavo
Sparafucile Mattia Denti
Maddalena Marina Comparato
Giovanna Carlotta Vichi
Il conte di Monterone Gianfranco Montresor
Marullo Armando Gabba
Matteo Borsa Roberto Covatta
Il conte di Ceprano Matteo Ferrara
La contessa di Ceprano Rosanna Lo Greco
Un usciere di corte Nicola Nalesso
Un paggio della duchessa Sabrina Mazzamuto
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del coro Alfonso Caiani

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