Venezia: oltre l’arcobaleno, cronache dalla Biennale Teatro 2023

Il teatro di parola si esprime attraverso forme estremamente più libere rispetto a quello in musica; posto che questo assunto possa apparire di sconcertante ovvietà – e forse in parte lo è – non se ne può prescindere ed è per questo che chi scrive abitualmente di opera non può. Periodicamente, non mettersi a confronto con quella che comunemente chiamiamo prosa ma che è molto, ma molto di più ed è per questo che un pellegrinaggio annuale alla Biennale Teatro è un balsamo salutare, un momento di confronto fra realtà a tratti tanto distanti quanto incredibilmente complementari utile a comprendere lo stato dell’arte di due mondi che riguardano ciascuno di noi.

La rassegna di quest’anno, terza sotto la direzione ispiratissima di Stefano Ricci e Gianni Forte, si raccoglie sotto il titolo di Emerald e il richiamo al palazzo del Mago di Oz è immediatamente intellegibile.

La metafora del luogo magico si snoda attraverso un viaggio al di là dell’arcobaleno, una presa di coscienza che porta a rivelazioni di ciò che ciascuno porta dentro di sé, una via catartica attraverso la quale raggiungere non solo piena consapevolezza ma anche e soprattutto un riscatto che non necessariamente coincide con un lieto fine.

Il verde è anche il colore della Natura, intesa come un ritorno alle origini attraverso una sensorialità complessa fatta di colori e di profumi – ma anche di rumori e miasmi – per mezzo della quale accedere a livelli altri: non pretesto ma chiave.

Le tre pièces che hanno chiuso la Biennale Teatro di quest’anno sono paradigmatiche rispetto a quanto detto sopra.

Il poco più che trentenne Stefano Fortin presenta Cenere, con la quale ha vinto il bando Biennale Teatro College Drammaturgia 22/23, seguendo la forma della Mise en lecture – la regia è di Giorgina Pi – che partendo dall’eruzione del vulcano islandese che nel 2010 quasi paralizzò l’Europa racconta tre storie di altrettanti giovani che poi in realtà potrebbero essere il percorso di una sola persona.

La cenere è rabbia non più contenuta, quella del ragazzo che non scende a fare colazione con i genitori, quella del giovane che non risponde loro al telefono e infine quella della registrazione di un messaggio d’addio – più volte cancellato e ripensato – prima di suicidarsi.

Grazie alle prove intense di Sylvia De Fanti, Giampiero Judica, Francesco La Mantia, Valentino Mannias, Alessandro Riceci, Giulia Weber e con la voce fuori campo dell’autore il testo emerge in tutta la sua potenza, senza mediazioni altre se non l’ambiente sonoro creato da Valerio Vigilar capace di sottolineare senza prevaricare.

Discesa e risalita è invece il tema di En Abyme, in cui Tolja Djoković partendo dalla discesa del regista James Cameron sino al punto più profondo della Fossa delle Marianne, che ascoltiamo raccontata in scena, racconta la caduta e il riscatto di un padre alcolizzato e giocatore che ritrova la figlia attraverso un cammino di sofferenza.

Forse c’è un pizzico di retorica di troppo, ma una volta tanto non guasta e la regia intensa di Fabiana Iacozzilli – lo spazio scenico è di Giuseppe Stellato, i costumi di Chiara Aversano, il disegno di luci di Omar Scala, mentre a Tommy Grieco sono affidate la sonorizzazione e la musica – funziona assai bene mettendo in luce le prove attoriali di Simone Barraco, Oscar De Summa, Francesca Farcomeni e Evelina Rosselli.

Caterina e a beleza de matar fascistas rientra a buon diritto nella categoria di quegli spettacoli che dall’originale portoghese andrebbero tradotti e rappresentati in tutte le lingue del mondo: duro, tagliente, terribilmente reale, senza sconti.

Con questo lavoro Tiago Rodrigues, autore di testo e regia sferra un cazzotto micidiale giusto all’altezza del plesso solare di ciascuno degli spettatori, costringendolo – dopo essersi ripreso recuperando il respiro – a prendere coscienza ad interrogarsi sul momento presente, fatto di populismi e fascismi che risorgono, che sembra ignorare scientemente gli errori del passato.

Il monologo del fascista – incautamente risparmiato dai dubbi Caterina la cui famiglia uccide fascisti dai tempi della dittatura di Salazár per convinzione profonda – è tratto dai discorsi di Bolsonaro, di Salvini, dei leader della AFD e nei trenta minuti della sua durata scatena la reazione del pubblico che in un meccanismo di immedesimazione tenta più volte di zittirlo.

Strepitosa la recitazione dell’intera compagnia Isabel Abreu, António Afonso Parra, Romeu Costa, António Fonseca, Beatriz Maia, Marco Mendonça, Carolina Passos Sousa e Rui M. Silva.

Alla fine delle due ore e mezza filate tutto il pubblico del Teatro Piccolo Arsenale in piedi ad applaudire: non avrebbe potuto essere altrimenti perché il teatro deve essere politica, risveglio di coscienze, luogo di confronto; se si vuol “sognare” meglio un grammo di melatonina e un materasso comodo.

Alessandro Cammarano

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