Un Orlando Furioso iperbarocco al Teatro Malibran di Venezia

Approda in laguna dopo un fortunato esordio in terra di Puglia, al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, l’Orlando Furioso, titolo monstre del catalogo vivaldiano  nella bella edizione critica di Federico Maria Sardelli, in questa occasione “alleggerita” di poco più di quaranta minuti nella durata sacrificando un’aria per ciascuno dei personaggi in scena e rivedendo i recitativi. Si perde della musica ma si guadagna in dinamismo.

Abbandonati il minimalismo e l’acromaticità cari a più di un allestimento del repertorio settecentesco Fabio Ceresa mette in scena uno spettacolo iperbarocco, ricchissimo di particolari, teso ad amplificare fasti passati rivedendoli però attraverso una lettura piena dell’ironia che comunque al Barocco si addice.

Le scene, bellissime, di Massimo Checchetto esaltano la dimensione fantastica, calando l’azione in uno spazio tanto opulento quanto sospeso in una dimensione temporale indefinita. Tutto si muove, nella più pura tradizione della scenotecnica del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo: la luna incombente sul fondo gira di mostrando una valva di conchiglia cangiante nel disegno di luci perfetto di Fabio Barettin, mentre al proscenio due strutture simmetriche e che più barocche non si può, evocano spiagge e dirupi rocciosi. Il regno di Alcina è mutevole e imprevedibile, avviluppa e trattiene.
Funziona tutto in questo Barocco che più Barocco non si può; Fabio Ceresa fa giustamente ruotare tutti i personaggi, vestiti dei costumi perfetti di Giuseppe Palella nei quali il Settecento incontra il Liberty, intorno ad Alcina, che ha le movenze di una diva del muto e dispone di ciascuno a suo capriccio. Chiunque abbia la ventura di approdare all’isola della maga regina, figlia di una tradizione letteraria che parte dall’Odissea prima di giungere ai cicli bretone e carolingio, viene reso simile all’incantatrice. Qui l’assimilazione è evidente anche nei costumi indossati dai protagonisti e che diventano via via sempre più simili agli abiti di Alcina.

I movimenti dei cantanti sono improntati ad un’essenzialità ricca di ironia, talvolta appena accennati, se si eccettua la faticosa scalata di Orlando alla luna; l’azione è di fatto riservata, e anche qui il rispetto della forma teatrale barocca è assoluto, a ciò che circonda il canto. Sono i danzatori superbi della Fattoria Vittadini, nelle coreografie di Riccardo Oliver, a dar vita ad una narrazione incalzante e variegata, a muovere gli elementi scenici creando spazi sempre diversi, a dar vita all’Ippogrifo che sembra uscito dall’incisione di un Bestiario e ad un gigantesco, divertentissimo, guerriero in armatura composto da vari pezzi e che ricorda i robottoni samurai dei man-ga.

Diego Fasolis, complice un’Orchestra impeccabile, tesse una tela impalpabile fatta di spunti dinamici incalzanti e di agogiche variegate, il tutto a sostegno di una narrazione musicale ricca di colori.

Nel ruolo eponimo Sonia Prina mostra ancora una volta assoluta padronanza del canto barocco, disegnando un’Orlando ben cesellato e scenicamente partecipe.

L’Alcina di Lucia Cirillo trova il suo punto di forza nei centri corposi e nel fraseggio autorevole mentre Francesca Aspromonte è un’Angelica dalla vocalità salda e fondata su una linea di canto di bella uniformità.

Convince del tutto la coppia controtenorile. Perfetto il Ruggiero di Carlo Vistoli, dalla voce ricca di armonici, rotonda e mai forzata e ottimo anche Raffaele Pe, che nobilita il meno incisivo Medoro con un fraseggiare di grande morbidezza. Di entrambi si apprezzano le agilità facilissime.

Riccardo Novaro dà voce e corpo ad un Astolfo ben tratteggiato sia nel canto che nell’azione, mentre Loriana Castellano è Bradamante che in taluni momenti sacrifica la precisione del canto all’irruenza guerriera.

Lodi incondizionate al continuo ipercinetico di Diego Fasolis e Andrea Marchiol (cembali), Alessandro Zanardi (viloncello) e Gianluca Geremia (arciliuto).

Bene gli interventi del Coro, preparato da Ulisse Trabacchin.

Teatro Malibran pieno come non mai, pubblico attento e meritato successo per tutti.

Alessandro Cammarano
(Venezia, 13 aprile 2018)

La locandina

Direttore Diego Fasolis
Regia Fabio Ceresa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Giuseppe Palella
Light designer Fabio Barettin
Coreografo e assistente alla regia Riccardo Oliver
Continuo clavicembali Diego Fasolis/Andrea Marchiol
Violoncello Alessandro Zanardi
Arciliuto Gianluca Geremia
Orlando Sonia Prina
Angelica Francesca Aspromonte
Alcina Lucia Cirillo
Ruggiero Carlo Vistoli
Astolfo Riccardo Novaro
Bradamante Loriana Castellano
Medoro Raffaele Pe
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Fattoria Vittadini
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin

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