Verona: il matrimonio inutilmente glamour di Morgan al Teatro Filarmonico

Dal suo debutto viennese nel febbraio del 1792, Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa ha avuto largo, a volte larghissimo successo un po’ dappertutto nel mondo, salvo conoscere un notevole appannamento nella seconda metà del Novecento. Il trend vale anche per Verona: prima dell’attuale proposta della Fondazione Arena, al Filarmonico lo si era visto solo nel 1911, e in città – secondo quanto riporta il programma di sala – era comparso non più di quattro volte in tutto, la prima nel 1869 e l’ultima nel 1928, al teatro Ristori.

Lo spettacolo che apre la rassegna autunnale intitolata (senza troppa fantasia) “Viaggio in Italia” ha dunque il sapore di una riesumazione. E già solo per questo l’iniziativa è meritevole di apprezzamento. Si ha infatti l’occasione di ammirare la densità drammaturgica e la limpidezza musicale di un autentico capolavoro, che in realtà meriterebbe ben altra frequenza rispetto a quella un po’ frenata, di stima, che gli riservano i nostri palcoscenici. Straordinario è il libretto di Giovanni Bertati, che non avrà forse i versi eleganti ma anche un po’ leziosi dei suoi acerrimi rivali Lorenzo Da Ponte e Giambattista Casti (che infatti dopo il trionfo della prima si scambiarono al proposito velenosissime lettere), ma afferma una funzionalità teatrale come raramente s’incontra nell’opera settecentesca. E straordinaria è la partitura di Cimarosa, che si può ben considerare la sintesi perfetta fra opera napoletana e dramma giocoso del Classicismo. Tutto concorre a creare un clima scenico ed espressivo mutevole: la sostanziale semplicità dei maliziosi incroci sentimentali che sostengono il plot si arricchisce di soluzioni formali ricche e composite sia dal punto di vista vocale che sul piano strumentale. I numeri d’insieme – che costituiscono la spina dorsale dell’opera – sono duttilmente esenti da ogni rigore, “allargando” oppure concentrando la partecipazione delle voci secondo una logica che guarda già alla tipologia della scena e non più solo all’Aria, o al duetto, terzetto o quartetto che sia. La confluenza nei finali d’atto di questa drammaturgia musicale è scorrevole, naturale e coinvolgente. Ascoltando quest’opera, con la sua seducente freschezza e immediatezza melodica, appare chiaro come Cimarosa sia stato uno dei punti di partenza di Rossini.

La natura musicale e drammatica di questo capolavoro della leggerezza è chiarita in maniera per molti aspetti esemplare dalla lettura che ne fornisce il giovanissimo direttore Alessandro Bonato, tornato sul podio del Filarmonico dopo il più che positivo debutto della scorsa primavera nel “dittico” che comprendeva il pucciniano Gianni Schicchi e – non a caso – quel singolare apocrifo cimarosiano che è Il maestro di cappella. Bonato coglie il sorridente spirito di libertà sentimentale che attraversa Il matrimonio segreto grazie all’eleganza del fraseggio, all’attenzione per i piccoli tesori strumentali che attraversano la partitura (sugli scudi i fiati dell’orchestra areniana), alla mobile incisività dei tempi e delle dinamiche. Anche il patetico, che serpeggia nell’opera e si condensa in accenti più decisamente drammatici nel secondo atto, viene delineato con la misura giusta: intensità che colpisce ma non supera mai il limite di uno stile classico che sembra considerare archiviata ogni inquietudine “sturm und drang”. Ovviamente, Cimarosa non è Mozart.

Sul versante musicale, le note positive riguardano anche la compagnia di canto, che è parsa equilibrata, ben caratterizzata scenicamente e vocalmente. La coppia degli sposi segreti, Carolina e Paolino, è stata interpretata con la grazia che percorre la scrittura di Cimarosa dal soprano Veronica Granatiero e dal tenore Matteo Mezzaro, entrambi stilisticamente appropriati e capaci di una linea di canto elegante e convincente. Più nitida lei, talvolta un po’ affaticato lui, specie nel secondo atto. Il buffo intorno a cui ruota la commedia borghese degli amori cercati e perduti, il tirchio Geronimo, è stato caratterizzato da Salvatore Salvaggio con vis comica mai portata a trascendere e a scolorare nel farsesco e con buona definizione vocale, così come il conte Robinson di Alessandro Abis, efficace nel dare la misura della fatuità un po’ stralunata del personaggio. Bene anche le altre due voci femminili del perfetto sestetto vocale che basta all’opera: Rosanna Lo Greco è stata un’Elisetta brillante e vagamente stolida come l’hanno disegnata Cimarosa e Bertati; Irene Molinari ha disegnato un’ironica Fidalma, la sorella di Geronimo, animata da pruriti erotico-sentimentali.

Per rendere impeccabile da tutti i punti di vista lo spettacolo ci sarebbe voluta una regia diversa da quella che Fondazione Arena ha ritenuto di riesumare andando a ripescare l’allestimento del Teatro Coccia di Novara, firmato sette anni fa da Marco Castoldi in arte Morgan, allora a un debutto operistico rispetto al quale non c’è più stato alcun seguito. In un décor di glamour post-moderno un po’ generico, nel quale spiccano alcune coloratissime poltrone di design e un’altana sulla quale si muovo inutilmente alcuni mimi (scene di Patrizia Bocconi), con i personaggi abbigliati nei (volutamente?) brutti costumi di Giuseppe Magistro e resi tutti caricaturali dalle spropositate parrucche che indossano, Morgan propone dell’opera una narrazione parodistica, affollata di piccoli espedienti scenici raramente significativi e non di rado superflui o immotivati. Assente la magica leggerezza dell’opera, opinabile l’ironia che naturalmente libretto e partitura sciorinano a piene mani ma che nello spettacolo raramente trova il pregio della sottigliezza, al netto dell’ottima disposizione scenica di tutti i cantanti.

Nulla, insomma, ha fatto pensare che la riesumazione di questo spettacolo del 2012 avesse qualche motivazione al di là della possibile economicità della ripresa. Ma oggi la regia è sempre più cruciale nelle fortune del teatro musicale. E restiamo in attesa di una nuova produzione per qualificare le stagioni al Filarmonico e provare a risalire dall’umiliante ultimo posto che le valutazioni ministeriali riservano all’Arena sul piano artistico.

Accoglienze cordialissime, con applausi a scena aperta e numerose chiamate alla fine, ma teatro lontano dal tutto esaurito alla prima, con almeno tre file quasi vuote in fondo alla platea.

Cesare Galla
(28 ottobre 2019)

La locandina

Direttore Alessandro Bonato
Regia Marco Castoldi (Morgan)
Scene Patrizia Bocconi
Costumi Giuseppe Magistro
Luci Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti:
Carolina Veronica Granatiero
Il signor Geronimo Salvatore Salvaggio
Paolino Matteo Mezzaro
Il conte Robinson Alessandro Abis
Fidalma Irene Molinari
Elisetta Rosanna Lo Greco
Orchestra e tecnici dell’Arena di Verona

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