Vicenza: la Oto inglese di Janiczek fra Elgar, Haydn e Mendelssohn

Nella stessa Inghilterra in cui Händel aveva portato a tardiva ma eccezionale rifioritura, nel 1739, l’ormai desueto Concerto Grosso, nasceva all’inizio del secolo scorso un singolare, isolato ma fascinoso esempio di analoga definizione strumentale, se non formale. L’Introduzione e Allegro op. 47 di Edward Elgar (1904) costituiscono in effetti una riproposizione della concezione barocca pre-solistica, nella quale la dialettica strumentale si dipanava fra il “tutti” (ovvero l’orchestra) e il “concertino”, gruppo di strumenti di vario tipo chiamati al doppio compito di confrontarsi fra loro oltre che con l’insieme. In questo caso, il “concertino” è costituito da un quartetto d’archi, appena un elemento in più (la viola) della distribuzione pensata da Händel per i Concerti op. 6, che comprendeva due violini e violoncello.

Che si tratti di un’ingegnosa trovata dagli indubbi addentellati storici, ma non ancora una scelta stilistica di impronta neoclassica, lo dimostrano sia la forma che il linguaggio adottato dal compositore inglese. Melodizzare tornito, facondo (non senza una rapida allusione folclorica di matrice gaelica), sviluppi tematici ben coordinati, con il tocco dotto di una Fuga nel mezzo dell’Allegro, dialogo fra le parti in elegante equilibrio: questo è un pezzo del Romanticismo al tramonto, però senza dubbi e tormenti, senza il senso della crisi imminente. Un degno biglietto di visita dell’eroe musicale dell’epoca vittoriana ed edoardiana, quale Elgar fu a tutti gli effetti. Di lì a un decennio la Grande Guerra avrebbe iniziato a mettere in crisi certezze e orgoglio imperiale, non a caso segnando il confine cronologico oltre il quale questo musicista entrò in progressivo silenzio, pur essendo vissuto fino al 1934.

Introduzione e Allegro op. 47 costituivano l’apertura del penultimo concerto della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico al Comunale di Vicenza. A completare la serata, il programma comprendeva la brillantissima Sinfonia concertante n. 105 di Joseph Haydn e la Sinfonia n. 3 “Scozzese” di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Due capolavori, il primo del Classicismo e il secondo del Romanticismo, capaci di affermare la vittoria dell’invenzione sulla forma, nonostante la forma sia in entrambi i casi rispettata e assecondata. Per la ricchezza dell’ideazione, la forza del linguaggio orchestrale, il fascino dei temi, nel caso di Haydn anche per l’eleganza dell’apporto del “concertino”, formato in questo caso da violino, violoncello, oboe e fagotto e protagonista in alcuni momenti quasi “teatrale”. Fra l’altro, due composizioni anch’esse legate all’Inghilterra: la Sinfonia concertante fu scritta a Londra nella primavera 1792 e portata a immediato successo durante la stagione dei Concerti dell’impresario Salomon, che aveva organizzato la trasferta del compositore austriaco nella capitale britannica; la “Scozzese” ebbe il primo nucleo di ispirazione durante il viaggio inglese di Mendelssohn avvenuto nel 1829. Completata dodici anni dopo, non a caso fu dedicata alla regina Victoria.

Sul podio è salito il violinista-direttore Alexander Janiczek, che già due anni fa aveva collaborato con i giovani della Oto in un ragguardevole concerto tutto brahmsiano. Di questo programma così intrigante e ricco di suggestioni il musicista salisburghese ha illuminato al meglio soprattutto Elgar e Haydn. Fraseggio corposo e ricco di sfumature dinamiche, per l’Introduzione e Allegro del compositore inglese, con una felice definizione coloristica nelle sfumature sobrie delle tessiture centrali degli archi, e un ottimo apporto da parte del quartetto costituito da Dario Samarani e Ana Milosavljevic violini, Emanuele Ruggero viola, Daniele Lorefice violoncello. Brillantezza estroversa, tempi stringenti e coinvolgenti in Haydn, in cui lo stesso Janiczek ha assunto in perfetto stile la parte del violino concertante circondato dalla musicale eleganza sciorinata da Leonardo Duca al violoncello, Giacomo Marchesini all’oboe e Edoardo Capparucci al fagotto.

In Mendelssohn, Janiczek ha privilegiato una lettura coesa e nitida, convincente specialmente nelle trasparenze dello Scherzo e nell’eleganza suadente dell’Adagio cantabile, forse bisognosa di un carattere di più coinvolgente eloquenza nel primo movimento e specialmente nel Finale guerriero (così lo definì il musicista), risolto in un tempo piuttosto svelto e con un suono non particolarmente corposo, che non hanno restituito se non in parte la maestosa nobiltà dell’Inno che suggella la composizione.

Pubblico discretamente numeroso, accoglienze calorosissime con grandi festeggiamenti per tutti i protagonisti nelle parti concertanti in Elgar e Haydn, ma anche per l’orchestra nel suo insieme.

Cesare Galla
(4 marzo 2019)

La locandina

Direttore e violino Alexander Janiczek
Orchestra del Teatro Olimpico
Programma:
Edward Elgar
Introduzione e Allegro op. 47 per quartetto d’archi e orchestra d’archi
Joseph Haydn
Sinfonia Concertante in Si bemolle maggiore (Hob. I/105)
Felix Mendelssohn
Sinfonia n. 3 in La minore op. 56 “Scozzese”

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