Vicenza: Schumann e Prokof’ev per la OTO

Nella seconda Sinfonia di Schumann, pezzo forte del quarto concerto della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico, sono ben distribuite “trappole musicali” assortite, sia esecutive che interpretative. Per quanto riguarda le prime, basti citare il famoso Scherzo, “Allegro vivace”, che impone ai primi violini una sorta di moto perpetuo con una gradinata di note in movimento ascendente e discendente, il più delle volte da eseguire staccate, teoricamente sempre a un tempo impossibile, visto che il metronomo indicato in partitura dice♩= 144. Qualcosa di frenetico, tanto che è legittimo l’interrogativo se mai orchestra sia riuscito a staccarlo davvero.

Le problematiche interpretative derivano invece dalla natura stilistica anfibia e apparentemente irrisolta di questo grande lavoro sinfonico. Gli “omaggi” che vi sono disseminati, con citazioni più o meno letterali da temi di Beethoven o di Bach (un Lied del ciclo “All’amata lontana”, la Triosonata dall’Offerta Musicale), come pure le “parentele” timbriche e armoniche con Schubert, hanno indotto spesso gli storici a considerazioni non del tutto positive sulla coerenza e sull’autonomia di questo lavoro. Per non parlare delle notorie e sempre ampiamente sbandierate questioni legate alla strumentazione, che sarebbe stato ambito compositivo mai ben risolto da Schumann. Dal punto di vista interpretativo, quindi, il rischio è che si finisca per privilegiare quasi esclusivamente la forza emotiva di questa composizione, che in effetti offre coinvolgenti prospettive espressive, specie nell’ambito della malinconia e della sofferenza patetica che innervano il terzo movimento, “Adagio espressivo”. Ma che si trascuri quanto accennava quasi sommessamente lo stesso autore nel 1846 (cioè a composizione appena conclusa) in una lettera a un critico: «Questa sinfonia le racconterà qualcosa a proposito di angoscia e di gioia, ma d’altra parte forse non le sembrerà priva di interesse, qua e là, nella sua struttura musicale». Sono questi dettagli, soprattutto, che avvicinano la seconda Sinfonia allo status del capolavoro: l’introduzione lenta del primo movimento, a mo’ di Inno religioso, di grande profondità e di fervida eco tematica fino alla fine; lo Scherzo con doppio Trio, nel secondo dei quali appare una scrittura contrappuntistica che rende omaggio all’eredità bachiana (e il paragone che viene alla mente è con la trama polifonica degli archi nel Duetto degli armigeri nel Flauto magico); la ricchezza degli sviluppi nel movimento lento; il senso del Finale come riepilogo e insieme superamento vittorioso, nel più puro senso romantico, dei contrasti dialettici disseminati lungo tutta la composizione.

Alexander Lonquich, il direttore musicale della Oto, non è soltanto un superbo interprete del Classicismo viennese. Coltiva anche una vocazione schumanniana sia come solista al pianoforte che come camerista e naturalmente come bacchetta. Il suo approccio alla Seconda – davanti a un teatro Comunale di Vicenza che si sarebbe preferito un po’ più affollato – fa giustizia delle semplificazioni romanticheggianti e affonda l’analisi proprio nella complessità della struttura. Ne esce un’esecuzione che senza rinunciare a nulla della multiforme tensione espressiva di quest’opera, ne illumina con lucida partecipazione la classicistica essenzialità, punto di arrivo della studiata trama formale. Dentro alla cornice emotiva, quindi, rifulgono – analiticamente ma non certo aridamente evidenziate – le gemme di un’invenzione a tratti sorprendente e sempre affascinante. E la multiformità stilistica si dipana con una chiarezza affascinante.

Per un’orchestra giovanile, questa Sinfonia costituisce un banco di prova temibile, uno di quelli che se ne vieni a capo raddoppi la fiducia e acceleri esponenzialmente la crescita del gruppo. Così è accaduto per la Oto: l’esecuzione della Seconda di Schumann è parsa il momento forse più alto di una stagione comunque su livelli di notevole qualità. Le sezioni sono risultate compatte, equilibrate, capaci di disegnare il suono nel suo insieme come pure di cesellare i particolari, dalle citate agilità dei violini nello Scherzo alla dolcezza poetica dei fiati specialmente nell’Adagio, alla magniloquenza ieratica degli ottoni.

Un plusvalore musicale notevole  – per i giovani talenti della Oto – è stato dato dalla presenza al leggio del primo violino di spalla di Gregory Ahss, che oltre a essere solista di gran vaglia occupa analoga posizione in formazioni come la Camerata Salzburg e l’Orchestra del Festival di Lucerna. Chiaro che preparare il concerto insieme a lui è stata per i giovani un’esperienza di alta formazione.

Nella prima parte della serata, dopo la rara Ouverture su temi ebraici di Prokofev, Ahss si è proposto come solista nel primo Concerto per violino dello stesso autore russo, composizione rapsodica e di multiforme quanto seducente espressività, nella quale il virtuosismo della parte solistica è complesso e per così dire integrale. Ne fanno parte colore, agilità, chiarezza e fraseggio, riuniti in una narrazione multiforme che Ahss ha sviluppato con sovrana “facilità”, misurando l’eleganza con impeccabile appropriatezza di stile, colore di grande efficacia e soprattutto convincente forza comunicativa. Senza riserve i consensi del pubblico, che non è riuscito ad ottenere l’atteso bis. Alla fine, dopo la seconda di Schumann, l’apprezzamento si è espresso in un applauso lunghissimo e in qualche momento ritmato, che ha costretto Lonquich a ripresentarsi più volte a proscenio.

Cesare Galla

(Vicenza, 26 febbraio 2018)

La locandina

Alexander Lonquich Direttore
Gregory Ahss Violino
Sergej Prokof’ev
Ouverture su temi ebraici op. 34
Concerto in Re magg. per violino e orchestra op. 19
Robert Schumann
Sinfonia n. 2 in Do magg. op. 61

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