Milano: Onegin, vorrei ma non posso

L’una gioca eccitata, l’altra legge pacatamente un libro. Fin dall’apertura del sipario, come in un quadro impressionista, emergono in poche e veloci pennellate i differenti caratteri delle sorelle Ol’ga e Tat’jana, anime femminili del balletto Onegin in scena a Milano al Teatro alla Scala (ancora per tre repliche 7, 8 e 10 novembre).

Lo spettacolo in tre atti è anticipato, alla sua prima rappresentazione della stagione, dalla lettura di un comunicato delle maestranze scaligere che esprime il solidale sostegno ai colleghi del Teatro Bellini di Catania, a rischio chiusura, e ricorda quanto la cultura, secondo la nostra Costituzione, dovrebbe essere promossa e tutelata, oltre che considerata alla stregua di un bene primario, come l’acqua.

Traduco velocemente il contenuto del messaggio alla mia vicina di posto, di altra nazionalità, e possiamo incominciare ad immergerci nel racconto coreutico, quasi ci accostassimo alla lettura di un romanzo in costume. Perché l’Onegin di John Cranko – presentato per la prima volta nel 1965 a Stoccarda, quindi rieditato nella versione che vediamo tutt’oggi per la rappresentazione del 1969 a New York – esprime nei suoi tre atti tutta la potenza narrativa della danza. Possiamo non aver letto l’Evgenij Onegin di Aleksandr Puškin, ma nel balletto del coreografo sudafricano ne rivediamo i luoghi e le atmosfere, i personaggi con le loro relazioni e i loro sentimenti. E Cranko ne è il narratore, così come Kurt-Heinz Stolze, chiamato ad arrangiarne la musica: pescando dal repertorio meno noto per pianoforte di Čajkovskij, senza accostarsi all’omonima opera per non creare alcun rimando, Stolze assembla un montaggio che parrebbe creato fin da principio dallo stesso compositore russo. Ritroviamo così ampie estrapolazioni orchestrate dai dodici pezzi pianistici Le Stagioni, oltre a un passaggio dall’opera comica Gli stivaletti (Čerevički) tratta da un racconto di Gogol’ e al tema dell’Ouverture fantastica Romeo e Giulietta per il pas de deux del sogno nel secondo quadro del primo atto; e ancora valzer, mazurke, polke, polacche e romanze, fino al tema della fantasia sinfonica Francesca da Rimini per il passo a due della scena conclusiva.

Grazie alla perfetta alchimia musicale e coreutica si entra nella profonda caratterizzazione psicologica di ciascuno dei personaggi, subito visibile in scena, fin dal quadro nel giardino della casa della vedova Larina, ben interpretata da Beatrice Carbone, affiancata dalla nutrice di Deborah Gismondi: qui troviamo una fresca e frizzante Martina Arduino nel ruolo di Ol’ga e una sognante e ritrosa Marianela Núñez in Tat’jana. Durante il gioco con le amiche a scoprire il volto dell’amato nel riflesso di uno specchio, Ol’ga scorge il suo giovane e innamorato poeta Lenskij, alias Nicola Del Freo, mentre Tat’jana i tratti dell’aristocratico Onegin, qui un intenso Roberto Bolle. E la storia dell’anima si palesa: il passo a due tra Arduino e Del Freo tratteggia abilmente il corteggiamento tra due ragazzi che giocano alle prime seduzioni; lei è civettuola, seducente nel suo afflato giovanile, lui è passionale, preso dal sogno anche carnale dell’amore che si cela dietro a un bacio rubato. In contrasto il passo a due tra Núñez e Bolle, drammatico, impregnato del non lieto fine fin dai primi passi; lei segue lui, che è già assente dopo il primo sguardo, e negli accelerando e rallentando Bolle esprime l’insofferenza, l’arroganza, il compiacimento di Onegin a caccia solo di piaceri effimeri e frivoli. E Tat’jana- Núñez sembra confusa, amareggiata, perché come tutte le fanciulle sognanti vorrebbe essere il centro delle attenzioni del suo corteggiatore, che in un solo momento ne ha destato le passioni latenti.

I personaggi in scena non sono caratteri monolitici, ma in evoluzione continua, così come nel discorso coreutico il virtuosismo non è mai fine a se stesso ma al servizio della narrazione. E nella scena del sogno troviamo un’altra Tat’jana rispetto al quadro precedente, e una nuova Núñez, che pesca dal suo carattere argentino per trasmettere quell’abbandono alle passioni mai provate prima, proprio delle giovani ritrose e timide che nella solitudine della propria stanza danno sfogo agli istinti e liberano i desideri. E Bolle diventa l’immagine del ‘bad boy’, bello e dannato, che la prende, la desidera, la ama.

Ma subito siamo al secondo atto, in cui i sogni si infrangono e su cui aleggia un sentore di abbandono e di morte. Onegin qui rivela la sua indole di ricco annoiato dalla vita, ferendo nel profondo la dolce e innocente Tat’jana. La deride e la umilia, strappando davanti ai suoi occhi e innanzi a tutti i presenti la lettera in cui lei aveva infuso tutto il suo cuore, e ne corteggia persino la sorella, che ingenuamente sta al gioco. Ma Lenskij non ci sta e sfida l’amico in un duello mortale. Qui Del Freo dà sfoggio del suo lavoro sul personaggio, con una teatralità toccante e lirica, da cui traspaiono anche gli influssi del linguaggio ballettistico degli anni Sessanta che Cranko aveva ben presenti. Lenskij è in preda a un disperato tormento, vuole vivere, è ancora giovane, ma quale personaggio romantico si spinge fino alla fine, come gli eroici protagonisti delle sue liriche. Ma non c’è nulla di eroico nella morte per mano di un amico. E tutti i personaggi porteranno il peso di questa scelta, soprattutto la realistica e convincente Ol’ga dell’Arduino.

E siamo al terzo atto, dove gli anni sono trascorsi e ciascuno ha preso la sua strada. Tat’jana si è sposata con il Principe Gremin, qui Gabriele Corrado, devoto marito. Ora sembra di stare nel film Il dottor Živago, peraltro coevo alla creazione del balletto, con il Corpo di ballo scaligero che restituisce le danze slave. Nel bellissimo dialogo tra la Núñez e Corrado emerge l’intesa che i loro personaggi hanno creato negli anni, svelando un rapporto che ha la sicurezza della storia, della fedeltà e del rispetto. E la passione? Nonostante il bacio con cui il Principe si accomiata dalla moglie (e sottolineiamo la bravura di Corrado a sostenere la scena), la fiamma si risveglia quando Onegin-Bolle irrompe nella stanza.

E nel passo a due una splendida Tat’jana-Núñez è per un attimo Emma Bovary o Anna Karenina. Forse tra i due non c’è amore, ma una passione latente, celata per anni, che deve esplodere o sublimare. È la scena del ‘vorrei ma non posso’, e la musica la esalta tutta, coi crescendo, gli accelerando. I due danzatori si riprendono e si respingono, ora a ruoli invertiti rispetto al primo atto. Alla fine lei muore dentro ma resta fedele a se stessa: amare è dolore e sacrificio a volte, e lei questo sacrificio lo compie, per la sua dignità. Qui vince la donna e nel suo pianto finale leggiamo la dicotomia silenziosa dell’anima che grida “prendimi, tutta”, ma anche “non mi hai scelta quando potevi, ora non mi puoi avere più”.

Per tutto il balletto i tempi sostenuti, dal forte sapore russo, sottolineati dalla bacchetta di Felix Korobov alla guida dell’Orchestra scaligera, hanno accompagnato la forte teatralità del racconto in gesti. E questi gesti, ottimamente restituiti da tutti gli interpreti e tramandati dall’accurata ripresa coreografica di Agneta e Victor Valcu, decisamente lontani dalla codifica del balletto classico, non stridono con l’ambientazione ottocentesca – solo accennata dalle scene create da Pier Luigi Samaritani e nei costumi concepiti con Roberta Guidi di Bagno – ma la attualizzano in un linguaggio sempiterno, vicino allo spettatore di oggi anche a 54 anni dalla creazione del balletto e a più di 180 anni dal romanzo in versi; come un film in costume che potremmo vedere al cinema, dove i dialoghi certamente non rispettano la grammatica del tempo in cui la vicenda è ambientata, e nessuno spettatore se ne pone il problema. Questa è la grandezza dell’Onegin di Cranko. Applausi letteralmente eterni per tutti conclamano il successo di questa tutt’oggi vincente coreografia narrativa.

Tania Cefis
(24 ottobre 2019)

La locandina

Direttore Felix Korobov
Scene Pier Luigi Samaritani
Costumi Pier Luigi Samaritani, Roberta Guidi di Bagno
Luci Steen Bjarke
Personaggi e interpreti:
Onegin Roberto Bolle
Tat’jana Marianela Nuñez
Lenskij Nicola Del Freo
La vedova Larina Beatrice Carbone
Ol’ga Martina Arduino
La nutrice Deborah Gismondi
Il Principe Gremin Gabriele Corrado
I parenti, la gente del paese, gli ospiti a San Pietroburgo Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Orchestra del Teatro alla Scala

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